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Quei sogni raggiungibili con l’efficienza energetica

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L’efficienza è la vera miniera di un’Italia certamente meno sprecona di altri (anche in Europa) ma maledettamente dipendente, più di ogni altro, dalle fonti fossili di importazione, monopolizzata dal gas, protesa verso le rinnovabili ma a costi esorbitanti distribuiti anch’essi all’insegna dell’inefficienza economico-finanziaria-amministrativa.

Fonte: Il Sole 24 Ore

Autore: Federico Rendina

Il 30% in meno dei consumi nell’industria a parità di produzione. Ed ecco, nel frattempo, la nostra automobile che raddoppia il rendimento energetico tagliando del 40% i costi di esercizio. E poi la grande sorpresa (ma non per gli esperti): le nostre case sono pronte a ridurre addirittura ad un terzo il consumo di energia, anche se ruolo di apripista nella riconversione e modernizzazione all’insegna dell’efficienza andrà (o meglio, dovrebbe andare) agli immobili pubblici, vere sanguisughe energetiche. Sorprese davvero mirabolanti quelle contenute nelle stime e negli auspici degli esperti: è l’efficienza la vera miniera di un’Italia certamente meno sprecona di altri (anche in Europa) ma maledettamente dipendente, più di ogni altro, dalle fonti fossili di importazione, monopolizzata dal gas, protesa verso le rinnovabili ma a costi esorbitanti distribuiti anch’essi all’insegna dell’inefficienza economico-finanziaria-amministrativa. La bozza di strategia energetica nazionale messa in campo dall’ultimo governo super-tecnico? Forte, inutile nasconderlo, il contrasto tra i buoni obiettivi e l’assenza delle scelte strategiche necessarie. Come dimostra un suggerimento ricorrente nelle osservazioni emerse dalla consultazione pubblica sul progetto governativo. Lo sintetizza bene non solo la Confindustria, che da almeno un quinquennio fa dell’efficienza il faro di ogni studio sull’energia, ma anche, tra gli altri, in due paginette consegnate al Ministero dello Sviluppo, un sindacalista stimato: Carlo De Masi, segretario dei lavoratori elettrici della Cisl. Troppe centrali elettriche a gas nate in Italia sull’onda di una apertura del mercato forse mal governata? Siccome il vettore elettrico è diventato il più efficiente, orientiamo lì, e non solo con lo sviluppo delle rinnovabili, il sistema degli incentivi. Ecco allora la mobilità elettrica e la climatizzazione con l’ausilio delle pompe di calore negli immobili. Ecco l’idea di accompagnare la progressiva chiusura delle centrali elettriche più vecchie sostituendole con una quota più significativa di centrali a carbone pulito di ultima generazione (almeno altre tre o quattro) rimediando così parzialmente alla nostra sciagurata mono-dipendenza dal gas metano. Ottenendo oltretutto un prezioso effetto volano sulla produzione industriale e sull’occupazione, insiste De Masi. Il ministero ha qualche giustificazione. Parlare di carbone, ancorché pulito, è a molti indigesto. Premere con vera decisione sulla sostituzione di auto tradizionali con quelle elettriche si scontra con interessi consolidati. Ma qualche sensibilità in più dal nuovo governo di imminente arrivo potrebbe essere gradita. Perché i traguardi da sogno che abbiamo tracciato in apertura di questo articolo sono considerati, non solo da noi, più che raggiungibili. Un report redatto nel novembre scorso dal Politecnico di Milano azzarda addirittura un possibile dimezzamento della bolletta energetica dell’industria al 2020, sull’onda di una combinazione tra normative e incentivi economicamente più che sostenibili (nulla a che fare con il salasso creato negli ultimi anni dal fotovoltaico) che potrebbe tagliare il fabbisogno della sola elettricità delle imprese di 64 terawattora l’anno. Per fare qualche esempio analitico prendiamo appunto i due settori dell’edilizia e dell’auto elettrica. La stabilizzazione degli incentivi del 55% per interventi sull’efficienza energetica degli edifici, lo strumento che ha dimostrato di garantire un buon ritorno sia tecnico che economico, è una richiesta praticamente unanime. Ma le istituzioni non sono ancora in grado di dare certezze a lungo termine. E che dire della proposta di assoluto buonsenso e di facilissima applicazione appena formulata dall’Enea nel suo ultimo rapporto sull’efficienza energetica? Eccola: al groviglio di tasse che pesano sugli immobili, e che dovranno comunque essere definite, si potrebbero incorporare e modulare tutti gli incentivi all’efficienza, sia quella già realizzata negli ultimi anni sia quella da cumulare agli interventi già effettuati. Fino a legare direttamente le future rendite catastali (peraltro in corso di revisione) «al miglioramento delle prestazioni energetiche dell’edificio». Con «un effetto di forte stimolo per il settore», che come ben sappiamo è in crisi profonda. Sull’auto elettrica ecco gli incentivi all’acquisto appena varati. Ma basta scorrere i modelli sul mercato per verificare l’imbarazzante assenza del made in Italy. Sulla creazione di una filera industriale nazionale pesano preziose occasioni buttate al vento. C’era, sostenuta anche qui da ampio consenso politico (a parole), l’idea di fare dello stabilimento siciliano dismesso dalla Fiat a Termini Imerese un polo consortile della mobilità elettrica, in sinergia con la ricerca sul fotovoltaico, magari anche qui con produzione annessa. Un’idea, e basta. Auto elettrica ancora immatura? Ferve il dibattito. Ma in una prospettiva neanche troppo lunga la sfida potrà e dovrà essere vincente. Già oggi, con uno sviluppo delle stazioni di ricarica e delle economie di scala nei mezzi a quattro e a due ruote (oggi oggettivamente stracari) la maggiore efficienza energetica complessiva del mezzo elettrico ne fa traguardare la competitività assoluta. Lo testimoniano, tra gli altri, un recentissimo studio dell’Università della California e un report di Boston Consulting Group. Guai – ammoniscono i ricercatori americani – a cadere nel mito dei biocarburanti nell’illusione di rivitalizzare il futuro del motore a scoppio: i motori elettrici hanno rendimenti superiori al 90%, mentre biocarburanti che finiscono nei motori a scoppio si disperdono per tre quarti in calore di scarto. E poi, fattore ancora più indicativo, i biocombustibili richiedono fino a 200 volte più terreno per produrre energia rispetto agli stessi kilowatt generati dal fotovoltaico. E le stesse proporzioni valgono anche per le emissioni di CO2. I costi della componentistica necessaria all’auto elettrica? Prevede Boston Consulting che le batterie, il componente più oneroso anche a causa della vita operativa relativamente breve, da qui al 2020 godranno di un crollo dei costi vicino al 70%, raggiungendo la soglia di assoluta competitività di 400 dollari per kilowattora di capacità. A quel punto non ci sarà storia, almeno per la mobilità urbana. Non fare di tutto per attrezzarsi per tempo sarebbe, per il nostro paese, una scelta davvero sciagurata.