Il sesto Low Carbon Economy Index pubblicato da PwC si concentra sul riscaldamento globale, e non è davvero confortante: ne viene fuori che l’obiettivo di limitare l’aumento del riscaldamento globale entro i 2 gradi centigradi sta diventando sempre più difficile da raggiungere, dato il ritardo di molti Paesi nell’attuazione delle politiche di riduzione delle emissioni di gas serra carbonio necessarie.
Il Low Carbon Economy Index esamina infatti quali progressi hanno fatto i diversi Paesi nel ridurre l’intensità di carbonio, cioè il rapporto tra le emissioni prodotte ed il Prodotto interno lordo e l’Italia non ci fa una brutta figura, anche se per motivi più legati alla sua crisi economica e al boom delle rinnovabili che per una nuova politica industriale low carbon. Infatti nel rapporto si legge: «Mentre l’Italia ha avuto il più forte calo delle emissioni a 5,9%, è anche l’unica economia del G20 a subire un calo del Pil (1,9%). Tuttavia, il Paese continua a vedere una forte crescita nel solare, idroelettrico ed eolico. Gran parte della sua riduzione di emissioni può essere attribuito a un calo del consumo di combustibili fossili del 5,7% nel 2012-2013, la quota delle fonti rinnovabili in Italia (tra cui l’idroelettrica) è passata dal 12,8% nel 2012 al 15,5% nel 2013 Le rinnovabili ora rappresentano la metà della produzione di energia elettrica in Italia».
Proprio per questo il rapporto Pwc si occupa nuovamente di Italia quando prende in esame le performance delle energie rinnovabili: «La produzione di energia solare è raddoppiata negli Usa e in Cina. Entrambi i Paesi, insieme al Giappone, nel 2013 hanno superato la pietra miliare dei 10 GW di capacità. Tuttavia, la produzione di solare dell’Europa rimane più alta Europa, con la Germania, l’Italia e la Spagna che rappresentano più della metà dell’utilizzo globale di solare (per un totale di 65 TWh). In Italia, l’elevata fornitura di energia da fonti rinnovabili è considerata un contributo alla riduzione dei margini delle centrali a gas, anche se i sussidi per il solare stanno calando DOWN4».
Ma nonostante questa forte crescita a livello mondiale nelle energie rinnovabili, in termini assoluti, il rapporto mette in guardia: «Questo aumento è di piccole dimensioni rispetto ad un maggiore utilizzo del carbone nel 2013: l’incremento assoluto del consumo di carbone è di tre volte l’aumento del consumo di fonti rinnovabili. Anche in questo caso, però, ci sono barlumi di speranza. Gli ultimi dati dell’Iea (International energy agency, ndr) stimano che la produzione delle rinnovabili rappresenti oggi il 22% del mix energetico e che questo potrebbe salire al 26% entro il 2020».
Il rapporto avverte che anche per i Paesi “virtuosi” come Gran Bretagna e Italia, «può essere difficile mantenere questo livello di performance, data l’abrogazione delle carbon tax e gi attuali trend di petrolio, del carbone e dell’estrazione di gas». E non lascia spazio a troppa speranza: «Mentre tutti i governi dell’Unfccc ribadiscono l’obiettivo di limitare il riscaldamento a 2° C, l’attuazione non è stata all’altezza di questo obiettivo. Le attuali emissioni totali annue legate all’energia attuali sono poco più di 30 GtCO2 e sono ancora in crescita, un “carbon burn rate” che riduce il carbon budget per tutto il secolo ai prossimi 20 anni».
Jonathan Grant di PwC, nelle dichiarazioni raccolte da Reuters, ha affermato che con gli attuali impegni di riduzione della CO2 presi dai Paesi «ci siamo messi davvero sulla buona strada per i 3 gradi. Questa è una strada davvero più lunga rispetto a quella di cui stanno parlando i governi».
Infatti, i risultati complessivi degli analisti di PwC sono un duro avvertimento ai leader mondiali: 5 Paesi (Francia, Usa, India, Germania e Brasile) hanno aumentato la loro intensità di carbonio e per il sesto anno consecutivo l’obiettivo globale di riduzione delle emissioni di CO2 non è stato centrato. L’obiettivo si basa sulle proiezioni di crescita economica e il bilancio previsto dall’Ipcc, che ha consigliato la massima quantità di emissioni legate all’energia che i mondo può emettere in questo secolo per limitare il riscaldamento globale a 2 ° C. A questo ritmo, entro 20 anni, avremo bruciato tutto il carbon budget che abbiamo a disposizione per l’intero secolo. Infatti, secondo il rapporto, se i Paesi vogliono davvero ridurre le loro emissioni per centrare l’obiettivo minimo dei 2° C, il mondo deve ridurre l’intensità di carbonio del 6,2 % all’anno, da subito e fino al 2100, cioè più di cinque volte l’attuale tasso dell’economia globale dell’1,2%. Per spiegare di cosa si tratta il Pwc fa l’esempio del Paese nel quale ha sede, la Gran Bretagna: «Tale tasso dovrebbe anche raddoppiare il livello di decarbonizzazione raggiunto nel Regno Unito durante il rapido passaggio alla produzione di energia elettrica a gas negli anni ‘90».
Il rapporto cita anche gli avvertimenti dell’Ipcc sulle conseguenze della mancata mitigazione del riscaldamento globale, compresi «stress idrico, le minacce alla sicurezza alimentare, inondazioni costiere, eventi meteorologici estremi, cambiamenti degli ecosistemi ed estinzione delle specie terrestri e marine» e ricorda che «In un’economia fortemente globalizzata, nessun Paese verrà risparmiato, dati che gli impatti dei cambiamenti climatici si ripercuotono in tutto il mondo, perché colpiscono catene di approvvigionamento interdipendenti e flussi di persone e investimenti».
Per la prima volta il rapporto PwC analizza le performance dei cosiddetti E7 (China, India, Russia, Indonesia, Brasile, Messico e Turchia), le grandi economie emergenti che non fanno parte del G7 (Usa, Giappone, Germania, Francia, Gran Bretagna, Italia e Canada) e ne viene fuori che Paesi ancora in via di sviluppo come Cina, Messico e India sono per tagliare loro intensità di carbonio ad un tasso superiore rispetto a paesi sviluppatissimi ed iperteconologici come Usa e Giappone.
Il PwC evidenzia che i negoziati internazionali sul clima, a partire dal Climate Leaders’ Summit Onu che si terrà a New York City tra qualche giorno e finendo con la Conferenza delle parti dell’Unfccc del 2015 a Parigi, determineranno se davvero i Paesi del mondo vogliono rimanere in pista per ridurre le emissioni facendo in modo di evitare una catastrofe climatica globale. Il rapporto sottolinea che «nel complesso, per rimanere all’interno del bilancio globale del carbonio, da parte del blocco G20 le emissioni annuali legate all’energia dovrebbero diminuire di un terzo entro il 2030 e poco più della metà entro il 2050. Gran parte del dibattito nei negoziati sul clima si è incentrato sulla responsabilità e su come condividere l’onere tra Paesi sviluppati e in via di sviluppo, come definito nel 1992 dall’Unfcc. Indipendentemente dal modo in cui il sarà suddiviso il carbon budget, è chiaro che le economie sviluppate ed emergenti devono affrontare la sfida di far crescere le loro economie, mentre contengono radicalmente le emissioni».