Occorre dunque avere un progetto e sapere discernere tra le varie proposte quelle effettivamente coerenti con il processo di miglioramento dell’ambiente urbano. Una reale partecipazione, un coinvolgimento degli attori del territorio è perciò essenziale, come pure una leadership lungimirante. Senza queste, l’insuccesso è dietro l’angolo. Il nuovo Gruppo di lavoro del Kyoto Club “Smart Cities”, presentato nel corso di un convegno a Roma in occasione della giornata mondiale dell’ambiente il 5 giugno, va in questa direzione. Il coinvolgimento di attori diversi quali enti locali, imprese del settore, finanza, mondo della ricerca, ambientalisti può rappresentare l’occasione di un confronto approfondito e interdisciplinare
Intelligenza e visione per progettare e governare reti e città
Lo sviluppo della green economy si colloca nell’ambito della profonda trasformazione in corso in molti settori in Europa (e non solo). Entro un decennio tutte le nuove costruzioni dovranno essere “nearly zero energy”, mentre le auto che verranno vendute avranno consumi dimezzati rispetto al 1995. L’industria chimica insegue nuove vocazioni verdi puntando sulle bio-raffinerie per superare crisi strutturali. Ma il settore maggiormente investito da cambiamenti radicali è quello dell’energia. In particolare, il comparto della produzione elettrica con il declino del peso del nucleare e del carbone e la rapidissima crescita delle rinnovabili che fra 8 anni dovranno soddisfare un terzo della domanda del Continente.
Ma occorre guardare più avanti. In Europa si è avviato l’iter per identificare obiettivi verdi al 2030. La Commissione intende accompagnare le rinnovabili in un percorso che consenta loro di competere con le altre fonti e ritiene che si possano creare 3 milioni di posti di lavoro nei prossimi 18 anni. Alcuni Paesi sono già andati oltre: la Germania vuole coprire almeno l’80% della domanda elettrica con le rinnovabili nel 2050, mentre l’obiettivo della Danimarca è quello di essere “fossil free” in tutti i settori alla metà del secolo. Lo scenario europeo che si sta delineando vede dunque la creazione di una miriade di punti di generazione verdi (sono circa 3 milioni già oggi) con l’ulteriore immissione di forti quantità di energia dai parchi eolici del Mare del Nord e dagli impianti solari ed eolici del Sud del Mediterraneo. Andranno potenziate le linee elettriche transnazionali e create quelle con l’Africa. L’arco alpino da un lato e i Paesi scandinavi dall’altro diventeranno le “batterie verdi” d’Europa.
Corsa italiana
Anche l’Italia ha partecipato, in maniera un po’ scomposta a dire il vero, a questa corsa. La produzione di elettricità verde si è incrementata del 50% negli ultimi quattro anni. La quota dell’idroelettrico, fonte storica del nostro Paese, è ormai stata sorpassata dalla produzione delle altre rinnovabili. Il fotovoltaico, lo scorso mese di maggio, è arrivato a coprire l’8% della domanda elettrica nazionale. L’evoluzione dinamica del settore energetico deve trovare un suo nuovo equilibrio. La domanda crescerà molto meno che in passato, o sarà stazionaria; il parco termoelettrico, molto sovradimensionato e costituito prevalentemente da cicli combinati ad alto rendimento, può interagire bene con la quota crescente di rinnovabili non programmabili e deve inserirsi in una logica di scambi europei; i sistemi di pompaggio sono sottoutilizzati; ci sono forti criticità nella rete di trasmissione e distribuzione.
