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L’energia verde cresce. Ma gli incentivi sono a rischio

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In Italia si è consolidata la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili. Anche grazie agli incentivi pagati da tutti i consumatori nelle bollette. Aiuti che 
il governo vuole mettere in discussione

Fonte: L’Espresso

Autore: Maurizio Maggi

  

A far pesare sempre più il sole, il vento e l’acqua nella produzione di energia elettrica pulita ci penseranno, nei prossimi mesi, pure la Corte costituzionale e le Nazioni Unite. La Consulta, infatti, deve sentenziare definitivamente sulle sorti del decreto “spalmaincentivi” emanato nel giugno del 2014 – che rimodula, ribassandoli, i sussidi per gli impianti fotovoltaici di grandi dimensioni – già impallinato dal Tribunale amministrativo del Lazio, tirato in ballo dal ricorso delle associazioni che rappresentano i “fabbricanti” di energia da fonti rinnovabili, infuriati per la retroattività del provvedimento.

Mentre dal 30 novembre all’11 dicembre, a Parigi, si terrà l’atteso Cop 21, l’assise internazionale sul clima, evento che vede l’Onu scendere in campo direttamente per spingere tutti i Paesi a impegnarsi per un accordo universale e “costrittivo” sul clima, combattendo seriamente i gas a effetto serra. I grandi della terra – si spera – dovranno trovare un virtuoso compromesso tra l’approccio dell’accordo di Kyoto (con la matematica divisione degli impegni sul taglio delle emissioni)- e quello di Copenaghen (un cocktail di iniziative nazionali, non vincolanti e spesso non paragonabili). 

Un obiettivo per nulla banale, ma nell’avvicinarsi al Cop 21 in tanti hanno lanciato segnali tosti, da Barack Obama – che all’inizio di agosto ha promesso di ridurre del 32 per cento le emissioni di anidride carbonica (rispetto al 2005) – ai leader di Pechino che hanno annunciato di voler affrontare, finalmente, i problemi delle maxi-emissioni dannose con piglio deciso, con il 2030 come traguardo. La Cina, che in questi giorni tiene banco per la crisi della Borsa e non per il suo clamoroso livello di inquinamento, è responsabile di oltre un quarto delle emissioni mondiali di CO2; gli Stati Uniti sono al 16 per cento, l’Unione europea all’11 per cento.

Senza trascurare l’intemerata dell’ospite del Cop 21, il ministro dell’Ambiente francese Ségolène Royal, madrina della nuova legge che quadruplicherà la cosiddetta “carbon tax”. In Francia, si pagheranno 56 euro per tonnellata di fonti fossili usate per l’energia dal 2020, e nel 2030 si arriverà addirittura a cento euro. La Royal punta a far salire al 32 per cento del consumo totale le energie verdi, abbattendo la produzione di energia termica e limando le unghie a quella nucleare. A quei livelli, l’Italia c’è già arrivata. L’anno scorso, dicono i dati di Terna, il 37,5 per cento dell’energia consumata in Italia è stata prodotta dalle fonti rinnovabili). 

Più sole meno acqua
Più sole meno acqua

Se si esclude dal conteggio l’energia importata e si calcola soltanto la produzione domestica, si sale al 43 per cento. Nei primi sette mesi del 2015, con i consumi in crescita e le scarse piogge a frenare le centrali idroelettriche, nel suo resoconto mese per mese, Terna colloca la quota delle rinnovabili poco sotto il 31 per cento (vedi grafico a pagina 39). Ma in realtà, la fetta è più alta, visto che in corso d’anno la società di gestione della rete colloca le bioenergie all’interno del termoelettrico, per poi scorporarle nei primi mesi dell’anno successivo. Così, se consideriamo per questa fonte rinnovabile una percentuale simile a quella del 2014 – quand’era stata del 5,8 per cento – la partecipazione delle energie “verdi” sale al 36 per cento. La frenata delle rinnovabili è colpa di Giove Pluvio: le scarsissime precipitazioni della prima parte del 2015 hanno fatto crollare il contributo idroelettrico – ovviamente assai influenzato dalla pioggia – da 37,3 a 28,9 terawatt/ora.

