Forse non ce ne è piena consapevolezza, soprattutto in Italia, ma siamo nel pieno di una rivoluzione. La rivoluzione energetica, quella che ci sta facendo uscire dall’”era del fossile”. La domanda da farsi, e da farsi ora, con la rivoluzione in atto, è se il modello di società che verrà “dopo”, ma che si deve iniziare a costruire adesso, può essere migliore di quello che conosciamo.
Per oltre duecento anni, dalla rivoluzione industriale, l’umanità ha fondato la crescita del suo benessere sullo sfruttamento delle fonti fossili – il carbone, il petrolio innanzitutto, ma anche il gas. Una crescita di benessere straordinaria per tutti ma evidentemente, e in alcuni casi tragicamente, diseguale, tra i popoli e all’interno di ciascun popolo, tra le classi. Tra chi detiene i mezzi di produzione – qualcuno aveva detto – e chi non ce li ha.
Oggi il modo di produrre energia sta rapidamente cambiando. In tutto il mondo.
Yamani, lo storico ministro degli esteri dell’Opec, soleva dire che l’”età della pietra non è finita per mancanza di pietre, ma per l’innovazione tecnologica che è il vero nemico mortale dei paesi produttori di petrolio”. E la storia si sta incaricando di dargli ragione, dopo oltre 40 anni di vani allarmi sull’esaurimento delle risorse petrolifere o del gas – cui si è sempre fatto fronte trovando nuovi giacimenti , magari a profondità maggiori – si sta riducendo il ricorso ai fossili perché l’innovazione tecnologica sta mettendo a disposizione forme di produzione di energia, da fonti rinnovabili e gratuite e disponibili per tutti , a costi via via sempre più competitivi.
Non sono solo le proposte degli ambientalisti che “utopicamente” propongono società fossil-free fondate sullo sfruttamento del vento, del sole, delle biomasse e della geotermia, ma i più autorevoli istituti finanziari mondiali nonché molti Governi a disegnare un futuro più pulito.
McKinsey, una delle più importanti società di consulenza al mondo, ha delineato uno scenario per cui già nel 2050, il 100% dell’energia elettrica prodotta in Europa proverrà da fonti rinnovabili. L’agenzia federale tedesca ha fatto una simulazione per cui alla stessa data, l’energia prodotta da fonti rinnovabili, sarà in grado di rispondere alla richiesta durante tutto il giorno, smentendo le tesi di chi sostiene che le rinnovabili non siano in grado di garantirlo (come si fa quando non tira vento? o di notte quando non c’è sole?), basta invece programmare sistemi di accumulo. E per quanto riguarda i costi, è il Dipartimento dell’Energia del Governo Usa – non solo gli “ambientalisti” – a sostenere che già tra soli 10 anni produrre energia dal vento sarà più conveniente che nella maniera tradizionale (per non parlare del nucleare già oggi completamente fuori mercato perché troppo costoso), e si avvicina sempre più la data nella quale il solare raggiungerà la grid parity, cioè il momento nel quale produrre energia elettrica con il fotovoltaico costerà tanto quanto acquistarla in rete.
Tutto ciò sta già succedendo. Nel dibattito pubblico italiano non lo si sottolinea abbastanza perché qui abbiamo la destra più antiambientalista del mondo, persino negazionista per quanto riguarda i cambiamenti climatici, e una sinistra che oscilla tra la “distrazione” – che non capisce che è proprio puntando su ambiente e green economy che in tutto il mondo si costruisce il consenso dei “progressisti”, di chi vuole cambiare – e le demagogie sciocche e ignoranti, alimentate dai media, dal “Corriere della Sera” a “Report”, calunniose nei confronti delle rinnovabili che fanno nascere anche comitati territoriali, obiettivamente “utili idioti” a difesa dell’esistente e delle grandi centrali fossili.
