L’energia torna a essere oggi, come nei momenti di svolta della storia, una questione catalizzatrice di processi sociali e culturali di dimensione strategica, che vanno dalle più macroscopiche questioni della geopolitica fino all’acquisizione di nuovi stili di vita, intorno a cui si gioca la partita più importante per il futuro del Pianeta. Un campo d’azione imprescindibile per l’ambientalismo. I dati dell’Ipcc confermano una tendenza drammatica per le emissioni di CO2. Per uscire da questa spirale occorre un cambiamento radicale del modello energetico, immaginare quindi uno scenario che riduca al minimo o, addirittura, faccia a meno dei combustibili fossili ed escluda il nucleare, così come già deciso dagli italiani. La novità è che questo scenario non è oggi il sogno di qualche futurologo, ma si sta dimostrando possibile e a portata di mano. Negli ultimi mesi sono stati diversi e autorevoli gli studi che hanno dimostrato la fattibilità di uno scenario al 100% rinnovabile in Europa al 2050; i governi tedesco e danese sono andati oltre aprendo un confronto politico e con il mondo industriale per definire strategie e tabelle di marcia per raggiungere obiettivi così ambiziosi. È certamente una sfida di portata epocale: verso un modello basato sulle fonti rinnovabili e quindi distribuito e più democratico, più attento all’uso delle risorse presenti nei territori, alla domanda di energia e all’efficienza dei sistemi di gestione di impianti e reti. È una sfida fondamentale che guarda molto oltre i temi dell’energia, che permette di uscire da secolari diseguaglianze e sfruttamenti per il controllo delle risorse, di riaprire spazi per la democrazia e la pace in tante aree del mondo oggi escluse. E se nei prossimi anni riuscirà a concretizzarsi, potrà consentire uno scenario energetico veramente nuovo, con opportunità anche per quei 2 miliardi di persone condannate oggi alla povertà da un sistema strutturalmente ingiusto e senza possibilità di miglioramento, perché nate in Paesi privi di risorse fossili o senza la possibilità di acquistarle. Per questo occorre uno sforzo di immaginazione, occorre cioè esercitare quella capacità visionaria di pre-vedere e di operare per realizzare le proprie visioni collettive. Perché il nostro domani si realizzi è necessario riscoprire l’abilità di coloro che sono stati capaci nell’antichità di indicare le costellazioni a quanti, alzando la testa, vedevano solo un cielo stellato, occorre cioè immaginare oggi il futuro dell’energia, ragionare di una prospettiva a lungo termine che riesca a creare le condizioni per costruire una seconda fase dello sviluppo delle fonti rinnovabili come motore di una riconversione dell’economia. La prima fase è servita a verificare come oggi ci siano tecnologie mature e affidabili in questo settore, ha spinto la ricerca e ha creato le condizioni per costruire una filiera industriale delle rinnovabili. La sfida di oggi è più ambiziosa: sviluppando con coraggio e lungimiranza la rivoluzione energetica si vuole aprire finalmente un nuovo scenario per uscire dalla crisi e ridefinire i connotati dell’economia del nostro Paese. La green economy non è quindi una nicchia, la più innovativa e sostenibile, del sistema industriale italiano, ma una direzione di cambiamento che punterà a far prevalere gli investimenti in ricerca, qualità, innovazione, attenzione al territorio e, attraverso questi, a rilanciare un’occupazione qualificata e a rendere l’intero sistema produttivo più moderno e competitivo.
Il problema è che in questi anni la classe dirigente del nostro Paese ha continuato a guardare da un’altra parte, come se avesse guidato la nazione con lo sguardo rivolto all’indietro. E ancora fino a pochi mesi fa, malgrado il disastro di Fukushima, continuava a vagheggiare di un infausto e costoso ritorno al nucleare, rinviando un’assunzione di responsabilità seria rispetto agli obiettivi fissati dall’Unione Europea al 2020 e allontanando sempre più la prospettiva di fare del clima la chiave di volta dell’innovazione industriale, sociale e territoriale. Oggi è su questo che l’Europa può rappresentare ancora un punto di riferimento nel mondo. È a questa sfida, che si può leggere in controluce anche nel preambolo del Trattato Europeo, che l’Italia deve guardare raggiungendo risultati significativi già al 2020, andando anche oltre gli obiettivi fissati dal pacchetto 20-20-20 a livello europeo. Perché oggi è assolutamente credibile ridurre le emissioni del 30% e le fonti rinnovabili al 2020 potranno coprire più del 35% del fabbisogno elettrico attualmente previsto dal Piano Nazionale sulle rinnovabili. E anche, e soprattutto, sul termico e nell’efficienza sono possibili traguardi ben più ambiziosi. Ed è sempre dall’Unione Europea che giungono segnali importanti sulla necessità di combattere il depauperamento delle materie prime. La Commissione infatti, con la Raw Materials Initiative (Rmi), ha indicato una strategia chiara per l’accesso alle materie prime basata su tre pilastri: garantire parità di condizioni nell’accesso alle risorse nei Paesi terzi, promuovere approvvigionamento sostenibile di materie prime provenienti da fonti europee ed incrementare l’efficienza delle risorse e la promozione del riciclo. Né va sottovalutato il ruolo che può
svolgere l’agricoltura nella produzione di materie prime rinnovabili, senza entrare in competizione con la produzione alimentare. Non vi sono dubbi che questi approcci siano i più lungimiranti per un Paese come il nostro, perché consentirebbero di dare risposta agli storici problemi italiani (costo dell’energia, dipendenza dall’estero per le fonti fossili, insicurezza degli approvvigionamenti, impatto sull’atmosfera, scarsità di materie prime) attraverso strade nuove capaci di creare inedite opportunità industriali e occupazionali. I cittadini e le imprese piccole e medie che fanno il sistema produttivo italiano, avrebbero tutto da guadagnare dalla prospettiva di minori consumi energetici, da un modello di generazione distribuita che migliori l’efficienza degli impianti e integri ovunque possibile le fonti rinnovabili, da politiche di riciclo di materiali per garantire una minore dipendenza dalle materie prime
e sbocchi certi alle materie seconde.