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La classifica su clima ed emissioni di Germanwatch. Male l’Italia

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Alla vigilia della COP20 di Lima è uscito il rapporto Germanwatch 2015. Il Climate Change Performance Index presentato nel rapporto per 58 paesi, che rappresentano oltre il 90% delle emissioni mondiali, non è confortante. Scarsa la performance dell’Italia (17° posto), soprattutto riguardo al parametro “poliche nazionali sul clima”.

Fonte: QualEnergia.it

Autore: Redazione

Alla vigilia della Conferenza per il clima di Lima è uscito il rapporto Germanwatch 2015 , presentato poi nel corso della COP 20. Il rapporto analizza i risultati sulla riduzione delle emissioni di gas serra di 58 paesi, che insieme rappresentano oltre il 90% delle emissioni globali. Il Climate Change Performance Index (CCPI) illustrato nel rapporto è costruito per il 60% sulle emissioni del paese (30% livello delle emissioni annue e 30% il trend nel corso degli anni), per il 20% sullo sviluppo delle rinnovabili (10%) e dell’efficienza energetica (10%) e per il restante 20% sulla sua politica climatica nazionale (10%) e internazionale (10%).
In sintesi ne esce un risultato poco confortante: nessun paese è riuscito a ridurre efficacemente le emissioni in modo da mantenere quelle globali al di sotto della soglia critica dei 2°C, tanto che anche quest’anno le prime tre posizioni della classifica non sono state attribuite. Tuttavia per la prima volta quest’anno due paesi – Danimarca e Svezia classificati rispettivamente al 4°e 5° posto – hanno raggiunto una performance soddisfacente.
I primi 10 posti – con l’eccezione del Marocco che conferma la positiva performance dello scorso anno – sono occupati da paesi europei: oltre ai due paesi scandinavi, ci sono Regno Unito, Portogallo, Cipro e Irlanda (qui sotto la classifica, clicca per ingrandire). L’Italia è al 17° posto, guadagnando una posizione rispetto all’anno scorso quando era risultata 18°; Stati Uniti e Cina sono molto indietro: rispettavamente al 44° e al 45° posto.
Un aspetto positivo che emerge invece dal rapporto Germanwatch 2015 è legato all’impetuoso sviluppo delle rinnovabili in quasi tutti i paesi presi in considerazione. In particolare – si legge –  negli ultimi cinque anni vi è stato un rallentamento del tasso di crescita delle emissioni globali di CO2 e, al tempo stesso, un loro disaccoppiamento rispetto alla crescita del PIL.
Questo “decoupling” viene attribuito soprattutto al notevole  sviluppo delle rinnovabili, tanto che in 51 paesi si è registrata una loro crescita percentuale annua in doppia cifra (in media del 15% negli ultimi anni). Il report deduce che ciò dimostrerebbe che vi siano le condizioni economiche e tecnologiche, in grado di contrastare seriamente i mutamenti climatici in corso.
La sezione dedicata all’Italia, curata da Legambiente, rivela una performance particolarmente deludente: è al 17° posto, ma solo grazie alla riduzione delle emissioni causata dalla profonda recessione economica (lo score dell’Italia – pdf). Utile in questo senso andare a vedere alcuni indicatori che abbiamo più volte riportato sul nostro portale, come il drastico calo percentuale negli ultimi 4-5 anni della domanda di elettricità, di prodotti petroliferi e di gas naturale.
Basterebbe già questo per spiegare molto. Nel report tuttavia è pessima soprattutto la classifica relativa alla sua politica nazionale sul clima; qui si retrocede in fondo alla classifica andando al 58° posto. Situazione confermata dal recente rapporto dell’Agenzia europea per l’ambiente sull’attuazione del pacchetto clima-energia 2020. Questo rapporto, infatti, illustra bene come l’Italia senza nuove misure aggiuntive non è in grado di rispettare l’obiettivo di riduzione delle emissioni nei settori non-ETS (come trasporti, residenziale, servizi, agricoltura) del 13% rispetto al 2005.
Come spiega un comunicato di Legambiente, per raggiungere questo obiettivo nel 2020 le emissioni italiane devono attestarsi a 287,9 milioni di tonnellate di CO2 equivalente (MtCO2-eq), ma secondo le proiezioni dell’Agenzia andiamo verso 299,4 MtCO2-eq. Con le misure aggiuntive annunciate nel 2012 e non ancora attuate, l’Italia sarebbe invece in grado non solo di colmare il gap ma di garantire una considerevole riduzione raggiungendo 269.9 MtCO2-eq.
Una nota finale sulla Germania. Il paese resta al 22° posto in questa classifica, soprattutto a causa del suo ricorso al carbone nella produzione energetica, stigmatizzato anche dal report Germanwatch come il nemico n.1 del clima. Ciò ha compromesso al momento il raggiungimento dell’ambizioso obiettivo di riduzione del 40% delle emissioni entro il 2020 (su anno di base 1990) e si stima che con tale trend il paese possa arrivare ad un massimo  taglio del 32%. Tuttavia proprio in questi giorni Berlino ha annunciato un nuovo pacchetto di misure per rendere più rapida la decarbonizzazione dell’economia nazionale e arrivare a quel -40% di emissioni entro la fine del decennio.