Se dovessimo individuare una sola parola per condensare il significato dei problemi che si agitano sullo sfondo degli attuali scenari energetici, nessuna probabilmente riuscirebbe ad essere più efficace del termine “trilemma”.
Parlando di “trilemma” del sistema energetico, si intende infatti la possibilità di coniugare gli obiettivi delle politiche climatiche con quelli più classici, collegati alla sicurezza degli approvvigionamenti e al contenimento dei costi. Intorno al “trilemma”, in particolare, si è andata misurando la questione della crescente diffusione di tecnologie per la produzione di energia da fonti rinnovabili in sostituzione all’uso dei combustibili fossili.
L’avvio delle politiche di contrasto al cambiamento climatico e ai danni da esso prodotti, è stato indubbiamente alla base della forza propulsiva che ha sospinto incessantemente dal 2005 (anno dell’andata in vigore del Protocollo di Kyoto) gli investimenti nelle tecnologie energetiche per lo sfruttamento delle fonti rinnovabili, e che ha motivato (specialmente in Europa) importanti politiche di incentivazione su base pubblica per far fronte allo sfavorevole confronto con i costi dei combustibili fossili.
L’ulteriore investimento in attività di ricerca per la messa a punto di tecnologie per le rinnovabili più competitive ha poi fornito un’ulteriore spinta allo sviluppo del settore, facendo contrarre sensibilmente i costi dei componenti più di avanguardia (eolico e fotovoltaico) e rendendo man mano possibile la riduzione del sostegno pubblico attraverso gli incentivi. Da questo punto di vista si è determinato un impegno molto più radicale da parte dei paesi coinvolti nel processo di diversificazione energetica, affidando l’approvvigionamento energetico allo sviluppo di una “leva” tecnologica.
E così, anche se la transizione alle fonti rinnovabili – ancorché parziale – implica trasformazioni molto profonde dei sistemi produttivi, che non si esauriscono nella sola disponibilità delle nuove tecnologie, è impossibile negare che in un decennio si siano create le premesse per una transizione energetica di lungo periodo.
Tutto bene, allora? Non esattamente, e il trilemma continua a riproporsi. La caduta del prezzo del greggio verificatasi negli ultimi tempi – in un riconosciuto contesto di delicati equilibri geopolitici, che includono anche la “bolla” dello shale gas americano – ha infatti fatto sorgere diffusamente l’interrogativo circa lo spazio effettivo che il mercato delle rinnovabili riuscirà ad avere nel futuro prossimo (e non solo, naturalmente), pur tenendo conto degli “imperativi” climatici. Ma se il “trilemma” continua a sussistere, non è neppure immaginabile relegare all’irrilevanza tali imperativi ed interrompere il cammino della transizione energetica. Né è possibile ignorare gli effetti della crisi economica sull’attuale scenario, non solo per quanto riguarda la contrazione della domanda di energia (di rinforzo alla caduta dei prezzi petroliferi), ma anche per ciò che concerne la riduzione delle emissioni. L’auspicabile rilancio dell’economia nelle economie occidentali – le più colpite – dovrebbe dunque far riflettere sull’incombenza dei costi climatici e sulla necessità di mantenere alta l’attenzione sulla gestione dell’intera questione climatica.
Ed è proprio in questa prospettiva che è necessario guardare alla possibilità di rilancio degli investimenti in tecnologie rinnovabili. Nuove e più strategiche azioni di investimento in questo settore avrebbero infatti come duplice effetto quello di contrastare le dinamiche recessive – attraverso il sostegno alla domanda – e quello di predisporre il sistema produttivo ad una migliore capacità di contrasto del cambiamento climatico. In questo senso l’attuale caduta del prezzo del greggio appare molto più ridimensionata di significato, e non stupisce che lo scenario di espansione delle rinnovabili abbia ricevuto un’ulteriore convalida dalle ultime previsioni IEA di lungo periodo e da quelle relative agli investitori nel mercato.
Ma è anche bene chiarire che siamo ancora nel mezzo di un processo che è tutto in fieri, nel quale i problemi legati alla transizione energetica sono ancora tutti sul tappeto. E che l’attuale fase di crisi, particolarmente accentuata nel nucleo dei paesi occidentali in Europa, rischia di condurre ad una situazione di stallo, a meno che non sia intrapresa una vigorosa inversione di rotta delle politiche economiche segnate dal diktat dell’austerità, creando le condizioni per lo sviluppo di filiere produttive e tecnologiche collegate alle rinnovabili e più in generale atte a favorire il processo di transizione energetica.
