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L’efficienza salva l’ambiente e il business

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Marchi (McKinsey): Italia indietro nella gestione dei rifiuti solidi, virtuosa sull’energia, dove si può risparmiare fino al 15% Wackernagel (Gfn): sopravviveranno solo le imprese sostenibili
L’ANALISI
Il creatore dell’impronta ecologica: alle industrie conviene investire sull’adeguamento delle linee produttive graduale, innovando non solo i processi ma anche i prodotti finali

Fonte: Il Sole 24 Ore

Autore: Laura La Posta

Inquinare, disperdere energia termica o elettrica e sprecare risorse naturali non conviene, ora più che mai. È un dato di fatto: imprese, cittadini, enti pubblici possono trarre vantaggi di lungo periodo dalle loro attività solo se agiscono all’insegna della sostenibilità. E questo non solo per salvare il pianeta da un possibile dissesto ecologico, ma soprattutto perché tagliare gli sprechi, ottimizzare i consumi energetici e produrre in modo più efficiente genera risparmi consistenti. Questo a fronte di investimenti ormai contenuti, grazie al calo dei costi delle tecnologie green. Inoltre per un’industria convertire le produzioni all’insegna della sostenibilità e avviare eventuali bonifiche potrebbe preservare la continuità produttiva degli impianti da possibili futuri provvedimenti giudiziari o norme restrittive. Senza contare gli effetti sulla salute pubblica che l’inquinamento comporta. Il caso dell’Ilva di Taranto – colpita da provvedimenti di sequestro – insegna che la tutela dell’ambiente è sotto i riflettori. Che è tempo di voltare pagina persino nell’Italia dell’insostenibile tasso di consumo di suolo, delle tante procedure d’infrazione europee per la scarsa qualità dell’aria e dell’acqua, delle reiterate deroghe di legge per consentire ai cittadini di bere, in alcune regioni, acqua con alcuni inquinanti oltre i limiti. I cittadini e le imprese questa nuova sensibilità ambientale (e del proprio portafoglio, più pesante dopo aver tagliato gli sprechi) stanno iniziando ad acquisirla. Senza grandi annunci, è in atto una eco-rivoluzione delle abitudini e dei processi produttivi, con investimenti consistenti non solo nel fotovoltaico (sotto accusa per il peso cumulato dei forti incentivi), ma anche negli interventi di razionalizzazione energetica sugli edifici (spinti dalle illuminate detrazioni fiscali portate dal 55% al 65%) e nella lotta agli sprechi (favorita dalla crisi economica). Lo confermano al Sole 24 Ore un guru come Mathis Wackernagel, primo ideatore del metodo di calcolo dell’impronta ecologica delle attività umane e presidente del Global footprint network (Gfn), e un consulente strategico d’impresa come Alberto Marchi, senior partner Energia e sostenibilità di McKinsey & Company. «Gli investimenti per ottimizzare l’impiego delle risorse naturali sono importanti per valutare l’efficienza di un’azienda, ma soprattutto possono evitare rischi di perdite future, anche gravi – spiega Wackernagel -. Il maggiore rischio per un’impresa è basare tutta la sua produzione su asset e linee produttive obsolete, inadeguate a produrre valore aggiunto in un mondo che va verso normative ambientali sempre più restrittive. Alle industrie, conviene quindi investire sull’adeguamento green a piccoli passi, puntando sull’innovazione incrementale non solo dei processi ma anche incorporata nei prodotti finali. Meglio una gradualità su base volontaria che dover fronteggiare all’improvviso una nuova normativa che imporrà, presto o tardi, di spegnere impianti non ancora ammortizzati, magari in un momento di mercato debole». In questo quadro può innestarsi il calcolo dell’impronta ecologica introdotto da Wackernagel e William Rees nel 1996 (che indica quanto le attività quotidiane contribuiscono alle emissioni di anidride carbonica nell’arco di un anno, favorendo i cambiamenti climatici). Un indicatore che può aiutare sistemi economici pubblici o privati a monitorare i consumi di risorse naturali rispetto alla loro disponibilità, non si stanca di ripetere Wackernagel, tra un volo e l’altro del suo "pellegrinaggio" sul pianeta per disseminare semi di conoscenza ambientale mediante conferenze o consulenze a Governi e multinazionali. «L’Italia sta consumando quattro volte più delle risorse naturali a sua disposizione – dice – e questo pone il sistema-Paese a rischio, in un’economia internazionale sempre più efficiente nell’uso delle risorse e restrittiva sul loro abuso. Le imprese ora inseguono una maggiore efficienza. Ma devono sapere che i benefici maggiori degli investimenti green non sono tanto nel risparmio di breve periodo sui costi di materie prime e bollette energetiche, quanto sulla protezione da rischi di perdite future. È in gioco la loro stessa sopravvivenza». Eppure, i risparmi di breve periodo conseguibili con una svolta ecologica sono tutt’altro che trascurabili. E possono arrivare fino al 15% delle bollette di energia, spiega Alberto Marchi, director McKinsey. «Bisogna distinguere fra tre dimensioni di sprechi: rifiuti solidi, energia e acqua – dice -. Sui primi, ci sono diverse multinazionali che stanno