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Piancastagnaio. Fiori per un 8 di Marzo, tra lavoro e libertà.

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Donne e uomini nella ricorrenza.

Fonte: AmiataNews.it

Autore: Marco Conti

A Piancastagnaio, l’8 di Marzo, è da decenni una giornata particolare, vissuta nel segno della “libertà” e del “riscatto”, una ricorrenza ricordata e certamente rappresentata soprattutto dalla figura femminile ma, anche, dalle volontà di Florindo Guerrini e Libero Stolzi, i due partigiani pianesi, uccisi e tolti alle proprie mamme proprio l’8 di Marzo del ’44 così come Angelo Ferrazzani, caduto l’anno successivo, ricordato in qualche modo e senza il nome, da una pietra di peperino forestiero, posta di lato all’ingresso della biblioteca comunale a lui dedicata.

Un 8 Marzo di pareri partigiani, comunisti, democratici-cristiani e fascisti, come del resto è sempre stato nell’intimità dei contendenti; il drammatico giorno di una morte appesa, che poi, si perde ai più ignari, nei fiori omaggiati e ancora abbandonati alle correnti contrastate dell’inverno amiatino, ancora una volta in ritardo sia a giungere che andare, dando spazio più a litigi che alla cura della memoria del monocolore della mimosa o della gerbera.
Forse sarà l’ora di farla finita, di riconoscere la tragedia che fu per tutti la guerra e le esecuzioni vendicative, come gli errori di prima e quelli del dopo, divenuti recenti, che rischiamo di portarci avanti per sempre senza il perdono e la comprensione del tempo passato, da anni divenuto improponibile tra muri crollati, vilipendi costituzionali, delitti di lotte di classe sociale multicolore.
Più che un 8 di Marzo, auguro un 9, un 10, un 11, un 12, … di Marzo, di Aprile, di Maggio,…., quando una mano, assieme a quella ritenuta diversa dell’altro, curi l’aiuola e il simbolo di un momento storico, per divenire unione in un pensiero veramente rinnovato, pur non del tutto condiviso, per un tempo non facile da giudicare nella sua complessità.
Il giallo della mimosa, il rosso della vita uccisa, sono proprio i colori del Comune di Piancastagnaio: una coincidenza quanto meno da considerare.

Due date, 8 di Marzo, che coincidono, senza una volontà ordinata, ma che, al di là di come la si voglia pensare, rappresentano comunque motivo di riflessione e rispetto. Donne e uomini da ricordare, vittime protagoniste delle tragedie della guerra, del lavoro, dell’emancipazione, del dovere, del diritto e dell’amore per l’amore, verso le speranze e le aspettative in ogni età.
Aspettative, che un salto di pochi decenni, dopo l’uscita dalla guerra e il precedente ingresso nelle gallerie velenose della miniera, poi convenientemente chiusa, han portato una trentina di anni fa, figli e figli di queste donne tra i fiori e le piante di un’azienda traditrice e compiacevole di un sistema anch’esso complesso e ormai fuori dal tempo; un’azienda cammuffata e affidata più volte a menti incerte in un passato che sembra troppo lontano nella sua brevità e che sta per chiudersi oggi, con un drammatico sollievo, dove alcuni, vogliono continuare a esser ancora protagonisti nel festeggiare una libertà quasi senza dignità, che ne è tra gli stessi primordiali significati.
Ed è così, anche per chi pensa che la serricoltura sia la vera protagonista del periodo post minerario, un periodo che di 8 Marzo, si che ne ha conosciuti, con le donne fuori dalla miniera o sull’uscio di casa, in attesa della vita che tornava, forse, mentre in galleria gli uomini si buttavano giù nei polmoni polveri e grisù, che coprivano la miseria fatta di dovere senza il diritto. Una mimosa impolverata dal cinabro, amata forse più in quegli anni del sacrificio e della fame, di chi lavorava sotto terra al caldo soffocante della galleria del vulcano, che non tra il calore di un vapore, divenuto sempre più interesse privato, che mimose non ha quasi mai visto tra gli ettari coltivati.

In questo 8 di Marzo, una mimosa anche alle tante donne che tra tempi scritti su striscioline di carta, piccini come gli occhi a mandorla, producono e producono nelle fabbriche di pelletteria alta moda mondiale che, spesso, potranno osservare nelle boutique, senza comperarsi quel che hanno fatto; 8-9 ore e poi di corsa, ancora e forse di più, verso l’altro lavoro tra casa e famiglia.

Auguri a tutte le donne che sono sempre mamme di qualcuno. E così a tutte, lavoratrici sempre.