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Sette anni, tre mesi e un giorno…

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Sette anni il tempo di attesa per le linee guida nazionali per gli impianti a energia rinnovabile; trenta i giorni a disposizione delle Regioni per recepirle; un giorno (forse) ci sarà chiarezza…

Fonte: Rinnovabili e Territorio

Autore: Redazione

Dopo sette anni di attese e di reiterate richieste da parte delle associazioni che operano nel settore, con il Dm 10 settembre 2010 sono finalmente state varate le linee guida nazionali per l’autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili.

Un’attesa che ha avuto come effetto che le Regioni abbiano provveduto ognuna a modo loro a rilasciare autorizzazioni alla realizzazioni di impianti per la produzione di energie rinnovabili creando una crescita non certo omogenea, incertezza per gli operatori e spesso suscitando proteste da parte della popolazione per l’eccessivo ricorso alle rinnovabili in alcuni territori.

In trenta giorni dalla pubblicazione delle linee guida nazionali sulla gazzetta ufficiale, e quindi entro il 1 gennaio 2011 le regioni hanno avuto il compito di recepire le linee guida nazionali partendo dall’assunto, richiamato nel decreto nazionale che gli investimenti in fonti rinnovabili sono definiti di pubblica utilità e quindi gli enti locali non possono porre limiti se non in casi eccezionali.

Secondo quanto previsto dal Dm sulle linee guida nazionali per accelerare l’iter di autorizzazione alla costruzione e all’esercizio degli impianti alimentati da fonti rinnovabili, le Regioni e le Province autonome possono procedere alla indicazione di aree e siti non idonei alla installazione di specifiche tipologie di impianti.

Suggerendo, comunque alle Regioni, prima di programmare l’indicazione delle aree non idonee, di attendere il decreto sul cosiddetto “burden sharing”, ovvero la ripartizione dei contributi che ogni singola regione dovrà dare per raggiungere il 17% di energia prodotta da rinnovabili sul territorio nazionale così come previsto dagli obiettivi europei (20-20-20) al 2020.

I compiti che spettano alle Regioni consistono nell’individuazione dei siti esclusi dall’installazione di rinnovabili; gestire il processo di autorizzazione unica; definire le modalità di conclusione del procedimento per i casi in eccezione rispetto al decreto; estendere la possibilità di installazione libera ad ulteriori casi rispetto a quelli previsti dal decreto; definire gli oneri di istruttoria pratica e le misure di compensazione per i comuni che potranno riguardare opere accessorie di sistemazione per ridurre l’impatto ambientale.

Un compito che le regioni che hanno recepito le linee guida hanno svolto in maniera che potrebbe portare a limitazioni persino troppo «troppo restrittive» a detta del Direttore del Kyoto Club, Gianni Silvestrini, con il rischio che «sovrapponendo i vincoli di varia natura si riesca a fare troppo poco, e quindi non si riesca a raggiungere gli obiettivi previsti a livello europeo al 2020 che verranno ripartiti tra le regioni con il burden sharing».

Quello che serve adesso, secondo Silvestrini, «è una riflessione serena che deve ripartire dalla definizione degli obiettivi regionali di burden sharing, così che le regioni possano definire con quale tecnologie raggiungerli e sulla base di questo stabilire i vincoli».

Non tutte le Regioni hanno ottemperato a quanto richiesto dal Dm sulle linee guida nazionali nei termini richiesti: ad oggi hanno, infatti, varato provvedimenti di recepimento e introdotto le linee guida Lazio, Puglia, Marche, Emilia Romagna, Toscana, Piemonte, Molise, Basilicata e Valle d’Aosta.

Nelle altre Regioni, quindi, per i processi di autorizzazione saranno applicate le linee guida nazionali.