perseguendo con successo la strategia di "zero rifiuti in discarica"; ad esempio Unilever ha già raggiunto questo obiettivo in 130 impianti (252 nel 2015) e P&G in 45 siti industriali, recuperando oltre un miliardo di euro. Questo risultato è stato ottenuto combinando una maggiore efficienza nell’utilizzo delle risorse con iniziative mirate (come la digestione anaerobica dei rifiuti lattero-caseari, nel caso di Unilever)». «Per quanto riguarda il consumo industriale di energia (elettrica e termica), molti operatori nei settori energy intensive (come acciaio, chimica, raffinazione petrolifera) hanno lanciato numerose iniziative di successo per raggiungere una maggiore efficienza – spiega Marchi -. Riteniamo però che esista un ulteriore significativo potenziale di risparmio ottenibile; infatti stiamo assistendo ad una seconda ondata di iniziative. Anche sul risparmio idrico i consumi potrebbero essere ridotti di parecchio in molti settori industriali, ma pochi operatori pianificano investimenti a riguardo, a causa del basso ritorno economico». E nell’Italia delle piccole e medie imprese, qualcosa si muove? Oppure queste prassi virtuose sono per ora appannaggio delle multinazionali? «Il nostro Paese è indietro nella gestione smart dei rifiuti solidi – spiega Marchi -. Invece, è diventato virtuoso sull’energia, sia nei consumi residenziali sia in quelli industriali. Questo per l’elevato peso delle bollette e la spinta regolatoria verso soluzioni efficienti (come il regime di sostegno mediante Certificati bianchi agli impianti di cogenerazione che recuperano e riutilizzano energia termica da sistemi di generazione elettrica tradizionali). Alcuni operatori energy intensive hanno messo in atto misure efficaci (come coibentazioni, migliore utilizzo degli impianti, impiego della cogenerazione) ottenendo risparmi dal 5% al 15 per cento. E si può fare ancora di più». «I benefici di strategie green sono rilevanti per le imprese di tutti i comparti – riprende Marchi -. Ad esempio, misure di efficientamento dei magazzini potrebbero far risparmiare fino al 20% in bolletta agli operatori della grande distribuzione, mentre nei punti vendita si può arrivare fino al 50 per cento. Quanto all’acqua, il costo in Italia è talmente basso da disincentivare il suo impiego efficiente». Le imprese possono trasformarsi in pioniere della sostenibilità anche senza grandi investimenti. McKinsey, ad esempio, suggerisce modifiche delle organizzazioni o azioni a costi contenuti. «Se dovessi dare tre consigli – afferma Marchi – suggerirei innanzitutto di misurare i propri consumi soprattutto energetici, per acquisire consapevolezza sugli sprechi, individuare iniziative di miglioramento e confrontarsi con le migliori prassi internazionali. In secondo luogo, bisogna avere un piano strutturato. Non limitarsi a sfruttare gli incentivi in modo tattico, ma analizzare in dettaglio tutte le opportunità, sviluppando un piano globale di quello che può essere fatto. Nell’efficienza energetica dei siti industriali non esiste la grande idea che risolve tutto, occorre mettere assieme centinaia di piccole iniziative che complessivamente generano impatti significativi. Infine, aiuterebbe creare un’unità organizzativa ad hoc per il presidio dell’efficienza energetica. Affrontare questi temi richiede competenze nuove che combinino conoscenze tecniche, regolatorie e dei mercati energetici. Occorre quindi sviluppare professionalità specifiche». Riecheggia, nelle parole di Marchi, l’urgenza espressa da Mathis Wackernagel di misurare l’impronta ecologica di Paesi e organizzazioni, con l’obiettivo di renderla più lieve. Un’esigenza che le imprese italiane stanno facendo propria, come dimostra l’ampia partecipazione al recente bando, promosso dal ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare, per il co-finanziamento di progetti per l’analisi dell’impronta di carbonio nel ciclo di vita dei prodotti. Ad agosto, sono state ammesse al finanziamento di complessivi 4,5 milioni di euro 95 imprese di piccole, medie e grandi dimensioni. Dal big del caffè Lavazza al Caseificio sociale di Manciano, dal leader mondiale di adesivi e prodotti chimici per l’edilizia Mapei alla reginetta delle confetture e del miele bio Rigoni di Asiago, dalla Geox famosa per le scarpe "che respirano" alle bollicine dell’acqua Ferrarelle. E non di soli incentivi pubblici vive la sostenibilità delle imprese italiane: è in continuo aumento il numero di aziende che sottoscrivono accordi volontari con il ministero dell’Ambiente per il controllo, il monitoraggio e la riduzione delle emissioni e degli sprechi su base volontaria (come riferito in altri articoli dell’odierno Rapporto Sviluppo sostenibile del Sole 24 Ore). «Misura ciò che è misurabile e rendi misurabile ciò che non lo è», scriveva Galileo Galilei quattrocento anni fa. Parole più che mai attuali, per capire che è tempo, anche in Italia, di quantificare gli sprechi pubblici e privati, elaborare un piano per ridurli gradualmente, investire per mettere in atto misure correttive, raccoglierne i benefici e reinvestire i risparmi conseguiti. Dalla crisi economica si può provare a uscire anche così.