In questo sistema che cambia pelle è più che mai necessaria l’elaborazione e la discussione pubblica dell’annunciata Strategia Energetica Nazionale, al fine di delineare il futuro del Paese in un contesto europeo e mediterraneo. Si deve infatti definire uno scenario al 2030-2050 indicando il ruolo che avranno le varie fonti di energia, programmando il potenziamento delle reti, decidendo il ruolo degli accumuli. Le rinnovabili, che dovranno acquisire un ruolo centrale in coerenza con le politiche europee, attraversano oggi un passaggio delicato. I decreti sono molto critici per il settore. Incomprensibile (o forse intuibile alla luce degli interessi convenzionali lesi), l’irrigidimento sui “registri”, barriere criticate dall’Europa, dalle Regioni, dai sindacati, dalle associazioni delle rinnovabili. La Svizzera, che li ha adottati, parla di “incubo amministrativo”. Lo stesso risultato di controllo della crescita delle installazioni si sarebbe potuto ottenere con meccanismi automatici e progressivi di adeguamento delle tariffe al crescere dell’installato. Bisognerebbe poi avviare una vera liberalizzazione della produzione in modo da favorire in tempi ragionevoli l’installazione di tecnologie, come il fotovoltaico, senza incentivi.
Il tema delle smart gridper l’Italia come per la Germania è un problema immediato, non di lungo periodo: il 64% dell’elettricità prodotta in Italia nelle ore centrali del lunedì di Pasquetta è stato prodotto dalle rinnovabili, mentre nella rete tedesca il fotovoltaico è arrivato a coprire il 40% della domanda nelle ore centrali di sabato 26 maggio. È evidente l’urgenza della trasformazione del sistema elettrico del secolo scorso centralizzato e unidirezionale. In questo campo l’Italia parte avvantaggiata grazie ai 34 milioni di contatori elettronici. I nostri distributori elettrici possono acquisire un’esperienza preziosa nell’implementare forme di governo intelligente della domanda da valorizzare poi sul mercato internazionale.
Ma non vanno dimenticate le altre rinnovabili. Nel settore termico, a fronte di un potenziale enorme e poco sfruttato, l’attenzione delle istituzioni è rimasta finora modesta. Pensiamo solo all’enorme patrimonio boschivo italiano, cresciuto a un ritmo di circa 100.000 ettari l’anno, che potrebbe consentire di raddoppiare al 2020 il consumo di biomassa. O il solare termico, tecnologia che non ha nemmeno visto lambire il mercato della media temperatura. O le pompe di calore, che grazie ai rapidi aumenti di efficienza possono dare un valido contributo. Il tutto anche in considerazione del fatto che parliamo di tecnologie che vedono una forte presenza di comparti industriali italiani. Sul fronte dei biocarburanti possiamo contare su esperienze di alto livello riferite a impianti di seconda generazione; ci sono inoltre le premesse per lo sviluppo della filiera del biogas “fatto bene” da immettere in rete o per autotrazione con una potenzialità di 8 miliardi di metri cubi/anno, una quantità pari al volume di metano che l’Italia estrae dal sottosuolo.
Perché il comparto delle rinnovabili si rafforzi non basta però una gestione equilibrata degli incentivi. Nell’attuale contesto di forte competizione internazionale è indispensabile il sostegno alla ricerca nei comparti verdi che vivono sull’innovazione. L’abbandono da parte del precedente Governo del programma Industria 2015 va considerato un imperdonabile errore. La stessa impostazione andrebbe rilanciata ora con l’orizzonte del 2020. Tutti questi temi vanno inseriti in una visione complessiva. A un anno dalla chiusura dell’opzione nucleare nel nostro Paese, chiediamo al Governo di aprire la discussione sulla Strategia Energetica Nazionale e di renderla pubblica.