Ma nonostante la latitanza della classe dirigente, anche in Italia le cose si muovono: sempre più cittadini si costruiscono l’impianto fotovoltaico sul tetto (oltre 100 mila gli impianti realizzati in pochissimo tempo), si produce energia elettrica sempre più con le rinnovabili (l’anno scorso un chilowattora su quattro di quelli prodotti in Italia era “pulito”), c’è un fermento di imprese, piccole e medie soprattutto, come sempre in questo Paese, che grazie a rinnovabili ed efficienza energetica offrono sviluppo e posti di lavoro. Con il 55% di detrazione fiscale sulle ristrutturazioni edilizie che prevedano interventi volti a favorire il risparmio energetico, introdotto dal Governo Prodi e per il quale abbiamo recentemente strappato la proroga di un anno a un ottuso Tremonti, in tre anni sono stati realizzati oltre 800 mila interventi, messi in circolazione più di 11 miliardi di euro, dando una boccata d’aria pulita a un settore in grave difficoltà quale quello dell’edilizia, dato lavoro a 50 mila persone l’anno e risparmiato tante tonnellate di CO2 quante ne avrebbe emesso una grande centrale termoelettrica.
Questo nella riottosa Italia. Nel mondo sono ormai due o tre anni che gli investimenti sulle rinnovabili superano quelli sui fossili. E il modo di produrre energia, la diversificazione delle fonti di approvvigionamento, ovviamente, possono modificare anche radicalmente l’andamento dell’economia mondiale e rapporti di potere internazionali. Si pensi ad esempio, per restare all’interno della competizione tra fossili, cosa sta accadendo da quando si riescono a sfruttare i giacimenti del cosiddetto gas “non convenzionale” di cui sono ricchi Usa ma anche alcuni paesi europei: gli Stati Uniti non importano più gas dai paesi che tradizionalmente lo producono – più o meno gli stessi che hanno il petrolio – il prezzo internazionale del gas è crollato e per la prima volta si è disaccoppiato dal quello del petrolio. Poteri che si dislocano. Se si esce dalla “dipendenza” del petrolio è troppo evidente di quanto si modifica lo scenario internazionale.
Ma tutto ciò significherà anche una società più giusta? Teoricamente, senza dubbio. Passare da un sistema in cui sono pochi, i Paesi, le “sette sorelle”, le grandi aziende produttrici di energia elettrica, coloro che detengono, gestiscono , commerciano le fonti e la distribuzione dell’energia a un sistema nel quale la fonte è gratuita, disponibile per molti e ciascuno si produce la propria energia e la mette in rete non può che essere salutato con favore da chi pensa che la democrazia, anche quella energetica, sia la base per la costruzione di un futuro migliore e di un mondo più giusto nelle relazioni fra popoli.
Ma non si tratta di una strada già tracciata. E’ la politica che la deve rendere possibile e percorribile. Produrre energia da fonti rinnovabili “può” essere la base di un nuovo modello di società più desiderabile. Ma può invece anche essere piegato agli interessi dei soliti noti. Così ad esempio è nel tentativo di produrre biocarburanti nei paesi poveri, magari a spese del food, da parte di grandi aziende occidentali per poi importarli qui da noi senza cambiare di una virgola il sistema dei trasporti. O anche se lo stesso approccio lo mettono in campo nuovi “affamati” di energia, quali Cina e India, che iniziano ad essere in nuovi “predatori” dell’Africa. Insomma deve essere chiaro che contemporaneamente alla rivoluzione energetica in atto, sono in moto tutti coloro che hanno interesse a non modificare nulla, a impedire che l’innovazione sia al servizio di un’idea più democratica di gestione del potere, che non cambino stili di vita, che il potenziale offerto dalle novità non sia utilizzato anche per permettere a milioni di persone che oggi non hanno accesso ad alcun servizio energetico ad uscire dalla povertà senza dovere mendicare qualcosa ai poteri forti e/o farsi colonizzare da antichi e nuovi Paese ricchi.
Come sempre nella storia, sta agli uomini e donne contemporanei prendere in mano il proprio futuro e decidere se impegnarsi per qualcosa che dia benefici collettivi. Oggi probabilmente più che in qualsiasi altro momento abbiamo a nostra disposizione un’arma formidabile per agire il cambiamento. Sta a noi saperla utilizzare .