Dopo l’articolo "Sole e vento, Terna fa il pieno è boom delle fonti rinnovabili" (vedi link), l’ultima puntata di report e il decreto approvato dal governo (vedi documento allegato), ai quali sono seguiti altri all’Ing. Carlo Manna di Enea, estensore del rapporto Energia e Ambiente 2010interventi alcuni dei quali greenreport ha già ospitato, continuiamo ad approfondire il tema delle energie rinnovabili in Italia – sperando di contribuire a fare anche un po’ di chiarezza – intervistando l’ing. Carlo Manna dell’Enea, che ha realizzato il Rapporto Energia e Ambiente.
Ingener Manna, ma allora siamo davvero in una bolla?
«Le fonti low-carbon sono, prima ancora che un’ottima opportunità d’investimento, una scelta obbligata per rispondere al problema dei cambiamenti climatici e della sicurezza energetica, un investimento che potrebbe consentire di modificare la rotta del sistema economico energetico mondiale in direzione di uno sviluppo più sostenibile. Negli ultimi cinque anni si è assistito infatti ad una forte crescita dell’economia connessa all’energia pulita – spinta anche da importanti stanziamenti inseriti nei pacchetti di stimolo in molti grandi paesi – che sono stati destinati a finanziare proprio i settori dell’energia pulita, compresi quelli dell’efficienza energetica e delle infrastrutture di trasporto e distribuzione. D’altra parte gli investimenti nei settori "verdi" hanno dimostrato di tenere meglio alla crisi economica rispetto a quelli nei settori energetici tradizionali. Il fotovoltaico, ad esempio, ha subito una flessione di circa il 7% contro il 19% dei settori dell’industria del petrolio e del gas e, complessivamente, nel 2009 in Europa gli impianti a fonti rinnovabili hanno costituito oltre il 60% della nuova capacità totale installata. Si è dunque avviato, come sottolinea la stessa Agenzia Internazionale dell’Energia, un processo di "decarbonizzazione" del sistema economico ma perché questo processo assuma un carattere strutturale – e non si risolva quindi in una bolla – dovrà essere sostenuto da una forte volontà politica e da adeguate misure di sostegno».
A fronte di questo aumento di produzione da rinnovabili è vero che non c’è stata alcuna riduzione di produzione da fonte fossile?
«Non è così: abbiamo assistito nel 2009 ad un calo significativo della domanda di energia da fonti fossili anche se questo non ha praticamente inciso sull’indice della dipendenza energetica che, essendo legato ai volumi delle importazioni di fonti primarie, non può che muoversi con ritardo rispetto alla domanda. Nel 2009, infatti, la crisi economica ha indotto un calo complessivo della domanda di energia primaria pari al 5,8% che è il risultato, per il 7,4% , della contrazione delle fossili e, rispettivamente, per l’1,2% e per lo 0,5% della crescita dell’energia da fonti rinnovabili e dell’importazione di energia elettrica . Le rinnovabili sono cresciute in percentuale del 13% rispetto al 2008 arrivando a coprire nel 2009 l’11% della domanda totale: sono numeri interessanti ma ancora non tali da modificare sostanzialmente il mix energetico nel nostro Paese».
Che energia importiamo dall’estero? E’ vero che, come dice Saglia, il certificato di provenienza "da fonti verdi" è falso?
«In effetti non esiste oggi un meccanismo trasparente che consenta la tracciabilità dei flussi di energia e quindi la verifica della sua origine. E’ responsabilità dei singoli Paesi emettere il certificato di provenienza dell’energia da un impianto alimentato da fonte rinnovabile e di conseguenza se un determinato quantitativo di energia importato in Italia è accompagnato da tutta la documentazione richiesta, non è possibile contestarne la veridicità. Il Gestore dei Servizi Energetici, GSE, che è l’organo predisposto in Italia al controllo della garanzia d’origine dell’energia importata, ha raggiunto un accordo con i gestori di rete svizzero, austriaco e sloveno, che consente di effettuare delle verifiche dirette delle produzioni da rinnovabili attraverso sistemi informatici. In questo modo gli importatori di energia verde da questi Paesi sono esonerati dal presentare la documentazione cartacea; in prospettiva lo sviluppo di reti intelligenti (smart grid) potrà contribuire a risolvere con maggiore trasparenza il problema della tracciabilità dei flussi di energia».
