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La grande beffa del decreto spalma-incentivi

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Ecco perché il provvedimento mette in difficoltà le aziende che hanno investito nel fotovoltaico

Fonte: linkiesta.it

Autore: Alessandra Guida

Da pochi giorni è entrato in vigore il cosiddetto decreto spalma-incentivi. Con una rapidità sorprendente e a discapito della auspicata concertazione tra le parti, l’attuale Governo ha pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 24 giugno 2014 il Decreto Legge 91/2014 che prevede per gli impianti fotovoltaici di potenza superiore a 200 kW, a partire dal 1 gennaio 2015 una "riduzione modulata" (in realtà una riduzione immediata del 20%) dell’incentivo in funzione degli anni residui di incentivazione, e allungamento da 20 a 24 anni del periodo di erogazione, oppure, una riduzione secca dell’incentivo dell’8%.
Il fine, secondo quanto riportato nel testo, dovrebbe essere quello di "ottimizzare la gestione dei tempi di raccolta ed erogazione degli incentivi e favorire una migliore sostenibilità nella politica di supporto alle fonti rinnovabili". Peccato invece che questo decreto rappresenti l’ennesimo provvedimento, forse il più nocivo, con cui negli ultimi due anni si sta mettendo a dura prova il settore fotovoltaico, a partire dalle seguenti iniziative: il Decreto ministeriale del 5 luglio 2012 (cosiddetto Quinto Conto Energia), il raddoppio dell’IMU, gli oneri di sbilanciamento, gli oneri per i costi del Gestore Servizi Energetici, la Robin Hood Tax (10% addizionale su IRES), il dimezzamento dei prezzi del ritiro dedicate. Ma non basta perché l’Autorità sta provvedendo a emanare una circolare "capacity payment" per cui le fonti non programmabili, se non rispettano le previsioni di produzione, pagheranno una multa, e si ipotizza di introdurre un prezzo negativo. Ossia, pur di vendere l’energia si potrebbe accettare di pagare un prezzo.
Un altro Governo che soffre di forma acuta di miopia? Come è possibile che dopo aver investito così tanto in termini di risorse economiche e finanziarie, interventi infrastrutturali, formazione e regolamentazione; dopo aver attratto investitori stranieri e non; dopo aver creato da zero un settore dinamico (con quasi 200.000 persone di ogni livello di specializzazione) che ha consentito all’Italia di rispettare gli impegni di Kyoto, e ridurre la dipendenza dall’import di combustibili dall’estero, si decida di resettare tutto? E per cosa poi? Per lasciar fagocitare il settore delle grandi utility energetiche e alimentare un ritorno imperioso alle fonti fossili, carbone e gas su tutte?
Lo dicono i numeri: l’industria fotovoltaica è ormai allo stremo; la crisi è ben fotografata dai risultati dell’indagine ANIE/GIFI condotta tra le aziende associate: 50% dei posti di lavoro in meno, e perdita di quasi il 50% del fatturato delle aziende nel 2013 rispetto al 2011; più che raddoppiato rispetto al 2012, nei primi nove mesi del 2013 il ricorso alla cassa integrazione, portando a quasi 4mila il numero di dipendenti coinvolti.
Ma non è solo il ramo industriale allo stremo, questo decreto spezza le gambe soprattutto ai produttori, quasi tutti piccole e medie imprese, quelle che si sono esposte con le banche per realizzare impianti, che hanno creduto e investito fin dall’inizio in uno sviluppo, che a differenza di quanto prospettato dal legislatore nazionale, si è rivelato terribilmente artefatto e oneroso: iter di autorizzazione complessi e lenti (oltre 2 anni per il completamento del percorso autorizzativo rispetto ai 90 previsti per legge); diffuso ostracismo locale malcelato dietro ordinanze, pianificazioni energetiche o territoriali, norme per lo più annullate dalla giustizia amministrativa ma che nel mentre hanno bloccato gli iter autorizzativi e costretto gli imprenditori a dover ricorre a consulenze legali, perizie tecniche, onerose garanzie fideiussorie; infrastrutture energetiche obsolete e inadatte al mutato parco energetico nazionale, il cui ammodernamento è gravato anche sui produttori fotovoltaici.
Sia chiaro che non è vero che la rimodulazione dell’incentivo si tradurrà in una mera contrazione dei ricavi per "gli speculatori delle rinnovabili" chi vorrà mantenere la redditività degli investimenti taglierà i costi gestionali a discapito della performance e della sicurezza degli impianti e del personale che vi opera e se sulla sua sostenibilità finanziaria o meno molti esperti si sono già espressi sulla stampa negli ultimi giorni, qui si vuole sottolineare le difficoltà attuative ed i rischi che tale rimodulazione comporterebbe:
– Il prolungamento dei titoli autorizzativi alla costruzione e all’esercizio degli impianti per consentire la prosecuzione dell’attività e quindi il coinvolgimento delle Autorità regionali o locali, mettendo a rischio la legittimità del titolo autorizzativo;
– la rinegoziazione dei contratti di utilizzo dei terreni su cui sorgono gli impianti che esporrebbe i produttori a possibili ricatti contrattuali ed economici da parte dei proprietari dei suoli;
– la ridiscussione dei termini di erogazione dei finanziamenti per la realizzazione degli impianti prospettando condizioni particolarmente gravose se non inaccettabili da parte degli istituti di credito;
– la necessità di ridurre i costi si ripercuoterà in peggiori condizioni operative, si strozzeranno gli O&M contractors, i fornitori e gli installatori, si prediligeranno materiali e componenti più scadenti, si soprassiederà sulla selezione del personale aumentando i rischi per la sicurezza degli impianti stessi e per il personale che vi si troverà ad operare.

Rischi, tempi e costi di tutto ciò sono stati presi in considerazione da chi ha redatto il decreto? Abbiamo pochi giorni per ricordare al Parlamento ed al Governo che l’Italia è ancora un Paese di diritto (le norme retroattive sono illegittime), che minare la certezza degli investimenti significa paralizzare l’economia, che il fotovoltaico ha le potenzialità per incrementare il livello occupazionale, che questo settore ha consentito all’Italia di centrare gli obiettivi del protocollo di Kyoto, che l’energia prodotta dagli impianti fotovoltaici contribuisce ad affrancarci dall’approvvigionamento estero di combustibili fossili e a calmierare il costo all’ingrosso dell’energia elettrica (con beneficio anche sulle bollette delle famiglie) e da ultimo, non meno importante, che consente a tutti noi di respirare un’aria più pulita.