L’Agenzia regionale per la protezione ambientale della Toscana (Arpat) dà conto dei risultati raccolti in seno al progetto europeo Impresa – conclusosi con la fine dell’anno 2016 –, che ha «analizzato negli ultimi tre anni l’impatto di tutte le forme di ricerca europea su i più importanti obiettivi delle politiche agricole, tra cui la produttività delle aziende agricole, ma anche la valorizzazione ambientale e l’efficienza delle filiere agroalimentari». Due i casi studio seguiti in Italia, uno dei quali – condotto dai ricercatori dell’Università di Pisa – ha riguardato «l’impatto dell’adozione del biogas nelle imprese agricole toscane».
Partendo dal ruolo «cruciale» esercitato in questo ambito del Centro ricerche produzioni animali (Crpa) ha coordinato (tra il 1980 e il 1986) il primo programma di ricerca italiano finalizzato alla promozione del biogas in agricoltura, lo studio ha portato a numerose evidenze collegate alla diffusione del biogas in Toscana: «Attualmente – sintetizza l’Arpat – chi adotta il biogas è altamente istruito, ma non possiede alcuna esperienza in ambito agricolo; la decisione di investire in questo campo proviene piuttosto dalla consulenza di esperti. Gli agricoltori toscani alimentano i loro impianti principalmente con colture energetiche auto-prodotte e rifiuti agro-alimentari acquistati da aziende locali. Trarre energia da rifiuti presenta infatti dei vantaggi, poiché elimina i costi di smaltimento e allo stesso tempo fornisce un reddito aggiuntivo. Ci sono inoltre benefici ambientali dovuti alla riduzione dello sfruttamento di risorse. Il sottoprodotto degli impianti a biogas, il digestato, viene impiegato come fertilizzante organico; tuttavia lo spandimento di tale residuo richiede adeguati trattamenti ed è spesso oggetto di conflitti tra le aziende e la popolazione locale».
Nonostante alcune difficoltà, l’impiego del biogas in agricoltura ha portato dunque a importanti benefici per il comparto, mostrando una volta di più quanto il ruolo degli impianti a energie rinnovabili – una volta ben integrati nei delicati equilibri dei territori – possa essere positivo per lo sviluppo di settori economici tradizionali come quello primario. Un caso ormai in grado di fare scuola nel merito è quello offerto dal 2009 dalla Ccer-Comunità del Cibo a Energia Rinnovabile: nata nel 2009 grazie ad un’intesa tra CoSviG, Slow Food Toscana, Fondazione Slow Food per la Biodiversità ed un gruppo (in crescita) di aziende quali caseifici, frantoi, aziende vinicole, allevamenti, la Comunità del cibo a energie rinnovabili ospita solo produttori toscani che utilizzino, per il proprio processo produttivo, almeno il 50% tra energia termica ed elettrica proveniente da fonte rinnovabile, nonché materie prime provenienti esclusivamente dal territorio toscano.