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INTERVISTA AL MINISTRO TRIGILIA «La priorità è finanziare il made in Italy»

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Manutenzione straordinaria ed efficienza energetica di edifici pubblici, soprattutto scuole. Poi stiamo selezionando una serie di progetti esecutivi e immediatamente realizzabili del «piano città».

Fonte: Il Sole 24 Ore

Autore: Giorgio Santilli

«Vedo un telaio di quattro assi di sviluppo su cui concentrare tutti i fondi Ue 2014-2020: garantire al made in Italy tradizionale una forte iniezione di innovazione e ricerca per aumentarne la competitività, raccordare o sviluppare nuove produzioni e ricerca in settori di alta tecnologia come nanotecnologie, biotecnologie o aerospazio, puntare sull’agricoltura specializzata di qualità e sull’agrindustria che presentano nuovi spazi di mercato per la produzione italiana, sfruttare l’opportunità della valorizzazione dei beni culturali e ambientali». Così Carlo Trigilia, ministro per la Coesione territoriale, in un’intervista al Sole 24 Ore. «Occorre superare la frammentazione del passato nella programmazione dei fondi Ue. E bisogna liberare le risorse europee dal finanziamento delle grandi infrastrutture, che nei cicli precedenti hanno avuto circa il 25-30% delle disponibilità e d’ora in poi dovranno essere finanziate con risorse nazionali come il Fondo di sviluppo e coesione, l’ex Fas».
Carlo Trigilia, ministro per la Coesione territoriale, parla per la prima volta del disegno rivoluzionario che intende presentare all’inizio di settembre per la programmazione del nuovo ciclo dei fondi europei 2014-2020. È una «riflessione», da tradurre rapidamente in azione di governo, su una programmazione colossale che supererà i 100 miliardi: 30 arriveranno dai fondi strutturali messi già nel bilancio Ue, 30 dovrebbero arrivare dal cofinanziamento nazionale se si confermerà la tradizione di un cofinanziamento nazionale al 50% (le regole europee prevedono che sia fra il 25% e il 50%), altri 40 sono già nella competenza del Fondo sviluppo e coesione (Fsc) che dovrebbe incassare però dalla prossima legge di stabilità altri 10-15 miliardi. «Un’occasione storica – dice Trigilia – per dare solidità e competitività al nostro sistema economico e industriale, soprattutto nel Mezzogiorno ma non solo, mettendo insieme un grande e coerente progetto di sviluppo e superando quella modalità "aggregativa" della programmazione passata, quando si facevano confluire centinaia di progetti in 50 programmi e alcune altre decine di azioni». Settembre sarà il mese di fuoco del confronto con le Regioni (e all’interno del Governo per stabilizzare le risorse nazionali). «Entro fine settembre dobbiamo arrivare alla firma dell’accordo di partenariato da mandare a Bruxelles, altrimenti saremmo in ritardo con gli impegni europei». Il premier Enrico Letta ha già fatto chiaramente capire nella conferenza stampa del 10 agosto a Palazzo Chigi di condividere un disegno ambizioso per la programmazione 2014-2020 e per il Sud. «Il ministro della Coesione territoriale – dice Trigilia – porta la responsabilità di fare una proposta di programmazione che parta da un’analisi della crisi del Paese, che non è solo la crisi congiunturale di matrice internazionale, ma si inserisce in difficoltà di più lunga durata, i cui segni si registrano nella nostra economia ormai da una decina di anni». Ministro Trigilia, prima di fare questa analisi e di affrontare il tema della programmazione 2014-2020, parliamo dell’emergenza che abbiamo davanti oggi: il rischio di non riuscire a spendere i 30 miliardi di fondi europei restanti da qui al 2015 della programmazione 2007-2013 e la necessità, per evitare la restituzione forzosa delle risorse a Bruxelles, di spostare i finanziamenti da progetti e programmi incagliati a nuove azioni. Cosa state preparando? Credo che il sistema dei fondi europei debba dare oggi risposte eccezionali a una situazione eccezionale. Occorre mobilitare tutte le risorse disponibili concentrandole in uno sforzo di contrasto alla recessione in corso e di rafforzamento della ripresa che si attende molto debole. Cosa vuol dire in pratica? Togliere altre risorse agli interventi bloccati per destinarle a nuovi progetti, come è stato finora fatto con le tre tranche del «piano azione coesione» e con quel miliardo destinato al finanziamento degli incentivi per l’occupazione? È questo, ma non solo. Il ragionamento va affrontato con una visione più ampia. Credo che si debba fare uno sforzo per mobilitare nel contrasto alla recessione tutte le risorse su cui non è stato ancora assunto un impegno formalmente e giuridicamente vincolante. Si era parlato di una riprogrammazione per 3 miliardi. Con questo approccio più ampio la cifra cresce? Ci risulta che la differenza fra disponibilità e impegni vincolanti ammonti a 6-7 miliardi considerando i due fondi Fesr (Fondo europeo per lo sviluppo regionale) e Fse (Fondo sociale europeo). Non immaginiamo che tutte le risorse si possano impiegare, ma una buona parte sì. Quali sarebbero queste azioni di segno antirecessivo? Con il decreto sul lavoro appena convertito avevamo iniziato l’azione in favore dell’occupazione con la decontribuzione delle assunzioni di giovani fino a 29 anni e altri incentivi per cooperative, borse di studio, stage. Dobbiamo anzitutto continuare su questa strada e mobilitare