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Se dovessimo individuare una sola parola per condensare il significato dei problemi che si agitano sullo sfondo degli attuali scenari energetici, nessuna probabilmente riuscirebbe ad essere più efficace del termine “trilemma”.
Parlando di “trilemma” del sistema energetico, si intende infatti la possibilità di coniugare gli obiettivi delle politiche climatiche con quelli più classici, collegati alla sicurezza degli approvvigionamenti e al contenimento dei costi. Intorno al “trilemma”, in particolare, si è andata misurando la questione della crescente diffusione di tecnologie per la produzione di energia da fonti rinnovabili in sostituzione all’uso dei combustibili fossili.
L’avvio delle politiche di contrasto al cambiamento climatico e ai danni da esso prodotti, è stato indubbiamente alla base della forza propulsiva che ha sospinto incessantemente dal 2005 (anno dell’andata in vigore del Protocollo di Kyoto) gli investimenti nelle tecnologie energetiche per lo sfruttamento delle fonti rinnovabili, e che ha motivato (specialmente in Europa) importanti politiche di incentivazione su base pubblica per far fronte allo sfavorevole confronto con i costi dei combustibili fossili.
L’ulteriore investimento in attività di ricerca per la messa a punto di tecnologie per le rinnovabili più competitive ha poi fornito un’ulteriore spinta allo sviluppo del settore, facendo contrarre sensibilmente i costi dei componenti più di avanguardia (eolico e fotovoltaico) e rendendo man mano possibile la riduzione del sostegno pubblico attraverso gli incentivi. Da questo punto di vista si è determinato un impegno molto più radicale da parte dei paesi coinvolti nel processo di diversificazione energetica, affidando l’approvvigionamento energetico allo sviluppo di una “leva” tecnologica.
E così, anche se la transizione alle fonti rinnovabili – ancorché parziale – implica trasformazioni molto profonde dei sistemi produttivi, che non si esauriscono nella sola disponibilità delle nuove tecnologie, è impossibile negare che in un decennio si siano create le premesse per una transizione energetica di lungo periodo.
Tutto bene, allora? Non esattamente, e il trilemma continua a riproporsi. La caduta del prezzo del greggio verificatasi negli ultimi tempi – in un riconosciuto contesto di delicati equilibri geopolitici, che includono anche la “bolla” dello shale gas americano – ha infatti fatto sorgere diffusamente l’interrogativo circa lo spazio effettivo che il mercato delle rinnovabili riuscirà ad avere nel futuro prossimo (e non solo, naturalmente), pur tenendo conto degli “imperativi” climatici. Ma se il “trilemma” continua a sussistere, non è neppure immaginabile relegare all’irrilevanza tali imperativi ed interrompere il cammino della transizione energetica. Né è possibile ignorare gli effetti della crisi economica sull’attuale scenario, non solo per quanto riguarda la contrazione della domanda di energia (di rinforzo alla caduta dei prezzi petroliferi), ma anche per ciò che concerne la riduzione delle emissioni. L’auspicabile rilancio dell’economia nelle economie occidentali – le più colpite – dovrebbe dunque far riflettere sull’incombenza dei costi climatici e sulla necessità di mantenere alta l’attenzione sulla gestione dell’intera questione climatica.
Ed è proprio in questa prospettiva che è necessario guardare alla possibilità di rilancio degli investimenti in tecnologie rinnovabili. Nuove e più strategiche azioni di investimento in questo settore avrebbero infatti come duplice effetto quello di contrastare le dinamiche recessive – attraverso il sostegno alla domanda – e quello di predisporre il sistema produttivo ad una migliore capacità di contrasto del cambiamento climatico. In questo senso l’attuale caduta del prezzo del greggio appare molto più ridimensionata di significato, e non stupisce che lo scenario di espansione delle rinnovabili abbia ricevuto un’ulteriore convalida dalle ultime previsioni IEA di lungo periodo e da quelle relative agli investitori nel mercato.
Ma è anche bene chiarire che siamo ancora nel mezzo di un processo che è tutto in fieri, nel quale i problemi legati alla transizione energetica sono ancora tutti sul tappeto. E che l’attuale fase di crisi, particolarmente accentuata nel nucleo dei paesi occidentali in Europa, rischia di condurre ad una situazione di stallo, a meno che non sia intrapresa una vigorosa inversione di rotta delle politiche economiche segnate dal diktat dell’austerità, creando le condizioni per lo sviluppo di filiere produttive e tecnologiche collegate alle rinnovabili e più in generale atte a favorire il processo di transizione energetica.
