Continua a crescere la produzione di elettricità verde negli Stati Uniti. Come emerge dall’ultimo rapporto (Electric Power Monthly) dell’agenzia americana per l’energia (Eia, Energy Information Administration), le fonti rinnovabili hanno coperto il 14% abbondante della generazione elettrica statunitense complessiva nel primo semestre 2013. Il dato è in leggero aumento rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, quando le tecnologie pulite assicurarono il 13,5% della torta. La salita delle fonti alternative diverse dall’idroelettrico, tra cui eolico, solare, biomasse e geotermia, è evidente nel paragone con i numeri di dieci anni fa. Difatti, l’output netto delle “nuove” rinnovabili è più che triplicato, raggiungendo quasi la stessa quota dell’idroelettrico: 6,7% della produzione netta (era soltanto il 2% circa nel 2003) rispetto al 7,5% garantito dai bacini idrici. L’eolico domina incontrastato, perché vale il 4,6% del mix statunitense, staccando nettamente le biomasse (1,4%), la geotermia (0,4%) e soprattutto il solare che rimane fermo allo 0,19% della torta elettrica a stelle e strisce.
L’output di energia solare, tuttavia, comprendendo sia il termodinamico sia il fotovoltaico, è balzato del 94% da gennaio a giugno 2013, in confronto ai primi sei mesi dell’anno precedente. Sul secondo gradino del podio figura l’eolico, con il 20% di elettricità prodotta in più, mentre la geotermia è rimasta pressoché stabile (+1%) al pari delle biomasse (-0,5%) al contrario della generazione idroelettrica, in diminuzione del 2,6% rispetto al medesimo periodo del 2012. A livello complessivo, il carbone è stato il combustibile prevalente nel mix elettrico americano nel primo semestre 2013, con il 39% della produzione totale, incrementata del 10% sull’analogo periodo del 2012. A seguire troviamo il gas con il 26,4% dell’output cumulativo, in riduzione però del 13,6%, mentre il nucleare è rimasto fermo al 19,5%. Da tutti questi dati appare chiaro l’incremento delle rinnovabili diverse dall’idroelettrico, ormai capaci di generare una fetta abbastanza consistente dell’energia nazionale. L’eolico, in particolare, ha visto un vero e proprio boom di turbine installate, pari a circa 13 GW nel 2012, perché l’industria del settore ha temuto la cancellazione degli sgravi fiscali, poi prorogati in extremis dalla Casa Bianca.
Così è pienamente meritato il primo posto conquistato dagli Stati Uniti nell’ultimo indice trimestrale di Ernst & Young sull’attrattività dei Paesi per gli investimenti nell’economia verde. La rilevazione appena diffusa dalla società di consulenza, infatti, ha confermato il sorpasso avvenuto a maggio sulla Cina, fino a quel momento saldamente in testa alla classifica della green economy internazionale. Certamente hanno pesato anche i nuovi parametri utilizzati per assegnare i punteggi, non più esclusivamente legati all’entità degli incentivi e alle caratteristiche delle singole tecnologie rinnovabili, ma anche, per esempio, alla stabilità politica di un Paese e alla sua capacità di attrarre investitori stranieri. Ecco perché Pechino ha dovuto cedere il gradino più alto del podio, schiacciata dalle barriere frapposte dal Governo per favorire le aziende locali. La Cina, inoltre, ha dovuto rallentare il ritmo delle installazioni degli impianti verdi, a causa di numerosi fattori, tra cui la saturazione della rete elettrica nazionale e la necessità di riordinare l’assetto produttivo delle imprese solari, anch’esse in difficoltà per il declino del mercato europeo e l’introduzione di dazi antidumping.