Smart city, nuove opportunità
Abbiamo parlato delle smart grid associate all’ottimizzazione dei sistemi elettrici. In realtà, l’introduzione di tecnologie e di sistemi di governo intelligenti offre ampie opportunità anche sul fronte ambientale. Un campo privilegiato di applicazione è quello dei centri urbani, grazie all’introduzione di soluzioni in grado di fornire risposte efficaci per sistemi tipicamente complessi. Ma la riflessione sull’efficacia delle risposte smart deve ampliarsi notevolmente. Occorre comprendere il loro ruolo nell’attuale momento di crisi. Proprio quando mancano certezze, va recuperata una “visione” e al tempo stesso servono nuovi strumenti. Bussola e bit. Il tutto gestito con un forte livello di partecipazione. Nelle attuali incertezze del modello economico, le soluzioni “smart” possono agevolare il passaggio da una crescita lineare che divora risorse sempre meno disponibili a uno sviluppo “circolare” che minimizzi l’uso di energia e minerali. Per farlo, si deve trasformare il sistema neurale primitivo delle nostre tecnostrutture in una rete molto più sofisticata in grado di gestire segnali multidirezionali. Questa evoluzione è iniziata con la trasformazione delle reti elettriche, ma coinvolgerà i sistemi dei trasporti, le nostre case, le città e le stesse attività produttive.
L’introduzione di intelligenza nei sistemi ha, tra le varie ricadute positive, quella di limitare l’impatto ambientale. Nel caso delle singole tecnologie, consente di ridurre il consumo di energia o di acqua. A livello di sistema, favorisce la decarbonizzazione del sistema elettrico, riduce i livelli di congestione e le emissioni inquinanti, aumenta la quantità e la qualità della raccolta differenziata e così via.
La continua riduzione dei costi dell’ICT sta consentendo quel salto gestionale necessario per contenere l’utilizzo delle materie prime e ridurre l’impatto ambientale. Siamo in una fase di transizione che durerà un paio di decenni, dopo i quali non si parlerà più di smart grid o smart city, perché questa sarà la caratteristica dominante della maggior parte delle reti elettriche e una connotazione usuale degli agglomerati urbani dei Paesi industrializzati. Esattamente come la benzina verde, che da quest’anno perde la colorazione e il riferimento “verde”, o la “green economy” che sul medio periodo diventerà semplicemente economy.
La possibilità di applicare soluzioni smart alle città è un tema affascinante che vede una crescente attenzione anche nel nostro Paese. Come avviare uno sviluppo equilibrato utilizzando anche tecnologie interconnesse, sostenibili, confortevoli, stimolando la partecipazione dei cittadini: questa è la sfida per aggregati urbani sempre più complessi. Per ora le applicazioni sono su singole aree, dalla gestione intelligente dei consumi energetici in edilizia alle soluzioni innovative nei trasporti, dalla gestione dei rifiuti alla razionalizzazione dell’uso dell’acqua. Sono terapie di agopuntura, come ci ricordava Roberto Pagani nello scorso numero della rivista. L’informazione e la possibilità di modificare i comportamenti o di gestire le tecnologie rappresenta la chiave di lettura comune. Quello che ancora manca, ciò a cui si aspira, è una visione d’insieme, integrata delle varie funzioni, per l’appunto la smart city del futuro.
Sono ormai decine le città che hanno avviato o intendono avviare percorsi di questo tipo. Il segnale dell’attenzione di molti amministratori per un percorso innovativo è dato dalla partecipazione ai bandi europei e nazionali e dalle prime sperimentazioni in atto. Il Ministero Istruzione Università Ricerca ha messo a disposizione 1 miliardo di € per i programmi sulle smart city e ha già assegnato oltre 300 milioni per una trentina di progetti delle Regioni dell’obiettivo convergenza. Un analogo interesse si riscontra nell’adesione oltre ogni previsione, ben 2.000 Comuni italiani, alla campagna europea “Covenant of Mayors”, lanciata con l’obiettivo di ridurre le emissioni climalteranti del 20% nel 2020. La crescente attenzione verso le tematiche delle smart city e l’adesione di massa alla campagna europea del Patto dei Sindaci, sono indicatori della disponibilità a esplorare nuove vie e a impegnarsi in percorsi ambiziosi che prevedono obiettivi intermedi e verifiche.