Se dovessimo individuare una sola parola per condensare il significato dei problemi che si agitano sullo sfondo degli attuali scenari energetici, nessuna probabilmente riuscirebbe ad essere più efficace del termine “trilemma”.
Parlando di “trilemma” del sistema energetico, si intende infatti la possibilità di coniugare gli obiettivi delle politiche climatiche con quelli più classici, collegati alla sicurezza degli approvvigionamenti e al contenimento dei costi. Intorno al “trilemma”, in particolare, si è andata misurando la questione della crescente diffusione di tecnologie per la produzione di energia da fonti rinnovabili in sostituzione all’uso dei combustibili fossili.
L’avvio delle politiche di contrasto al cambiamento climatico e ai danni da esso prodotti, è stato indubbiamente alla base della forza propulsiva che ha sospinto incessantemente dal 2005 (anno dell’andata in vigore del Protocollo di Kyoto) gli investimenti nelle tecnologie energetiche per lo sfruttamento delle fonti rinnovabili, e che ha motivato (specialmente in Europa) importanti politiche di incentivazione su base pubblica per far fronte allo sfavorevole confronto con i costi dei combustibili fossili.
L’ulteriore investimento in attività di ricerca per la messa a punto di tecnologie per le rinnovabili più competitive ha poi fornito un’ulteriore spinta allo sviluppo del settore, facendo contrarre sensibilmente i costi dei componenti più di avanguardia (eolico e fotovoltaico) e rendendo man mano possibile la riduzione del sostegno pubblico attraverso gli incentivi. Da questo punto di vista si è determinato un impegno molto più radicale da parte dei paesi coinvolti nel processo di diversificazione energetica, affidando l’approvvigionamento energetico allo sviluppo di una “leva” tecnologica.
E così, anche se la transizione alle fonti rinnovabili – ancorché parziale – implica trasformazioni molto profonde dei sistemi produttivi, che non si esauriscono nella sola disponibilità delle nuove tecnologie, è impossibile negare che in un decennio si siano create le premesse per una transizione energetica di lungo periodo.
Tutto bene, allora? Non esattamente, e il trilemma continua a riproporsi. La caduta del prezzo del greggio verificatasi negli ultimi tempi – in un riconosciuto contesto di delicati equilibri geopolitici, che includono anche la “bolla” dello shale gas americano – ha infatti fatto sorgere diffusamente l’interrogativo circa lo spazio effettivo che il mercato delle rinnovabili riuscirà ad avere nel futuro prossimo (e non solo, naturalmente), pur tenendo conto degli “imperativi” climatici. Ma se il “trilemma” continua a sussistere, non è neppure immaginabile relegare all’irrilevanza tali imperativi ed interrompere il cammino della transizione energetica. Né è possibile ignorare gli effetti della crisi economica sull’attuale scenario, non solo per quanto riguarda la contrazione della domanda di energia (di rinforzo alla caduta dei prezzi petroliferi), ma anche per ciò che concerne la riduzione delle emissioni. L’auspicabile rilancio dell’economia nelle economie occidentali – le più colpite – dovrebbe dunque far riflettere sull’incombenza dei costi climatici e sulla necessità di mantenere alta l’attenzione sulla gestione dell’intera questione climatica.
Ed è proprio in questa prospettiva che è necessario guardare alla possibilità di rilancio degli investimenti in tecnologie rinnovabili. Nuove e più strategiche azioni di investimento in questo settore avrebbero infatti come duplice effetto quello di contrastare le dinamiche recessive – attraverso il sostegno alla domanda – e quello di predisporre il sistema produttivo ad una migliore capacità di contrasto del cambiamento climatico. In questo senso l’attuale caduta del prezzo del greggio appare molto più ridimensionata di significato, e non stupisce che lo scenario di espansione delle rinnovabili abbia ricevuto un’ulteriore convalida dalle ultime previsioni IEA di lungo periodo e da quelle relative agli investitori nel mercato.
Ma è anche bene chiarire che siamo ancora nel mezzo di un processo che è tutto in fieri, nel quale i problemi legati alla transizione energetica sono ancora tutti sul tappeto. E che l’attuale fase di crisi, particolarmente accentuata nel nucleo dei paesi occidentali in Europa, rischia di condurre ad una situazione di stallo, a meno che non sia intrapresa una vigorosa inversione di rotta delle politiche economiche segnate dal diktat dell’austerità, creando le condizioni per lo sviluppo di filiere produttive e tecnologiche collegate alle rinnovabili e più in generale atte a favorire il processo di transizione energetica.