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L’INDUSTRIA E I POLI DELL’INNOVAZIONE

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I distretti della ricerca

La bottega che forma lo spirito d’impresa
L’istituto universitario pisano ha generato 39 spin-off: guidano robotica, microingegneria, Ict e biomedicale

Fonte: Il Sole24ore

Autore: Cesare Peruzzi

Tra gli obiettivi strategici dell’Unione europea per il 2020 c’è la crescita dello spirito imprenditoriale. La Scuola superiore Sant’Anna di Pisa ha scelto questa missione fin dai primi anni ’90 del secolo scorso, dopo la trasformazione da collegio in istituzione universitaria autonoma, nel 1987. Con risultati fin qui record: 39 gli spin-off generati (di cui 34 ancora attivi e 26 accreditati), nelle applicazioni hi-tech di robotica, fotonica, microingegneria, biomedicale, Ict, ambiente e consulenza finanziaria.
«La carta vincente è stata quella di guardare a una visione innovativa dell’eccellenza, superando la tradizionale preminenza teorica che portava a un naturale isolamento accademico, in favore di un rapporto equilibrato tra conoscenza e esigenze della società, in modo da orientare opportunamente le attività di formazione e di ricerca», spiega Riccardo Varaldo, 77 anni, economista e professore emerito del Sant’Anna, di cui è stato direttore (dal 1993 al 2004) e poi presidente fino a un anno fa, quando gli è succeduto Giuliano Amato che presiede anche l’associazione degli ex allievi.
Varaldo è in qualche modo il padre nobile dell’attuale Scuola guidata dal rettore Maria Chiara Carrozza (dimissionaria perchè eletta in parlamento). Ed è l’ispiratore di quell’apertura mentale nei confronti delle imprese, sia come disponibilità al dialogo che come abbattimento delle barriere burocratiche per collaborare, che ha ispirato l’ex collegio Sant’Anna negli ultimi quindici anni, facendolo diventare un punto di riferimento a livello italiano e internazionale nell’attività di ricerca, sperimentazione e trasferimento tecnologico, con un ruolo trainante nell’area pisana, dove oltre all’Università operano realtà importanti come il Cnr, la Scuola Normale e, a valle della filiera di formazione, una rete di incubatori e parchi tecnologici che va da Navacchio a Pontedera.
Dalle aule e dai laboratori del Sant’Anna passano circa 2mila studenti all’anno, di cui 300 seguono i corsi ordinari (nel campo delle scienze giuridiche, politiche, agrarie, biotecnologiche, mediche, di ingegneria industriale e dell’informazione, con altrettanti istituti di ricerca), 300 dottorandi e 150 impegnati nei master. I docenti, ordinari e associati, sono 60 ma l’attività ne coinvolge nel complesso circa mille. Il budget annuale è di 50 milioni: poco più di 24 da finanziamenti pubblici (fondi europei), il resto sono contributi privati.
«Abbiamo attuato un processo di progressiva de-statalizzazione del nostro bilancio – spiega Varaldo – così come ci siamo focalizzati su una tipologia d’insegnamento e di docenti che fosse aperta e predisposta a dialogare con le aziende: quelle del territorio e le multinazionali».
Il risultato di questa impostazione sono cinque laboratori congiunti: a Pisa, con Ericsson (nato nel 2001, ha fatto da apripista) e con Telecom Italia; a La Spezia con Oto Melara (dal 2005); a Catania con StMicroelectronics (dal 2011). Ai quali si aggiunge quello realizzato nel 2003 a Tokyo, poi replicato a Pontedera, con Waseda University per mettere a punto una versione italiana del robot umanoide. «Sono esperienze emblematiche di un metodo: è nella nostra natura sperimentare e avere un ruolo d’avanguardia, con una forte sensibilità alle applicazioni e al rapporto con le imprese», dice Andrea Piccaluga, docente di management e delegato al trasferimento tecnologico della Scuola Sant’Anna.
La collaborazione con Telecom Italia, per esempio, ha fatto partire un master per la formazione di nuove figure professionali che nel prossimo futuro saranno utili al settore e all’azienda. Ma l’approccio è uguale in ognuno dei sei istituti di ricerca del Sant’Anna. «In molti casi, ci poniamo come suggeritori nei confronti delle aziende e la contaminazione intersettoriale è all’ordine del giorno, anche in settori non hi-tech», spiega Pierdomenico Perata, docente di fisiologia vegetale e prorettore della Scuola pisana. «Qui formiamo persone preparate a portare innovazione nelle aziende», aggiunge.
Dai laboratori di ricerca congiunti agli spin off, gli incubatori di startup, ai parchi tecnologici. «Le imprese nascono ma fanno fatica a crescere», dice Paolo Dario, docente di robotica biomedica e direttore dell’istituto di biorobotica della Scuola Sant’Anna, basato nel polo di Pontedera. L’idea di far dialogare ricerca, industria e territorio, si concretizzò qui nel biennio ’95-97 grazie a Varaldo, all’allora primo cittadino di Pontedera, Enrico Rossi (oggi presidente della Regione Toscana) e a Giovannino Agnelli, in quel momento presidente della Piaggio.
All’esperienza di Pont-tech, che prosegue come parco tecnologico nella grande area dismessa dalla fabbrica della Vespa, si è affiancata dal 2002 l’attività formativa del Sant’Anna, con 12 docenti e 85 dottorandi. «Siamo come una bottega rinascimentale, dove pochi maestri formano tanti giovani – dice Dario -. Lavoro di squadra e multidisciplinarietà: è questa la vera scuola per diventare imprenditori del futuro».
La nuova frontiera è nell’interrelazione tra settori formativi. E nella definitiva affermazione di un «modello di graduate school d’eccellenza, molto orientato alla ricerca, a forte vocazione internazionale e nel contempo aperta all’esterno e sul territorio», come sottolinea Varaldo. Una formula che purtroppo ancora si scontra con la consolidata settorizzazione delle riviste scientifiche, che rende più difficile le pubblicazioni; e con le resistenze dei professori. «I docenti devono fare due passi indietro, per farne due avanti», suggerisce Perata. Che conclude: «I finanziamenti pubblici, inoltre, sono troppo mirati e creano rigidità per ottenerli».
Anche per questo la Scuola Sant’Anna punta a un ulteriore incremento della parte privata del suo budget.