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La comunicazione e il conto energia, in cinque atti

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Come la macchina della comunicazione, della stampa economica e del Governo hanno giocato un ruolo importante nel tentativo di fermare, o quantomeno frenare, le energie rinnovabili in Italia: la campagna sull’aumento dei costi dell’elettricità causati dalle rinnovabili, le fughe di notizie, le paure dell’Enel, la conferenza stampa dei ministeri

Fonte: Qualenergia.it

Autore: Sergio Ferraris

Le dinamiche comunicative che ruotano attorno al mondo dell’energia possiedono andamenti spesso in controtendenza rispetto a quelli dell’informazione e la vicenda del V Conto Energia Fotovoltaico e del Decreto Incentivi per le rinnovabili elettriche non fotovoltaiche ne è una prova.
Atto primo. I due interventi, molto pesanti per il settore delle rinnovabili in Italia, sono stati preceduti da una massiccia campagna "d’informazione" sull’aumento dei costi dell’elettricità causati dalle rinnovabili, che ha puntato molto sulla semplificazione del messaggio esattamente come era successo con il nucleare. «Troppi incentivi pagati in bolletta dai consumatori, con montagne di denaro che finiscono nelle mani degli speculatori fotovoltaici». Questo il messaggio che è arrivato dalle pagine di autorevoli giornali, meglio se economiche.
Atto secondo. Successivamente, preparato il terreno a livello di massa, sono stati inviati una serie di messaggi attraverso il più classico sistema di disinformazione: la fuga di notizie. Nel giro di ventiquattrore sono arrivate nelle redazioni ben due versioni del V Conto Energia, talmente peggiorative da far gridare le associazioni di categoria delle rinnovabili, che su tutta la vicenda, tra parentesi, non sono mai state consultate. Il tutto condito dal colpo di scena: la fonte. Documenti su carta intestata del Ministero dello Sviluppo Economico, infatti, risultavano essere redatti all’interno di Enel, la quale naturalmente smentisce. Secondo alcune fonti qualificate, infatti, non sarebbe la prima volta che il colosso energetico utilizza un "canale privilegiato" nei rapporti con le istituzioni, ma questa volta è scappato un "copia e incolla" di troppo.
Atto terzo. Qualche giorno dopo è arrivata un’intervista a un quotidiano nazionale nella quale Enel, attraverso le parole del proprio presidente Andrea Colombo, affermava: «Lo sviluppo delle rinnovabili, unito alla stagnazione della domanda, sta rendendo difficile la copertura dei costi di produzione degli impianti convenzionali, mettendone a rischio la possibilità di rimanere in esercizio». Un vero e proprio "coming out" con il quale Enel ratificava ciò che nel mondo delle rinnovabili si dice da tempo, ossia che lo scontro non sarà sulle tecnologie ma sui modelli di generazione, centralizzata contro distribuita, con il Governo dei tecnici chiaramente schierato per la prima.
Atto quarto. A indorare la pillola alquanto indigesta sono arrivate a più riprese le parole del Ministro dell’Ambiente Corrado Clini che per quanto riguarda la bolletta ha puntato il dito contro il Cip6 e il decomissioning nucleare, mentre ha difeso il settore delle rinnovabili, arrivando ad affermare che non si sarebbe dovuto ripetere l’errore industriale fatto con la telefonia negli anni 80 dove si è abbandonato un settore in decollo.
Atto quinto. Dopo tutto ciò, arriva la presentazione dei decreti. Con una conferenza stampa piazzata strategicamente nel tardo pomeriggio dell’11 aprile, ora in cui le pagine dei quotidiani sono già assegnate e i palinsesti dei telegiornali già decisi, si illustrano, senza documenti ufficiali ma solo con un comunicato e delle slide prive di tabelle precise, i provvedimenti, comunicando, e questo è il colpo da maestro, che l’Italia con questi provvedimenti «supererà ampiamente gli obiettivi europei del 20-20-20». È il colpo di scena. La nostra Italietta si affianca a giganti come Germania e Inghilterra e rivede, dopo anni di polemiche, gli obiettivi UE al rialzo.
Così il Governo fa il gioco mediatico delle tre carte e si aggiudica meriti che non ha, visto che l’obiettivo, per quanto riguarda le rinnovabili, è già a portata di mano grazie al boom dello scorso anno, ma non importa. Come non importa il fatto che con questi provvedimenti difficilmente si arriverà al traguardo, descritto dalla Bocconi, dei 260mila addetti al 2020 nel settore, visto che alcune aziende stanno già delocalizzando all’estero e potrebbero annunciare a breve licenziamenti in Italia.