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Le startup italiane guardano all’energia verde

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Un’azienda su cinque scommette sui KW puliti. Trento e Torino protagoniste, ma anche Salerno avanza

Fonte: Wired.it

Autore: Andrea Curiat

Quasi il 20% delle startup italiane sono attive nel campo dell’energia verde. Tra rinnovabili, componenti hi-tech e mini-impianti eolici, la ricerca di una produzione elettrica sempre più efficiente fornisce uno stimolo fondamentale alla ricerca e alla giovane imprenditoria in Italia. Peccato, però, che le risorse destinate alla R&S non siano ancora all’altezza di quelle degli altri Paesi europei.
Il quadro emerge dalla recente indagine condotta dall’Istituto per la competitività I-Com. Nel campione analizzato da I-Com, una quota importante delle imprese (il 33%) è rappresentata da startup energetiche con meno di 10 anni di attività alle spalle. Lo studio individua per l’esattezza 368 nuove realtà a metà aprile, sul totale di 1.941 giovani aziende presenti in Italia. La concentrazione maggiore si registra, come c’era da aspettarsi, nelle regioni del Nord Italia, attorno ai grandi incubatori e poli universitari. In favore del meridione giocano le condizioni climatiche favorevoli, che inducono gli aspiranti imprenditori del fotovoltaico a scegliere spesso il più assolato Sud Italia. Così, tra le province più innovative vi sono sì Trento e Torino, ma anche, al Sud, Salerno.
Tra i problemi di queste aziende vi è sicuramente quello dimensionale, che sembra ancora più pronunciato per le startup energetiche che non per la media degli altri settori: le micro-aziende rappresentano il 26,7% del campione totale, e le piccole imprese sono un altro 23,3%. Secondo gli esperti di I-Com, insomma, quasi nessuna delle startup analizzate ha ancora effettuato quel salto dimensionale richiesto per emergere non solo in Italia ma anche sui mercati internazionali. “Ci si deve porre la domanda se questo limite sia dovuto alla presenza di poche innovazioni davvero disruptive, in grado di aumentare rapidamente il volume d’affari delle imprese, oppure se l’ecosistema rappresenti una barriera difficilmente superabile o quantomeno frenante rispetto all’evoluzione dinamica delle aziende in esame”.
Un problema ulteriore emerge dal raffronto tra gli investimenti in R&S in Italia e in Europa. In ambito UE, il nostro Paese è quello spende meno in attività di ricerca energetica dopo la Spagna: 1,3 miliardi di dollari nel 2012, di cui circa 800 milioni da privati e circa 500 milioni dal pubblico. Risorse decisamente insufficienti se paragonate ai 4 miliardi destinati dalla Francia e ai 3,5 miliardi spesi dalla Germania.
Gli effetti del gap risultano evidenti se si guarda ai brevetti richiesti dalle nostre aziende. La quota dell’Italia è pari all’1,2% del numero totale di domande di brevetto presentate in tutto il mondo (comunque in miglioramento dallo 0,9% del 2002), contro il 2,9% della Francia e il 2,1% del Regno Unito. E chissà, poi, quanti dei brevetti richiesti all’estero vengono ideati proprio grazie al contributo dei cervelli in fuga dal nostro Paese.