TANTISSIMI MINI IMPIANTI
Nonostante gli stop-and-go delle normative sugli incentivi, che da un paio d’anni escludono il fotovoltaico, l’energia solare è destinata a giocare un ruolo sempre più importante nella squadra delle fonti alternative a quelle fossili, anche con la diffusione dei mini impianti per l’autoproduzione. Secondo l’ Aeegsi , l’autorità per l’energia elettrica, il gas e il sistema idrico, il 10 per cento dell’energia è ormai autoprodotto sul posto, sui tetti di abitazioni, capannoni, piccole imprese. Minicentrali – per almeno il 70 per cento alimentate da fonti rinnovabili – che già alla fine del 2013 rappresentavano un quinto della potenza installata nel Paese. «In Italia ci sono circa 600 mila impianti: di questi, 200 mila sono fino a 3 kilowatt, quindi si tratta di installazioni residenziali, mentre 350 mila arrivano a 20 kilowatt. Dunque, per il 90 per cento gli impianti sono piccoli. 

E nel fotovoltaico seguiteranno a crescere, anche per le detrazioni legate alle ristrutturazioni edilizie», sottolinea Alessandro Marangoni, che insegna al master di energia e ambiente alla Bocconi e con la società di consulenza, Althesys , di cui è amministratore delegato, studia gli effetti delle rinnovabili sul sistema Italia. Secondo il suo ultimo rapporto, il bilancio positivo tra i costi (incentivi) e i benefici (ricadute sull’occupazione, riduzione delle emissioni nocive, abbattimento del costo dell’energia elettrica all’ingrosso) tra il 2008 e il 2030 si può stimare tra i 18,7 e i 49,2 miliardi di euro. E le analisi in corso indicano che il bilancio sta migliorando ancora. La limatura del prezzo all’ingrosso, che si è quasi dimezzato in due anni, s’è però riverberata solo in parte sui consumatori, anche se lo scenario parrebbe ideale, in forza della notevole sovracapacità produttiva da fonti tradizionali termiche e dell’accresciuto ruolo delle rinnovabili. «Perché sul consumatore sono ricaduti sia i cosiddetti oneri di sistema, cioè i costi di rete e varie addizionali come per lo smaltimento del nucleare, sia gli incentivi alle rinnovabili», dice ancora Marangoni.

Una cosa è sicura. Senza aiuti di provenienza pubblica, difficilmente l’Italia sarebbe così avanti nella produzione e nell’utilizzo di energie da fonti rinnovabili. Ci è arrivata grazie al fondamentale – e obbligatorio – contributo dei consumatori, visto che gli incentivi sono stati finanziati con un’apposita voce della bolletta. Sul ruolo e il peso di questo aiutino le polemiche sono state infinite. E sono tutt’altro che terminate. C’è chi, come l’economista del Politecnico di Milano Marco Ponti, ha definito i tagli al fotovoltaico addirittura «troppo pochi», auspica la soppressione di ogni genere di incentivo e invoca una carbon tax indicizzata alla reale evoluzione della temperatura della terra.

Sul fronte opposto della barricata c’è Agostino Re Rebaudengo, presidente di AssoRinnovabili , che del decreto “spalmaincentivi” al vaglio della Corte costituzionale, dice: «È un inaccettabile provvedimento retroattivo che allontana gli investimenti dall’Italia, danneggia la credibilità del Paese e tradisce la certezza del diritto». AssoRinnovabili, è l’organizzazione dei produttori di energia elettrica da tutte le fonti rinnovabili: ha oltre mille aziende associate – dai giganti come Enel Green Power fino ai più piccoli – per oltre 21 mila megaWatt di potenza installata (di cui 13 mila in Italia) e un fatturato superiore ai 10 miliardi di euro (di cui il 60 per cento in patria), con circa 20 mila dipendenti (di cui 6 mila oltre confine).

Rebaudengo difende strenuamente il sistema incentivante. «È vero che sulla bolletta incide il sostegno allo sviluppo delle fonti rinnovabili, che negli ultimi anni ha raggiunto i 90 miliardi l’anno (25 centesimi al giorno per una famiglia tipo). Tuttavia, senza le rinnovabili il prezzo all’ingrosso non sarebbe crollato, la dipendenza dall’estero sarebbe elevatissima e le emissioni nocive assai superiori. E non avremmo creato 130 mila posti di lavoro in tutta la filiera, che va dalla costruzione di impianti e componenti alla manutenzione».