E’ pensabile/auspicabile/realizzabile un futuro dove l’Italia produce energia solo da fonti rinnovabili e senza importare nulla?
«E’ sicuramente pensabile e anche auspicabile se parliamo dell’importazione di fonti primarie fossili, infatti oggi importiamo energia elettrica da altri Paesi europei ad un costo vantaggioso. L’obiettivo da raggiungere, insieme a quello della mitigazione delle emissioni serra, è quello della sicurezza dell’approvvigionamento a cui sicuramente le rinnovabili potranno dare un contributo che dipende in gran parte dall’efficacia con cui verrà portato avanti a livello globale un processo di accelerazione dell’innovazione tecnologica. E questo dipende dal volume degli investimenti in ricerca e sviluppo industriale, ma anche dalla crescita – in primis nei paesi già fortemente industrializzati o in via di rapida industrializzazione – della consapevolezza e quindi della cultura dell’energia e, più in generale, dell’uso delle risorse del pianeta.
L’esigenza di affrancarsi dalle fonti fossili si pone in prospettiva a livello globale e non tanto per i problemi di disponibilità di queste fonti, tenuto anche conto della disponibilità delle cosiddette "fonti fossili non convenzionali", quanto per le implicazioni ambientali connesse al loro utilizzo. L’Agenzia Internazionale per l’Energia (IEA), nelle più recenti analisi di scenario, prospetta la possibilità di arrivare nel 2035 a coprire oltre un quarto della domanda di energia primaria mondiale attraverso le rinnovabili mentre l’aumento dell’efficienza nei processi di generazione e di uso finale dell’energia potrebbero coprire fino al 70% delle riduzioni di emissioni necessarie per non superare la soglia di sicurezza.
D’altra parte gli scenari energetici di tutte le più autorevoli agenzie segnalano come urgente l’avvio di un processo di de carbonizzazione del sistema economico, da sostenere con forti investimenti nelle tecnologie per l’efficienza energetica, nelle tecnologie per le rinnovabili, e in quelle che potranno consentire un uso pulito delle fonti fossili, mi riferisco al nucleare e alla CCS, cioè la cattura e il confinamento della CO2 emessa nei processi di produzione energetica da fonti fossili. Sono proprio queste ultime tecnologie che potranno accompagnarci in una transizione soft ad un sistema low-carbon riducendo i rischi dei cambiamenti climatici indotti dalla crescita delle emissioni in atmosfera. Pur esserdo evidente l’avvio di un processo di de carbonizzazione infatti ancora per alcuni decenni il sistema energetico mondiale rimarrà legato, seppur in maniera via via ridotta, alle fonti fossili.
E per l’energia necessaria per "scaldare" le nostre case e gli uffici qual è la soluzione più ecologica e attualmente più percorribile?
«Se il nostro obiettivo è quello di ridurre la domanda di energia, a parità di servizio, la prima cosa da fare è quella di aumentare l’efficienza energetica degli edifici attraverso la sostituzione di infissi, la coibentazione delle superfici disperdenti, l’eliminazione di apparecchi energivori come lo scaldabagno elettrico sostituito ad esempio con pannelli solari termici, la sostituzione della caldaia con sistemi a più alta efficienza. Non vanno poi trascurati sistemi di gestione e controllo dei servizi di climatizzazione e di illuminazione in grado di ridurre gli sprechi.
