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Shale gas- Maugeri: “È la fonte del futuro ma non sottovalutiamo i rischi”

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L’EX CAPO OPERATIVO DELL’ENI, OGGI DOCENTE AD HARVARD, SPIEGA PERCHÉ SONO NECESSARI GRANDI SPAZI, COME QUELLI DELLE PIANURE DEGLI STATI UNITI, PER POTER EFFETTUARE SENZA PROBLEMI LA RICERCA E LO SVILUPPO DEI GIACIMENTI SOTTERRANEI: “EVITARE AREE TROPPO POPOLATE, COME L’ITALIA”

Fonte: La Repubblica – Affari & Finanza

Autore: e.occ.

«Gli Stati Uniti devono parte della loro ripresa, in un momento così difficile per l’intero pianeta, all’abbattimento dei costi energetici ottenuto spingendo sulle fonti interne, shale oil e shale gas. Per quest’ultimo l’offerta si è moltiplicata negli ultimissimi anni al punto che il prezzo di riferimento in British termal unit è di 3,40 dollari contro gli 11 dell’Europa ». Leonardo Maugeri, per molti anni al vertice delle operazioni petrolifere dell’Eni, oggi docente di economia e geopolitica dell’energia alla Harvard Kennedy School nonché in procinto di lanciare un hedge fund sempre sull’energia, è diventato in America un ascoltato esperto invitato a testimoniare al Congresso e al Pentagono. «Negli Stati Uniti è sempre più importante questa risorsa. I diritti sul sottosuolo sono in mano privata e esistono oltre 2300 strutture mobili di perforazione, che vengono spostate da un pozzo all’altro, contro le 100 in Europa».
Però ci sono forti opposizioni dagli ambientalisti in America come in Europa. Accusano l’estrazione dello shale gas, che richiede molta acqua, di sottrarre risorse idriche all’agricoltura. È vero?
«Ci sono critiche ma le cifre vere non suffragano questa posizione: per esempio in Colorado il dato fornito dall’amministrazione statale è di 6,5 miliardi di galloni utilizzati per il fracking. Sembrano tanti ma sono lo 0,1% del consumo di acqua del Colorado, mentre l’agricoltura ne impiega l’85%. Va considerato che gli agricoltori pagano l’acqua 30 dollari per unità (basata sulla superficie), i petrolieri mille».
Un’altra accusa è che, indipendentemente dalle quantità, vengono contaminate le falde idriche. Questa è fondata?
«E’ successo in poche decine di casi su 1,2 milioni di operazioni di fracking in America. Comunque è successo, è vero, e tutti gli stati stanno moltiplicando i controlli contro le pratiche di scorretta perforazione da parte di piccoli “pionieri” che puntano ad accelerare i tempi e contenere i costi».
Infine l’accusa più tremenda, di provocare terremoti…
«Nell’Ohio ci sono state a fine 2011 alcune scosse sismiche in aree dove si effettuava il fracking. Ma le evidenze spingono per un’altra “pista”: a sconvolgere gli equilibri sotterranei è stato l’eccesso di stoccaggio di acque reflue che, per antica prassi, diversi stati convogliano, con le autobotti o addirittura con apposite pipeline, nell’Ohio, antico stato petrolifero, perché venga mandata a riempire i tanti pozzi tradizionali di greggio ormai vuoti da anni. Con tutto questo, intendiamoci, non voglio fare la difesa d’ufficio del fracking. Probabilmente su questo specifico punto gli ambientalisti hanno ragione: per prudenza è sconsigliato nelle aree sismiche densamente abitate, almeno fino a più avanzati studi. Proprio per questo non vedo un grande sviluppo in Italia. E ci sono anche altri problemi».
Quali?
«E’ vero che l’estrazione di idrocarburi da formazioni shale genera cospicue quantità di acque reflue contenenti minerali tossici e perfino scorie radioattive, il cui trattamento ha rivelato una serie di problemi. Il più insidioso riguarda ciò che resta una volta che l’acqua è stata riutilizzata o è evaporata, cioè metalli tossici o le scorie radioattive, la cui gestione ha ancora costi molto elevati e comporta rischi significativi ».
(e.occ.)