La green economy si è dimostrata una delle più significative ed efficaci risposte alla crisi. Una reazione che incrocia la natura profonda della nostra economia: la spinta per la qualità e la bellezza, naturali alleate dell’uso efficiente di energia e materia, dell’innovazione, dell’high-tech. Una evoluzione di sistema avviata dal basso’ e spesso senza incentivi pubblici da una quota rilevante delle nostre imprese. Una scelta, che si basa su investimenti e produce lavoro, non scontata in tempi di crisi, ma coraggiosa e vincente. Come dimostrano i numeri di GreenItaly 2016, il settimo rapporto di Fondazione Symbola e Unioncamere, promosso in collaborazione con il Conai e con il patrocinio del Ministero dell’Ambiente. Il rapporto misura e pesa la forza della green economy nazionale: più di un’impresa su quattro dall’inizio della crisi ha scommesso sulla green economy, che in Italia significa più innovazione, ricerca, design, qualità e bellezza. Sono infatti oltre385mila le aziende italiane, ossia il 26,5% del totale, dell’industria e dei servizi che dal 2010 hanno investito, o lo faranno quest’anno, in tecnologie green per ridurre l’impatto ambientale, risparmiare energia e contenere le emissioni di CO2. Una quota che sale al 33% nel manifatturiero, dove l’orientamento green si conferma un driver strategico per il made in Italy, traducendosi in maggiore competitività, crescita delle esportazioni, dei fatturati e dell’occupazione. Nel manifatturiero il 46% delle imprese che investono in tecnologie verdi esporta, contro il 27,7% delle imprese non investitrici; il 35,1% delle imprese green ha aumentato il fatturato nel 2015 a fronte del 21,8% delle altre; il 33,1% ha introdotto innovazioni, contro il 18,7% delle altre. Alla nostra green economy si devono inoltre 2milioni 964mila green jobs, ossia occupati che applicano competenze verdi’. Una cifra che corrisponde al 13,2% dell’occupazione complessiva nazionale, destinata a salire ancora entro dicembre. Dalla nostra economia verde’ infatti arriveranno quest’anno 249.000 assunzioni fra green jobs in senso stretto e figure ibride con competenze green: pari al 44,5% della domanda di lavoro non occasionale. Quota che sale fino al 66% nel settore ricerca e sviluppo. Il contributo dei green jobs al prodotto lordo del Paese viene stimato per il 2015 a 190,5 miliardi di euro, pari al 13% del totale complessivo. Presentato oggi a Roma, GreenItaly 2016 ci dice che la green economy e l’economia circolare sono la migliore risposta alla crisi, un paradigma produttivo sempre più forte e diffuso nel Paese. In termini di imprese, che in numero crescente fanno scelte green. E in termini di risultati, nei bilanci, nell’occupazione. «Queste imprese – afferma il presidente di Fondazione Symbola Ermete Realacci – dimostrano che il nostro posto nel mondo non è quello della competitività a bassi prezzi e dumping ambientale e sociale, ma quello della qualità, fatta di cura dei dettagli, di attenzione al capitale umano, di coesione, bellezza, innovazione e sostenibilità. Investendo green le aziende diventano più sostenibili e soprattutto più competitive e aprono un sentiero che va verso il futuro. Anche per il Paese, che nella green economy e nell’economia circolare ha riscoperto antiche vocazioni -quella al riciclo e all’uso efficiente delle risorse – e trovato un modello produttivo che grazie a innovazione, ricerca e tecnologia ne rafforza l’identità, le tradizioni, ne enfatizza i punti di forza. Il rilancio di settori tradizionali come l’edilizia parte anche nella Legge di Bilancio, con Casa Italia, dal risparmio energetico, dalla sicurezza, dalla sostenibilità. Un’Italia che fa l’Italia e che contribuisce alla COP22 di Marrakech e alla sfida del clima incrociando la green economy con la qualità e con la bellezza». «I dati del nostro Rapporto dimostrano una volta di più che la scelta green paga – sottolinea il presidente di Unioncamere, Ivan Lo Bello -. Questo modello di sviluppo si sta rivelando uno strumento prezioso per intercettare nuovi stili di consumo e di vita basati su una maggiore domanda di sobrietà, attenzione alla giustizia sociale e equità. Si tratta di stili emergenti e in rapida ascesa sullo scenario globale che stanno portando verso una accelerazione dell’economia circolare. E l’innovazione passa anche dalla digitalizzazione. Non a caso le imprese green sono anche quelle maggiormente digitalizzate nel nostro tessuto produttivo. Basti pensare che 4 su 5 sono presenti sul web, hanno processi digitalizzati e puntano sulle digital skills, contro poco più della metà delle imprese non green. Due fronti quello della green economy e della digitalizzazione sui quali le Camere di commercio sono fortemente impegnate».