La percorribilità di tali soluzioni – nel lungo termine comunque vantaggiose per l’utente – è legata soprattutto alla possibilità di accedere ad agevolazioni economiche, attraverso prestiti agevolati o altri meccanismi gestiti da banche o da società costituite ad hoc come le ESCo (Energy Service Company) o concedendo benefici fiscali, come nel caso del meccanismo del 55% che come noto consente una riduzione sull’IRPEF di una parte della somma impegnata per interventi di efficientamento energetico. Su questo fronte si potrebbe, e credo proprio si dovrebbe, fare molto di più soprattutto, da parte dello Stato, che potrebbe dare il buon esempio intervenendo sul patrimonio pubblico».
Gli incentivi italiani sono alti, giusto ridurli? Fino a quando si dovranno sostenere questi incentivi?
«E’ ormai unanimente riconosciuto come alcuni incentivi alle rinnovabili siano molto alti; quelli al fotovoltaico, ad esempio sono tra i più alti a livello mondiale. Ci sono invece settori, come quello dell’efficienza energetica e del solare termico che meriterebbero una maggiore attenzione. E’ altresì evidente come tali incentivi vadano ridotti nel tempo in proporzione al grado di maturità della tecnologia utilizzata e quindi dello sviluppo dei rispettivi mercati fino ad annullarsi una volta raggiunta quella che chiamiamo la "grid parity" cioè nel momento che – tenuto naturalmente in debito conto tutte le esternalità connesse alla produzione di energia – il costo dell’energia da fonti rinnovabii diventi confrontabile con quello da fossili. Ad esempio, nel caso del fotovoltaico, oggi tra le tecnologie più costose, l’Agenzia per l’Energia prevede che la parità di costo, a seconda del paese considerato, potrà avvenire nell’arco di 5-10 anni e l’Italia, dato l’elevato grado di insolazione e l’elevato costo del kWh, sarà probabilmente tra i primi Paesi a raggiungerlo. Dobbiamo poi dire che gli incentivi di cui stiamo parlando sono incentivi rivolti alla domanda che, pur avendo determinato in Italia una forte crescita della capacità di generazione da fonte rinnovabile, non hanno però favorito una corrispondente crescita di capacità produttiva; su questo fronte infatti l’Italia sconta ancora un deficit commerciale di una misura maggiore della media dei Paesi europei. Questo vuole dire, ad esempio, che andrebbe esplorata la possibilità di mettere in atto, come ad esempio avviene in Germania, misure integrate in grado di determinare uno sviluppo armonico dei settori coinvolti e dedicando maggiore attenzione al supporto delle attività nel campo della ricerca scientifica e tecnologica».
Ha dunque una ratio condivisibile il decreto del governo che tagli i certificati verdi?
«Al di là di una necessaria rimodulazione delle quote di incentivo, questo schema di decreto prevede che alla fine del 2012 avvenga il passaggio da un sistema a quote come quello dei CV verso uno basato su una tariffa fissa applicata a tutte le fonti, come avviene ad esempio in Germania. Un sistema a tariffa fissa, sul tipo dell’attuale conto energia per il fotovoltaico, darebbe maggiore certezza del valore dell’incentivo che non sarebbe più legato all’andamento del mercato dei titoli (CV) ma predeterminato e stabile per un certo arco temporale. Tale modalità d’incentivazione è anche più semplice da gestire a livello amministrativo e questo costituirebbe sicuramente un vantaggio di non poco conto per un paese come l’Italia dove gli impedimenti burocratici costituiscono un forte freno agli investimenti in settori innovativi. Inoltre, data l’impossibilità di programmare la produzione di energia da alcune fonti rinnovabili, in quanto legata alla disponibilità naturale della fonte energetica (vento, sole, ecc.), l’applicazione di una tariffa fissa consentirebbe, almeno in parte, di compensare l’incertezza del valore della produzione e quindi di ridurre ulteriormente il rischio d’investimento».
Home Cosvig Rinnovabili, Manna (Enea) a greenreport: «Contro pericolo bolla serve forte volontà politica...