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La Strategia Energetica Nazionale

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Dopo anni di annunci e dopo varie indiscrezioni circolate a fine agosto, venerdì scorso l’agenzia di stampa Agi ha pubblicato la bozza della Strategia Energetica Nazionale, definita dal governo e che sarà discussa nei prossimi giorni con le parti interessate.

Fonte: Rinnovabili&Territorio

Autore: Redazione

La Strategia Energetica Nazionale sembra prendere finalmente forma e indica quali saranno gli obiettivi dei prossimi anni per le politiche energetiche dell’Italia.

«Il settore energetico – come scritto nella premessa del documento – ha un ruolo fondamentale nella crescita dell’economia del Paese, sia come fattore abilitante (avere energia a basso costo, con limitato impatto ambientale e con elevato livello di servizio è una condizione fondamentale per lo sviluppo delle imprese e per le famiglie), sia come fattore di crescita in sé (pensiamo ad esempio al potenziale della Green economy). Assicurare un’energia più competitiva e sostenibile è dunque una delle sfide più rilevanti per il futuro del nostro Paese».

Per questi motivi, scrivono gli estensori del documento- «ci è sembrato indispensabile lavorare alla definizione di una Strategia Energetica Nazionale che espliciti in maniera chiara gli obiettivi principali da perseguire nei prossimi anni, tracci le scelte di fondo e definisca le priorità d’azione – pur essendo consci di agire in un contesto di libero mercato e con logiche di sviluppo non controllabili centralmente».

Il documento elaborato «costituisce dunque la base per l’ampia consultazione pubblica che intendiamo avviare nelle prossime settimane con i principali attori coinvolti, direttamente e indirettamente, nel settore energetico e che sfocerà in una nuova Strategia Energetica per il Paese».
Vediamo allora quali sono i punti salienti della bozza che dovrà ora essere discussa.

Gli obiettivi europei espressi con l’ormai famoso trinomio 20-20-20 (meno 20% di emissioni di gas serra, più 20% di ricorso alle rinnovabili e più 20% di efficienza energetica) dovranno essere superati a partire dalla riduzione delle emissioni di gas serra che per l’Italia era pari al 18% di riduzione rispetto alle emissioni del 2005 e che dovrà invece raggiungere il 19% .

La quota d’incidenza dell’energia rinnovabile sui consumi primari (rispetto all’11% del 2010) dovrà raggiungere il 23%; questo significherà una riduzione dall’86 al 76% dei combustibili fossili. In particolare, ci si attende che le rinnovabili diventino la prima fonte nel settore elettrico, superando il gas, con oltre il 38% dei consumi (rispetto al 23% del 2010).

Infine grazie alle azioni di efficienza energetica, si prevede un calo del 24% dei consumi primari rispetto all’andamento inerziale al 2020 (ovvero, -4% rispetto al 2010), superando gli obiettivi europei di -20%.

Il capitolo degli investimenti prevede una quota pari a 180 miliardi di euro da qui al 2020 da distribuire per il 72% al settore delle energie rinnovabili e nell’efficienza energetica, per il 28% nei settori tradizionali (reti elettriche e gas, rigassificatori, stoccaggi, sviluppo idrocarburi).

La produzione nazionale di idrocarburi, secondo gli obiettivi della SEN, dovrebbe portare al 2020 a sviluppare l’attuale produzione di circa 24 milioni di boe/anno (barili di olio equivalente) di gas e 57 di olio, portando dal ~7 al ~14% il contributo al fabbisogno energetico totale. Questo consentirà – secondo le stime del SEN – di mobilitare investimenti per circa 15 miliardi di euro, di creare 25.000 nuovi posti di lavoro, e di risparmiare sulla fattura energetica circa 5 miliardi di euro l’anno.
«L’Italia è altamente dipendente dall’importazione di combustibili fossili, con una bilancia commerciale energetica negativa per ben 62 miliardi di euro. Allo stesso tempo, il Paese ha a disposizione significative riserve di gas e petrolio, le più importanti in Europa dopo i paesi nordici- si legge nel SEN- In questo contesto è doveroso fare leva anche su queste risorse, dati i benefici in termini occupazionali e di crescita economica. D’altra parte, ci si rende conto dei potenziali rischi ambientali ed è quindi fondamentale la massima attenzione per prevenire tali rischi (peraltro il settore in Italia ha una storia di incidentalità tra le migliori al mondo)».

Per il raggiungimento degli obiettivi descritti si individuano come necessari sia provvedimenti di tipo normativo, che garantiscano il rispetto dei più elevati standard internazionali in termini di sicurezza e tutela ambientale e semplifichino gli iter autorizzativi, sia iniziative di supporto al settore industriale, per favorire l’ulteriore sviluppo di poli tecnologici.

Ma nonostante la quota degli investimenti relativi alle fonti tradizionali sia minoritario l’obiettivo di investire comunque nel settore della ricerca e dell’estrazione petrolifera questo è uno dei punti che ha ricevuto maggiori critiche.

«Una delle novità del documento – scrive Gianni Silvestrini in un suo editoriale che analizza il SEN -è la proposta di un improbabile raddoppio della produzione nazionale di idrocarburi da raggiungere con una serie di azioni come quella di ridurre la distanza minima dalle coste per l’estrazione a mare. Aldilà degli aspetti ambientali e di sicurezza che fanno prevedere una battaglia durissima contro molti progetti, questa opzione viene enfatizzata per gli aspetti occupazionali, per le entrate nelle casse pubbliche e per la riduzione delle importazioni per un valore pari a 5 miliardi, rispetto ai 62 miliardi che attualmente vengono spesi».

Le ricadute occupazionali per Silvestrini «sono reali ma inferiori rispetto ad altre soluzioni green» mentre non lo sono affatto, invece, per la riduzione delle importazioni.

«Il greggio che Shell o Total contano di estrarre in Basilicata – spiega il Direttore di Qualenergia – verrà venduto sul mercato internazionale e se l’Italia lo vorrà utilizzare lo pagherà alle quotazioni del momento. Diverso è il caso delle rinnovabili o dell’efficienza che al 2020 comporteranno, secondo gli scenari della SEN, un’effettiva riduzione fisica delle importazioni del valore di 18 miliardi l’anno».

Silvestrini spiega inoltre che all’estrazione petrolifera «esistono percorsi alternativi che possono portare benefici maggiori al Paese, come la riqualificazione energetica dell’edilizia, la produzione di biometano (peraltro inopinatamente bocciata dal documento), l’incremento delle rinnovabili».

«Il fotovoltaico potrebbe garantire un risparmio di metano di 3,7 miliardi di mc/anno, analogo all’aumento estrattivo del 45% ipotizzato nel SEN. In un tempo paragonabile a quello necessario alla ricerca, autorizzazione e messa in attività dei pozzi si potrebbero installare 14 GW solari evitando l’importazione della stessa quantità di metano. Si tratta di una potenza inferiore all’incremento fotovoltaico registrato nel triennio 2010-2012 da connettere in rete senza incentivi e con ricadute occupazionali ed entrate per lo Stato, maggiori rispetto all’accelerazione delle estrazioni. Peraltro, sarebbe probabilmente più saggio conservare come riserva di emergenza questi idrocarburi per un futuro in cui i prezzi dell’energia schizzeranno alle stelle».