Green economy: la migliore risposta alla crisi
Come dicono i numeri la green Italy’ è un patrimonio che rappresenta la migliore risposta alla crisi e la base per una crescita che muova verso nuovi orizzonti ma partendo da radici solide. È questa l’Italia che aiuta a ripartire, che deve essere ascoltata dalla politica e presa a modello per sostenere la sfida del futuro.
Le imprese green sono protagoniste dell’innovazione e dell’export
Le aziende della green Italy innovano di più delle altre: nel 2015 il 22,2% ha sviluppato nuovi prodotti o servizi, contro l’11,4% delle non investitrici. Una propensione ancor più forte nel manifatturiero (33,1% contro 18,7%). Le imprese che investono green hanno un dinamismo sui mercati esteri nettamente superiore al resto del sistema produttivo italiano: esportano nel 18,7% dei casi, a fronte del 10,9% di quelle che non investono nel verde. Nella manifattura il 46% contro il 27,7%. Spinto da export e innovazione, il fatturato è aumentato, fra 2014 e 2015, nel 25,9% delle imprese che investono green, contro il 16,8% delle altre. Percentuali che nel manifatturiero salgono al 35,1% contro il 21,8%.
La green economy fa bene all’occupazione
Anche nel creare lavoro la sostenibilità è un driver importante, sia tra le imprese eco-investitrici che tra le altre. Quest’anno le assunzioni programmate di green jobs in senso stretto (72.300) e figure ibride con competenze green (176.800) arriveranno nell’insieme a 249 mila, pari al 44,5% della domanda complessiva di lavoratori non stagionali. Nei settori "ricerca e sviluppo" le figure green richieste sono il 66% del totale: segno evidente del legame strettissimo fra green economy, innovazione e competitività. La domanda di lavoro di green jobs si caratterizza inoltre per una maggiore stabilità contrattuale: le assunzioni a tempo indeterminato sono ben il 53,4% nel caso dei green jobs, quando nel resto delle altre figure tale quota scende al 38%. Dal punto di vista settoriale, le costruzioni sono il comparto dove la domanda di green jobs è più intensa, coinvolgendo poco più di un terzo del totale delle assunzioni previste.
Primati energetici e nel riciclo dei rifiuti
Grazie anche alle realtà che puntano sull’efficienza l’Italia vanta importanti primati sul fronte dell’ambiente a livello europeo. L’Italia, infatti, con 14,3 tonnellate di petrolio equivalente per milione di euro prodotto, è il secondo Paese tra le cinque grandi economie comunitarie per minori input energetici a parità di prodotto, dopo il Regno Unito (11,6, che ha però un’economia molto più finanziaria che manifatturiera) e davanti a Francia (14,5), Spagna (16,8) e Germania (17,7). Con 312 tonnellate per milione di euro prodotto siamo secondi, sempre dietro la Gran Bretagna (260), per minore impiego di materia, meglio di Francia (358), Spagna (362) e Germania (462). Con 107 tonnellate di CO2equivalente per milione di euro prodotto siamo secondi per minore intensità di emissioni atmosferiche, stavolta dietro la Francia (93, aiutata in questo caso dal nucleare) e davanti a Spagna (131), Regno Unito (131) e Germania (154). Siamo invece primi per contenimento dei rifiuti prodotti: ne produciamo appena 42 tonnellate ogni milione di euro, meglio di Spagna (49), Regno Unito (59), Germania (64) e Francia (84). Primato che ci pone all’avanguardia nell’economia circolare e ci permette di essere già oggi leader europeo nel riciclo industriale: nel nostro Paese sono stati recuperati per essere avviati a riciclo 47 milioni di tonnellate di rifiuti non pericolosi, il valore assoluto più elevato tra tutti i paesi