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Geotermia, Ambiente, Toscana: La sostenibilità della geotermia in Toscana secondo Riccardo Basosi

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Secondo il docente dell’Università di Siena, intervistato da ARPAT, «la geotermia fatta bene può essere un formidabile elemento di sviluppo sostenibile»

Fonte: GeotermiaNews

Autore: Redazione

L’Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale della Toscana (ARPAT) si è confrontata sui temi geotermici con Riccardo Basosi – professore ordinario di Chimica Fisica e docente di Energia Sostenibile ed Efficiente presso l’Università di Siena –, secondo il quale «la geotermia, fatta bene, con l’impatto ambientale minimizzato come quella di un ciclo binario, può essere un formidabile elemento di sviluppo sostenibile per il territorio in cui si realizza, a condizione che i vantaggi che ne derivano ricadano prevalentemente in termini occupazionali e sociali sul territorio stesso».

Nel corso dell’intervista, Basosi parte dal presupposto che «l’unica energia pulita è quella che non si consuma, ovvero quella risparmiata», mentre tutte le fonti energetiche «hanno un qualche impatto. Naturalmente hanno impatti diversi e in una scala di qualità le fonti fossili sono le peggiori».

Per quanto riguarda in particolare la geotermia, le caratteristiche vantaggiose messe in evidenza da Basosi sono in primis la rinnovabilità, messa plasticamente in mostra dal fatto che dopo 200 anni di attività ancora oggi «gli impianti di Larderello sono tutti a regime e presentano anche la principale capacità produttiva della Toscana. Le riserve – argomenta al proposito Basosi – hanno conservato, in 200 anni di sfruttamento, le stesse potenzialità, nonostante l’attività sia stata portata avanti fin dall’inizio senza tenere assolutamente conto di aspetti come la rinnovabilità. È quindi fuori da ogni dubbio che la risorsa geotermica sia rinnovabile in tempi storici nella accezione corrente di una disponibilità temporalmente non limitata».

Tra i pregi che caratterizzano la risorsa geotermica Basosi sottolinea «anche il fatto che, tra le rinnovabili, essa si distingue dalle altre per essere indipendente dalle condizioni metereologiche (la presenza del sole per il fotovoltaico o di vento per l’eolico); cioè si ha produzione (elettrica) in modo non discontinuo».

Per quanto riguarda invece gli impatti della geotermia, il docente dell’Università di Siena nota che «i sistemi di abbattimento degli inquinanti hanno sicuramente contribuito a ridurre le emissioni delle centrali geotermiche, soprattutto nell’area amiatina», anche se «l’impiego dell’AMIS consente di ridurre le emissioni di mercurio ed acido solfidrico (ed ammoniaca nel caso di Bagnore 3 e Bagnore 4), ma altre emissioni restano presenti in quote significative. E tra queste, troviamo i gas climalteranti più significativi come anidride carbonica e metano, magari non pericolosi direttamente per la salute umana, ma che contribuiscono al riscaldamento globale».

Un’osservazione che in parte diverge rispetto a quella recentemente messa in evidenza su QualEnergia dal responsabile Geotermia di Enel Green Power, Massimo Montemaggi, che al proposito afferma: «L’intera area geotermica dell’Amiata ha centinaia di punti di emissione di acque e gas, anche a grande distanza dal vulcano spento. Per capire le quantità in gioco basti considerare che si stima che oggi le emissioni naturali di CO2 totali dall’area “calda” tirrenica fra Toscana e Lazio siano di 702 tonnellate ogni giorno, come dice il geofisico Francesco Frondini in un suo studio del 2008, contro le 50 emesse attualmente dai sei gruppi geotermici dell’Amiata: appena il 7% del totale».

In ogni caso, secondo Basosi «oggi gli impianti hanno un impatto inferiore al passato, ma credo – incalza il professore nel corso dell’intervista – che si debba continuare su questa strada potenziando da subito l’attenzione agli aspetti ambientali».

A tal fine Basosi vede con favore lo sviluppo di «centrali geotermiche a ciclo binario e con re-iniezione totale dei fluidi», che «comportano una diminuzione di rendimento termodinamico e maggiori costi (come è giusto per conseguire vantaggi ambientali) e anche una taglia più contenuta che rende più facile l’intervento di inserimento nell’ambiente. Nonostante le difficoltà tecnico/economiche – aggiunge il docente – la realizzazione di una centrale con queste caratteristiche rappresenterebbe un notevole passo in avanti e il confronto con il passato non può che giovare allo sviluppo della geotermia nel territorio».

Nell’ottica di favorire un approccio complesso al tema dell’energia, nel corso dell’intervista Basosi va comunque oltre la semplice dicotomia tecnologica tra impianti flash e impianti binari, rimarcando che «in generale la valutazione su quale fonte energetica utilizzare, per tutte le fonti e anche per le rinnovabili, deve derivare da un’analisi costi/benefici e si deve puntare sulla minimizzazione dell’impatto, che non è mai nullo, sull’annullamento dei rischi sanitari e sull’ottimizzazione del processo energetico».

Per esempio, le «potenzialità offerte dagli usi plurimi anche termici non mi pare che siano sfruttate in modo adeguato – continua il docente – con un’attenzione eccessiva al vettore più pregiato economicamente che è quello elettrico».

Le strade possibili per rendere più sostenibile la geotermia sono insomma molte, e già gli anni più recenti mostrano come sia possibile percorrerle, come osserva Basosi affrontando il tema dei vari comitati di cittadini che contestano gli impianti esistenti e quelli possibili per il futuro, anche di tipo binario: «Le preoccupazioni espresse da questi comitati – dichiara Basosi – hanno sicuramente un fondamento per la carenza di attenzione alle esigenze della collettività manifestata in passato dai produttori e una certa riluttanza della politica a rappresentare queste esigenze al di fuori di una logica di monetizzazione, comprensibile, ma un po’ perversa, almeno fino al 2007», ovvero l’anno in cui è stato firmato l’Accordo Generale sulla Geotermia che risponde a una duplice esigenza: da un lato attuare una politica di ricaduta economica sui territori interessati e dall’altra far sì che le aree interessate siano ambientalmente salvaguardate e tutelate.

«Ritengo – conclude dunque Basosi – che si debba evitare di gettare via il bambino con l’acqua sporca e diffido da sempre della logica NIMBY. Per questo ritengo errato l’atteggiamento di chiusura indifferenziata verso soluzioni molto diversificate».