Home Geotermia News Mercato geotermico italiano: A che punto siamo secondo EGEC

Mercato geotermico italiano: A che punto siamo secondo EGEC

Dumas: «In Italia c’è una certa diffidenza supportata da una disinformazione che in qualche caso sembra quasi intenzionale, mi riferisco in particolare ad alcuni comitati presenti in Toscana. Consapevolezza, comunicazione e partecipazione potrebbero sicuramente giovare»

1058
0
CONDIVIDI

Dumas: «In Italia c’è una certa diffidenza supportata da una disinformazione che in qualche caso sembra quasi intenzionale, mi riferisco in particolare ad alcuni comitati presenti in Toscana. Consapevolezza, comunicazione e partecipazione potrebbero sicuramente giovare»


Il Consiglio Europeo per l’Energia Geotermica (EGEC) ha pubblicato l’European geothermal market report 2020, ovvero il più aggiornato e completo prospetto sull’andamento del mercato geotermico europeo: una pubblicazione aggiornata ormai da un decennio, durante il quale molto è cambiato nell’impiego del calore naturalmente presente nel sottosuolo.

Il periodo 2010-2020 è stato infatti «un decennio di crescita sostenuta» per la geotermia europea, interrotto proprio in chiusura dalle ricadute economiche della pandemia da Covid-19, ma anche da percezioni distorte nella cittadinanza e nella politica che alimentano sindromi Nimby e Nimto.

Nonostante i rallentamenti, i numeri della geotermia europea restano infatti confortanti: a fine 2020 risultavano presenti 3,5GWe di capacità geotermica installata per la produzione di energia, suddivisi su 139 centrali (di cui 34 presenti in Italia, storicamente concentrate in Toscana).

Anche il settore del riscaldamento e raffrescamento risulta ormai robusto.

«Il mercato europeo delle pompe di calore geotermiche ha proseguito lungo le recenti tendenze, stabili nel 2020 nonostante le significative diminuzioni delle vendite in alcuni mercati nazionali (come la Polonia) a causa della pandemia di coronavirus», informano dall’EGEC; al contempo nell’ultimo anno risultavano in esercizio «350 impianti di teleriscaldamento geotermico e altri 232 in varie fasi di sviluppo».

Eppure il rallentamento degli investimenti nel comparto è stato evidente.

«Nessun nuovo Paese (a parte la Turchia) ha commissionato una centrale geotermica nel 2020 – osservano dall’EGEC – e nel 2020 non è stato definito l’arrivo di nessun nuovo sistema di teleriscaldamento, a parte l’estensione di Hellisheiði in Islanda».

Un contesto che secondo il Consiglio conferma ancora una volta che l’energia geotermica ha bisogno di politiche di sostegno, una concorrenza leale – con un prezzo del carbonio adeguato e la fine dei sussidi ai combustibili fossili – e un quadro politico ben definito per licenze, autorizzazioni e investimenti in innovazione.

«Gli ultimi 10 anni hanno evidenziato la rapidità con cui il settore geotermico può evolversi, tuttavia – conclude nel merito il segretario generale dell’EGEC, Philippe Dumas – l’ultimo decennio racconta anche una storia di opportunità mancate, con alcuni Paesi che non sono stati all’altezza delle aspettative. Ciò è dovuto principalmente a decisioni politiche inadeguate, alla mancanza di riconoscimento del suo enorme potenziale e all’insufficiente consapevolezza della sua competitività».

Come spiega proprio Dumas in un’intervista al quotidiano greenreport.it, la necessità di investire in buona informazione e comunicazione ambientale è particolarmente marcato soprattutto in un Paese come il nostro: «Sicuramente in Italia c’è una certa diffidenza nei confronti di progetti che, in qualche misura, alterino il territorio. E sfortunamente, a volte questa diffidenza è supportata (o addirittura creata) da una disinformazione che in qualche caso sembra quasi intenzionale. Mi riferisco in particolare ad alcuni comitati contro la geotermia presenti in Toscana, che continuano ad utilizzare informazioni vecchie e superate da dati scientifici che oggi invece evidenziano la sostenibilità della geotermia secondo tutti gli indicatori ambientali (qualità dell’aria, uso del territorio e risorse idriche per menzionarne solo alcuni). Da questo punto di vista, il lavoro fatto dal progetto di ricerca europeo Geoenvi, appena concluso, è fondamentale. Una maggiore consapevolezza, basata su dati scientifici ed esperienza decennale, una capillare campagna di comunicazione, e una partecipazione pubblica più attiva potrebbero sicuramente giovare all’espansione della geotermia. E potrebbero finalmente portare i cittadini a dire “Yes, in my backyard” (Sì, nel mio cortile, ndr)».

Si tratta dunque di proseguire con quanto di buono fatto finora, senza disperdere il capitale di conoscenze sulla geotermia accumulato in Italia ormai da oltre due secoli, per quanto riguarda i suoi usi sia elettrici sia termici.

«Dopo la Turchia, l’Italia – conferma Dumas a greenreport – continua ad essere il maggiore produttore di energia elettrica da geotermia, con 916 MWe di capacità installata che corrisponde a 6 TWh di elettricità geotermica prodotta. Il potenziale in Italia è significativo, ma la crescita nell’ultimo decennio è risultata molto lenta. Nonostante l’industria geotermica italiana abbia diversi progetti in cantiere che potrebbero raddoppiare il numero degli impianti presenti sul territorio, il quadro dei permessi e delle certificazioni ha lasciato questi progetti nel limbo per quasi un decennio».

E lo stesso vale per gli usi termici della geotermia: «L’Italia è al quinto posto per numero di progetti di distretti di riscaldamento e raffreddamento in Europa, con circa 25 progetti già operativi (corrispondenti a 0,2 TWh) e 16 in programma. Tuttavia, assistiamo all’emergere di nuovi mercati (la Polonia ad esempio) che stanno pianificando un alto numero di progetti e potrebbero superare l’Italia in poco tempo. Le pompe di calore geotermiche, invece, non sono riuscite a diffondersi in maniera capillare, nonostante si dimostrino una delle tecnologie più pulite, efficienti ed economiche sul lungo lungo periodo. Neppure il Superbonus, che offre il 110% di deduzione fiscale per le ristrutturazioni o l’Ecobonus che propone una deduzione fiscale del 65% sulle pompe di calore, sono riuscite finora ad invertire la tendenza».