europei (in Germania sono 43, in Francia 29). Il riciclaggio nei cicli produttivi industriali ci ha permesso di risparmiare energia primaria per oltre 17 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio, ed emissioni per circa 60 milioni di tonnellate di CO2. E nel settore degli imballaggi, dove il tasso di riciclo (2015) è ormai pari al 66,9%, le quantità continuano a crescere: stando agli ultimi dati Eurostat, l’Italia è il Paese europeo che dal 1998 al 2013 ha visto il maggior incremento di imballaggi avviati a riciclo (+4,2 milioni di tonnellate). Nel nostro Paese, a giugno di quest’anno la quota di produzione di energia elettrica da rinnovabili ha superato quella da fonti fossili. E l’Italia vanta il record mondiale, tra i paesi industrializzati, nella quota di fotovoltaico (8%) nel mix elettrico nazionale. In questa rivoluzione verde un decisivo ruolo a sostengo lo avranno le politiche per il contrasto dei cambiamenti climatici, che alimentano la richiesta di tecnologie, beni e servizi green: anche per questo c’è da essere orgogliosi che l’Unione Europea, che di recente su altri fonti non ha brillato in capacità di visione, abbia ratificato, pur dopo Usa e Cina, gli accordi di Parigi, dando seguito al ruolo di primo attore avuto col protocollo di Kyoto. Per questo l’Italia deve far valere, alla COP22 di Marrakech, il proprio patrimonio di sostenibilità e innovazione green.
Geografia degli eco-investimenti
Molte le imprese green nelle regioni del Nord, ma la loro presenza è diffusa in tutto il territorio nazionale. La Lombardia è la regione con il più alto numero di imprese eco-investitrici, ne conta 69.390, quasi un quinto del totale nazionale; seguono il Veneto con 37.120 unità, il Lazio con 33.630 imprese green, l’Emilia-Romagna a quota 33.010 e la Toscana con 29.160. Quindi troviamo il Piemonte con 28.480, la Campania (26.910), la Sicilia (23.630), la Puglia (23.330) e Marche (11.870). A livello provinciale, in termini assoluti, Roma e Milano guidano la graduatoria staccando nettamente le altre province italiane grazie alla presenza, rispettivamente, di 25.240 e 22.590 imprese che investono in tecnologie green. In terza, quarta e quinta posizione, con oltre 10.000 imprese eco-investitrici si collocano Torino, Napoli e Brescia.
Dove sono più richiesti i green jobs
La prima regione per numerosità assoluta di assunzioni programmate di green jobs in senso stretto è la Lombardia, dove se ne contano quasi 20.000, pari a poco più di un quarto del totale nazionale (27,6%), seguita a distanza dal Lazio, dove si sfiorano le 9.000 assunzioni (12,2% del totale nazionale), dal Veneto con 6.400 assunzioni di green jobs (8,9%), Emilia Romagna e Piemonte con oltre 5.000 in ciascun caso. Sotto tale soglia si collocano due regioni meridionali, Campania e Sicilia, dove le assunzioni di green jobs sono poco più di 4.000. La Lombardia spicca anche per intensità relativa della domanda di green jobs a livello regionale, visto che è la regione con la quota più alta di assunzioni di figure green sul totale della domanda di lavoro regionale. Avvicinandoci ancor di più ai territori, le prime province per numerosità assoluta di green jobs programmate sono le grandi realtà di Milano, con 12.000 assunzioni, e Roma, con oltre 7.000. In terza posizione c’è Torino, dove la domanda di green jobs è di 3.700 unità circa, quarta Napoli con 3.000 assunzioni, quinta Bergamo con 1.870. Milano, Torino, Napoli e Roma si posizionano anche nella top-ten delle province a più alta intensità di richiesta di green jobs sul totale della domanda di lavoro provinciale.