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Energia e lavoro, una Green Energy Union per rifondare l’Europa

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Con efficienza, rinnovabili e reti intelligenti l’Ue può diventare autosufficiente: ecco come

Fonte: Greenreport

Autore: Francesco Ferrante*

Guardando al tema energia è molto probabile che il lettore abituale di Greenreport conosca già gli argomenti di chi come noi sostiene da tempo la bontà di alcune ricette economiche che fanno perno sulle parole chiave: efficienza energetica e rinnovabili. E il concetto fondamentale per cui le scelte necessarie per combattere il cambiamento climatico in atto siano anche quelle più efficaci per affrontare la crisi sociale ed economica da cui non usciamo.
Ma il dibattito pubblico italiano invece ignora pervicacemente il nesso, e le scelte politiche (si veda il recente Sblocca Italia) sembrano andare in direzione opposta (più trivelle e autostrade, zero green economy). Anche per questo ieri con GreenItalia-VerdiEuropei abbiamo voluto organizzare il convegno “Rinnovabili e risparmio energetico: l’opportunità di creare nuovi posti di lavoro in Italia e in Europa”, riunendo intorno ad un tavolo gli europarlamentari verdi Claude Turmes e Bas Eickout, gli esponenti di Green Italia Monica Frassoni, Annalisa Corrado e il sottoscritto; Gianni Silvestrini, in quanto presidente del Coordinamento Fonti Rinnovabili ed Efficienza Energetica – FREE a rappresentare autorevolmente quel mondo, e i rappresentanti dei Ministeri dell’Ambiente e dello Sviluppo economico, oltre che di Confindustria, Terna e Enel.
Abbiamo scelto un hashtag per commentare la giornata di lavori, che, forse non a caso, è diventato rapidamente “trending topics” su Twitter: #GreenJobAct. Si, perché con le rinnovabili e l’efficienza energetica si fa politica industriale, si crea lavoro e si rilancia l’economia, e convergendo radicalmente sugli investimenti per questi due settori non solo si può ridurre in modo sostanziale la nostra spesa per le importazioni di combustibili fossili, ma possiamo rendere l’Italia e l’Europa anche meno dipendenti dai Paesi fornitori, aumentando di conseguenza il nostro capitale geopolitico.
Non ci voleva la crisi ucraina per ricordarci quanto fossimo esposti a est: da lì arrivano in gran parte i rifornimenti di gas e i paesi coinvolti sono nella migliore delle ipotesi democrazie indebolite, nella peggiore stati solo formalmente democratici, ma sostanzialmente in mano a oligarchi dell’energia fossile.
Pensare di ridurre questo peso con la linea del governo Renzi, accelerando su autorizzazioni a trivellare in Italia per quel relativamente poco che c’è di greggio, è francamente una scelta che lascia esterrefatti.
Non c’è nessuna riserva nascosta chissà dove, nessuna Alaska da trivellare, solo quei barili che lo stesso Ministero dello Sviluppo economico valuta sufficienti per tirare avanti un anno circa.
Sui posti di lavoro poi circolano numeri che non hanno nessun fondamento di realtà: parlare di 40mila occupati quando l’Arabia Saudita, persino sovraoccupata per motivi di “welfare”, ne conta 50 mila, si commenta da sé.
Ma torniamo ad allargare l’orizzonte in ottica europea: ieri abbiamo presentato una proposta che davvero potrebbe dar vita a una “seconda fondazione” europea: la Green Energy Union. D’altronde se l’Europa a metà del secolo scorso nasce dalla CECA (carbone e acciaio), non sarebbe “normale” nel terzo millennio rifondarla sull’innovazione, le fonti energetiche rinnovabili, l’efficienza?
Gli Stati Membri dell’Europa sono oggi ancora dipendenti dalle importazioni provenienti da altri Paesi per il 90% del loro fabbisogno di petrolio, per il 95% del loro fabbisogno di uranio, oltre il 60% del fabbisogno di gas e di oltre il 40% dei combustibili solidi quali carbon fossile. Una dipendenza che può essere drasticamente tagliata grazie alla “solidarietà” che consentirebbe a tutti i gli Stati Ue di beneficiare di un approvvigionamento pari quasi al 100% di energia sostenibile entro il 2050 sfruttando le potenzialità energetiche ‘green’ l’uno dell’altro (biomassa ed energia idroelettrica dei Paesi dell’Europa orientale, l’eolico del Mar Baltico, il solare dei Paesi del Sud e ancora eolico e idroelettrico dai Paesi nordici).
Al fine di rendere la solidarietà europea un dato di fatto, dovrebbero essere approntati i collegamenti mancanti delle infrastrutture energetiche europee, secondo una visione comune europea basata su approcci macro-regionali.
Una lungimirante politica delle infrastrutture UE deve dare priorità ai progetti necessari per la transizione verso un’economia energetica sostenibile, invece di pompare denaro pubblico per progetti basati sui combustibili fossili. Le reti intelligenti dovrebbero svolgere un ruolo centrale nel garantire un funzionamento affidabile per affrontare le sfide di cui sopra: una rete europea interconnessa intelligente può affrontare alti e bassi, ed è più conveniente di 28 reti nazionali.
Per questo sarebbe importante che negli obiettivi al 2030 che verranno definiti tra 10 giorni nel consiglio europeo presieduto da Renzi ci sia anche un target ambizioso nella interconnessioni delle reti energetiche europee. Purtroppo lo stato delle trattative, nelle quali il Governo Italiano nonostante la tanto sbandierata presidenza brilla per latitanza, è assi deludente. È probabile che ci si attesterà assai distanti da quegli obiettivi vincolanti per la quota di energia da fonti rinnovabili (45%) , l’efficienza energetica (40%) e riduzione delle emissioni (60%), che sarebbero indispensabili per non far aumentare la “febbre del Pianeta” e costruire nuovi posti di lavoro.
E se davvero si arrivasse a stabilire, ad esempio per le rinnovabili, un obiettivo al 2030 del 27% saremmo al paradosso per cui si rinuncerebbe praticamente a qualsiasi politica proattiva, rinunciando di fatto a mantenere quella leadership che, nonostante tutto, l’Europa aveva conservato in questi anni.
Concludo facendo mie due semplici ma importanti riflessioni fatte dagli europarlamentari verdi, Turmes ed Eickout, una sulla visione di un’Europa che si immola sul campo degli obiettivi vincolanti e l’altro sulla bontà di un certo liberismo di ritorno.
C’è un Paese che è attualmente il numero uno al mondo per produzione di energia fotovoltaica e eolica, e ha tutto l’interesse a guadagnare sempre di più da questa sua posizione di leadership. Questo Paese è la Cina, e persegue la strada delle rinnovabili forse non animato da preoccupazioni socio-sanitarie, ma certamente ha capito che la gallina delle uova d’oro del futuro è quella.
Chi parla dunque dell’Europa come cavaliere solitario che combatte contro il cambiamento climatico è rimasto indietro di qualche anno. Ed infine è assai sciocco, specie sulle questioni energetiche, cianciare di proprietà salvifiche del mercato. Il governo del Regno Unito, campione liberista in Europa, ha appena ottenuto il permesso dall’Europa di finanziare il suo rilancio del nucleare con oltre 20 miliardi di euro pubblici, altro che libero mercato!
Servono scelte politiche, piuttosto. E noi non ci stancheremo di lottare per quelle che a nostro avviso sono più dense di futuro.
*Vicepresidente Kyoto Club