IL MOMENTO DI DECIDERE
L’impressione è che l’Italia sia a un bivio. In attesa della decisione della Corte costituzionale e dei risultati del summit parigino, un primo importante segnale dell’atteggiamento del governo Renzi in materia di fonti rinnovabili è atteso nelle prossime settimane. Sul tavolo c’è il decreto sui meccanismi di incentivazioni delle rinnovabili elettriche non fotovoltaiche che sarà valido fino a dicembre 2016. Le bozze circolate dalla tarda primavera hanno suscitato le reazioni acide degli imprenditori, imbufaliti per la drastica riduzione degli incentivi: fino al 40 per cento per il mini-eolico, 18 in meno per il mini-idroelettrico, fino al 17 per cento per i piccoli impianti a biomasse e biogas.

Il decreto, che ha un tetto di 5,77 miliardi, cifra cui si arriva attraverso calcoli e meccanismi da iper-specialisti, inizialmente destinava risorse anche per la riconversione degli ex zuccherifici in impianti a biomasse e agli inceneritori di rifiuti. «Il governo di Matteo Renzi fa dichiarazioni a favore dell’impegno ambientale e poi nelle decisioni concrete, a cominciare dallo spalmaincentivi che fu la sua prima mossa “energetica”, va in direzione opposta, penso anche al via libera a nuove trivellazioni», sottolinea Francesco Ferrante, vicepresidente del Kyoto Club, fondatore del movimento politico Green Italia ed ex parlamentare democratico.

Il governo ha promesso addirittura un Green Act. Dentro il quale non sono previsti aiuti per il fotovoltaico, un settore che ha fatto passi avanti tecnologici così rilevanti da poter comunque camminare con le proprie gambe. «Mettiamo che, incentivato, un piccolo impianto costasse 4 mila euro e si ripagasse in sette anni. Oggi costa la metà e il rientro dall’investimento avviene sempre in sette anni», sostiene Alberto Pinori, vicepresidente di Anie Rinnovabili, l’associazione che raggruppa 355 imprese (produttrici di componenti come l’inverter, il vero cuore delle installazioni di pannelli fotovoltaici) e migliaia di dipendenti. Pinori spera che il fotovoltaico possa rientrare dalla finestra, se l’esecutivo deciderà di agevolare la rimozione dei tetti in Eternit che ancora incombono, per milioni di metri cubi, sulle teste degli italiani. 

Al posto dell’amianto potrebbero essere più ecologicamente piazzati i pannelli solari. «Con gli incentivi questi lavori si fanno, si portano dietro la crescita di aziende specializzate, dunque Irpef versata allo Stato e nuova occupazione. Un’opzione che aiuta lo sviluppo, non un costo per le casse pubbliche». L’eco-bonus smaltisci amianto piace anche a Chiara Braga, responsabile ambiente del Pd, che pensa che il decreto in arrivo sarà più attento alle rinnovabili rispetto alla iniziale stesura e difende lo spalmaincentivi. «Non era perfetto e ha provocato qualche scossone, ma credo che il settore ne abbia preso atto e si sia riallineato. Spero che la Corte non lo bocci». 

Di tutt’altro avviso il presidente di AssoRinnovabili: «La cancellazione della norma risolverebbe anche la procedura internazionale che si è aperta con gli investitori esteri, che hanno messo dei quattrini a certe condizioni e poi se le sono viste stravolgere». Re Rebaudengo, tuona anche contro l’Aeegsi sul tema dei Seu, i Sistemi efficienti d’utenza, il sistema di produzione fino a 20 megawatt, alimentato da fonti rinnovabili o cogenerazione ad alto rendimento, connesso all’impianto per l’uso di un solo cliente finale. «L’autorità interpreta restrittivamente la norma, e sostiene che l’energia prodotta può essere usata solo negli spazi condominiali (scale, cortili, ecc) e non nelle singole abitazioni. L’Italia è piena di condominii, tale interpretazione è un freno assurdo». 

Secondo Pinori di Anie Rinnovabili, ogni ostacolo all’autoproduzione stimola il desiderio degli utenti a staccarsi definitivamente dalla rete. «Ora stanno per arrivare anche in Italia i sistemi commercializzati da aziende come quella che dirigo, la Fronius, che immagazzinano l’energia prodotta col fotovoltaico. Noi facciamo l’inverter che governa la batteria messa a punto da Tesla. L’idea di accumulare energia si diffonderà, prima nelle case: le famiglie non si spaventano se per ripagare la spesa ci vogliono dieci anni». Il fai da te grazie a Elon Musk, l’amico di Obama che s’è inventato le Tesla, le electric-car che piacciono ai divi di Hollywood. Molto chic.