Secondo le ultime stime Onu nel 2017 sono state 88,6 le miliardi di tonnellate di materie prime estratte a livello globale, oltre il 25% in più rispetto al 2010, mentre se tutti i 7,4 miliardi di esseri umani vivessero secondo i canoni occidentali l’estrazione sarebbe già oggi 2,5 volte quella attuale: in un mondo demograficamente in crescita, solcato da profonde disuguaglianze e con un accesso alle risorse naturali sempre più critico, la sicurezza alimentare è una delle maggiori preoccupazioni cui è necessario far fronte in modo sostenibile. Un’esigenza cui la geotermia può offrire risposte cruciali, nei Paesi di più antica industrializzazione come quelli in via di sviluppo.
Non a caso dei due eventi organizzati dall’Alleanza globale per la geotermia (Gga) nel corso dell’Iceland geothermal conference conclusasi nelle settimane scorse a Reykjavík il primo era intitolato Geothermal direct utilisation and food security, e volto ad approfondire i fattori chiave alla base delle esperienze di successo nell’impiego del calore geotermico all’interno della filiera alimentare.
I casi di possibile applicabilità sono molti. Il calore geotermico può essere ad esempio impiegato per sterilizzare il suolo prima di procedere alla coltivazione, in modo da accrescerne la produttività; può essere utile anche per l’essiccazione degli alimenti, un efficace metodo di conservazione in grado di ridurre gli sprechi alimentari, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo. Ma anche in Occidente non mancano gli esempi che mostrano l’utilità di impiegare le risorse geotermiche all’interno della filiera agroalimentare: nella stessa Islanda le serre geotermiche hanno permesso la coltivazione di prodotti agricoli che sarebbero altrimenti rimasti al di fuori delle possibilità del Paese. Anche la Corte dei conti europea ha recentemente individuato nella geotermia una fonte rinnovabile utile allo sviluppo rurale sostenibile, chiamando in causa la Toscana come esempio virtuoso: insieme, la coltivazione delle risorse geotermiche indigene e le sfide poste dalla sicurezza alimentare possono divenire fattori trainanti per la diversificazione e lo sviluppo economico.
Proprio l’esperienza toscana è stata analizzata come caso virtuoso durante l’evento organizzato dall’Alleanza globale per la geotermia, grazie all’intervento Accelerating geothermal energy deployment in the agricultural and food sectors: what challenges and success factors? condotto da Loredana Torsello per CoSviG (Consorzio per lo Sviluppo delle Aree Geotermiche): nato nel 1988 su iniziativa dei Comuni dell’area geotermica tradizionale per promuovere lo sviluppo socio-economico del territorio e facilitare tutti gli adempimenti tecnici e finanziari legati ai contributi relativi all’utilizzo della risorsa geotermica – la cui distribuzione è attualmente regolata dall’Accordo generale sulla geotermia del 2007, al fine di avvantaggiare le popolazioni locali ma anche per migliorare l’impatto ambientale delle attività industriali – il CoSviG promuove da sempre la creazione di percorsi di sviluppo sostenibile che coinvolgano tutti gli attori economici e sociali nei territori.
«L’impiego dell’energia geotermia – ha spiegato Torsello alla platea riunitasi in Islanda – è in continua crescita in Europa e nel resto del mondo. Il potenziale disponibile consentirebbe un ulteriore sviluppo del mercato geotermico, ma la sua espansione è limitata da preoccupazioni sociali e ambientali, spesso strettamente legate a vincoli tecnologici. Sono emerse nuove sfide per la geotermia: per superarle è necessario un nuovo modello di governance che rispetti tutti i territori e promuova lo sviluppo sostenibile. Nel prossimo futuro (2020), entro un orizzonte di più lungo termine (2050) occorre trovare una sintesi tra scopi, aspettative e contrasti all’interno delle comunità, rispettando la vocazione dei territori e sostenendo le imprese private».
Un contesto che vede la Toscana impegnata in prima linea per lo sviluppo sostenibile. «Le aree geotermiche toscane – ha argomentato al proposito Torsello – rappresentano un laboratorio naturale ideale, dove la costante ricerca del giusto equilibrio tra risorse naturali, innovazione, tecnologia, patrimonio storico e paesaggistico ha guidato gli sforzi delle comunità locali». Con risultati che non sono mancati, anche all’interno della filiera agroalimentare: dal 2009 è infatti attiva sul territorio la Comunità del cibo a energie rinnovabili, esempio virtuoso mostrato in Islanda. Un’iniziativa nata dall’intesa tra Slow Food Toscana, Fondazione Slow Food per la Biodiversità e CoSviG, costantemente in espansione sul territorio toscano. Tratti caratterizzanti delle aziende della Comunità sono la presenza di una filiera corta, l’utilizzo di energie rinnovabili come la geotermia in maniera dominante nel processo produttivo, il rilancio di forme di agricoltura sostenibile e il recupero di produzioni tradizionali tipiche di alta qualità e a rischio scomparsa: la dimostrazione concreta che può esserci sintonia tra energia rinnovabile e produzioni agroalimentari artigianali di alta qualità.
L’interesse suscitato nell’audience internazionale dell’evento dalla best practice della “Via toscana allo sviluppo geotermico” , è stato principalmente dovuto al riconoscimento che, a legare i numerosi progetti in cui gli attori toscani, sono coinvolti e di cui sono promotori (a partire dai Comuni geotermici, passando per Cosvig, dalla Regione Toscana e per arrivare, in fondo, alle comunità che vivono i territori geotermici), c’è un vero e proprio modello di sviluppo locale orientato alla sostenibilità in tutte le sue declinazioni (sociale, ambientale ed economica).
Questo modello, oltre alle progettualità di cui si compone, è il principale “caso studio” che anche il Direttore di Unità di IRENA, Gurbuz Gonul, ha rilanciato come pratica da replicare e imitare in altri contesti sia europei che nei cosiddetti PVS dove la geotermia è una risorsa che fa parte della cassetta degli attrezzi delle agenzie di sviluppo.