tutte le risorse ancora disponibili del Fondo sociale europeo nell’estensione della decontribuzione. Questa non deve essere un’azione del Governo, ma un’azione integrata delle Regioni. Stiamo parlando infatti di risorse regionali. Ci piacerebbe però condividere questi obiettivi per dar vita a una politica nazionale, che sia anche il frutto di una somma di azioni regionali coordinate fra loro. Per il Fesr, invece, cosa avete in mente? Le risorse del Fesr ancora mobilitabili del ciclo 2007-2013 devono andare anzitutto al sostegno alle imprese per irrobustire quel che è partito con il decreto del fare: credito, fondo centrale di garanzia, estensione della nuova legge Sabatini per l’acquisto di macchinari all’acquisto di software, servizi digitale, servizi di ricerca mediante contratti con centri di ricerca e Università. Cerchiamo, insomma, di incoraggiare la ripresa degli investimenti industriali che hanno avuto una caduta molto grave, dell’ordine del 50%. Oltre a rafforzare e accelerare gli investimenti pubblici. Quali novità ci sono in questo capitolo degli investimenti pubblici? Manutenzione straordinaria ed efficienza energetica di edifici pubblici, soprattutto scuole. Poi stiamo selezionando una serie di progetti esecutivi e immediatamente realizzabili del «piano città». Ma vorrei aggiungere ancora una cosa sulle politiche di creazione del lavoro perché, come ha detto il presidente Letta, dobbiamo scongiurare una ripresa senza lavoro. Qui noi dobbiamo stabilire una continuità fra la parte finale del ciclo 2007-2013 e quella iniziale del ciclo 2014-2020. Già si è parlato, anche in sede europea, di una partenza anticipata dello «Youth Guarantee». Esatto. Uno dei problemi gravi riscontrati nelle fasi di passaggio fra cicli diversi, in passato, è la cesura che provocava un avvio in ritardo della nuova programmazione. Questo non deve accadere. Per questo vogliamo intensificare queste azioni per il lavoro e contro la recessione in questa fase, lanciando un ponte anche sul nuovo ciclo di risorse. Torniamo alla programmazione 2014-2020. Qual è l’analisi della crisi economica sottostante alla sua iniziativa? La difficoltà che viviamo non è data solo dalla crisi congiunturale che arriva dall’estero. Abbiamo difficoltà nostre di lunga durata che dobbiamo avere il coraggio di affrontare. È evidente che il processo di internazionalizzazione dei mercati ha messo in difficoltà il sistema centrato sul made in Italy soprattutto nella fascia della concorrenza di costo. Si aggiunga che l’euro ha reso impossibili le svalutazioni che in passato avevano sempre aiutato le imprese esportatrici e che il debito elevato ci ha costretto a una politica fiscale molto spinta per affrontare le difficoltà della finanza pubblica. Una tenaglia che è all’origine delle difficoltà del nostro sistema produttivo e che nel Mezzogiorno si è sentita ancora più forte. Eppure la globalizzazione dei mercati ci dà anche grandi potenzialità. Quali sono? La domanda internazionale presenta trend di forte crescita su alcuni beni e servizi dove siamo ancora competitivi o ben posizionati. La nostra azione deve intervenire a rafforzare proprio questi settori. Le quattro priorità di cui parlava. Esatto. Facciamo l’esempio del made in Italy tradizionale. L’abbigliamento, per esempio, ma anche la meccanica di precisione. C’è uno spazio nella domanda internazionale per i prodotti italiani. Dobbiamo lavorare in quello spazio, rafforzando le esperienze di internazionalizzazione già presenti tra le imprese, collegandole ove possibile, mettendo a disposizione servizi, innovazione, altri strumenti di internazionalizzazione. Dobbiamo ibridare questi settori con le nuove tecnologie, con servizi innovativi, con la ricerca avanzata per renderli più competitivi nella gara globale. Stesso discorso per i settori di alta tecnologia: rafforziamo la ricerca, i collegamenti delle imprese con i centri di ricerca, incrociamo conoscenze, mettiamo in rete le Università, garantiamo lo sviluppo di nuova imprenditorialità. Nel settore dell’agricoltura specializzata c’è già una grande vivacità di piccole e medie imprese. Dobbiamo promuovere forme di cooperazione per rafforzare produzioni che nel mondo spesso hanno già un nome italiano. Infine la sfida non nuova di una valorizzazione del patrimonio culturale e ambientale. Anche qui c’è una grande opportunità già in atto, con la crescita dei ceti medi soprattutto nei paesi emergenti. Facciamo uno sforzo, mettiamo in campo una politica nazionale che sia fatta delle azioni del centro e delle regioni, variamo misure di rapida attuazione, facciamo uno sforzo di partenza istituzionale evitando di impantanarci nella nostra specialità della palude burocratica. Lei ha ripreso la proposta Barca di un’Agenzia nazionale per realizzare questo programma ambizioso, ma le Regioni al momento sembrano molto contrarie. Partiamo dalle cose dette: superare la frammentazione e dare vita a una strategia nazionale in cui si sentano impegnati i diversi livelli istituzionali, centrale, regionale, locale. È evidente che c’è un problema di rafforzamento delle funzioni di indirizzo e di verifica della spesa. Hanno un’agenzia di questo tipo paesi federalisti come Germania e Spagna. Anche nella fase attuativa, per ridurre i ritardi di cui continuiamo a soffrire, occorre un sostegno alle stazioni appaltanti su progettazione, contratti, direzione lavori.