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Il vento della burocrazia soffia contro il business degli impianti mini eolici

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SONO UN BUON INVESTIMENTO CHE SI RIPAGA IN POCHI ANNI, POSSONO GODERE DI INCENTIVI EPPURE UNA SERIE DI OSTACOLI LI CONFINA IN UNA NICCHIA. LE AZIENDE AGRICOLE PRIMO OBIETTIVO DELLA FILIERA MA LA DETASSAZIONE NON SCATTA E COSÌ IL MERCATO FRENA

Fonte: La Repubblica – Affari & Finanza

Autore: Vito de Ceglia

Installare un impianto di mini eolico può essere un buon investimento che si ripaga in pochi anni. Gli incentivi per farlo ci sono, durano almeno 20 anni e dal 2014 saranno addirittura più convenienti. Non solo, le tariffe incentivanti sono onnicomprensive: in sostanza, si può vendere tutta l’energia che un impianto produce. Eppure questa tecnologia in Italia non riesce a decollare, frenata da una serie di ostacoli che la confinano a un mercato di nicchia nei confronti di rinnovabili più affermate come fotovoltaico ed eolico di grande taglia. Come se non bastasse anche sui numeri del settore regna una grande confusione. Emblematico, in questo senso, il caso del Gse che non è purtroppo oggi in grado di fornire percentuali precise sulle dinamiche del fenomeno “mini eolico”, perché non tiene conto degli impianti installati che ancora non hanno avuto accesso agli incentivi. Un deficit di informazione che non permette quindi di avere un quadro delineato del comparto. «È vero, nel nostro Paese c’è una scarsa conoscenza e informazione su questa tecnologia, mentre nei paesi anglosassoni già da diversi anni il mini eolico è molto diffuso», spiega Grazia Ramponi, responsabile marketing di Tozzi Nord, società che vanta una posizione d’avanguardia in questo segmento di mercato e che appartiene al gruppo Tozzi, uno dei più importanti operatori italiani dell’industria delle rinnovabili, avendo installato impianti eolici di grossa taglia per una potenza complessiva di oltre 387 Mw. Al momento, fa notare Ramponi, per un impianto da 60 Kw chiavi in mano si spendono tra i 280mila ai 300mila euro. I tempi di realizzazione sono di 30-60 giorni (l’iter autorizzativo completo può durare 4-6 mesi). Le condizioni normative sono vantaggiose: per gli impianti da 20 a 60 Kw le tariffe dal 2014 saranno di 0,263 Kw/h prodotti (per quelli al di sotto dei 20 Kw saranno invece di 0,285 Kw/h prodotti). I tempi di rientro dell’investimento si possono prevedere dai 5 ai 6 anni. Per ultimo: su questa tempistica pesa non solo il fattore dei costi, ma anche quello della ventosità. In sintesi, Ramponi stima che, per avere un ritorno positivo, servono almeno 2000-2500 ore equivalenti l’anno. Sulla carta ci sono pertanto tutte le condizioni affinché il mercato del mini eolico decolli definitivamente. Tozzi Nord ci crede, e per questo motivo fino ad oggi ha investito circa 12 milioni di euro in ricerca e innovazione esclusivamente per lo sviluppo delle turbine eoliche di piccola taglia. L’ultima tecnologia lanciata sul mercato a novembre è stata la turbina da 60 KW (Victory 24-60). «L’azienda ha installato la prima macchina ad Ascoli Satriano, in provincia di Foggia, per poter dimostrare la sua reale capacità performante — spiega Ramponi — Questa turbina assicura elevate producibilità a partire da condizioni di bassa ventosità grazie alle sue caratteristiche aerodinamiche e da un rotore di 24 metri di diametro, il più ampio riscontrabile fra tutti i modelli di aerogeneratori della stessa potenza attualmente in commercio e installati». Al momento, Tozzi Nord ha sottoscritto 5 contratti: 1 con un’azienda agricola e 4 con investitori finanziari. La “Victory” arriva dopo la turbina da 10 KW, “TN535”, che si è già consolidata sul mercato: fino ad oggi, ne sono state installate 90 in Italia e 20 tra UK e Germania. «Queste macchine sono le uniche italiane ad avere un curva di potenza certificata da enti accreditati secondo lo standard internazionale IEC61400-2. Per intenderci: quello utilizzato in tutti i mercati top del settore, vedi UK”, sottolinea Ramponi. Che annuncia: «Nel 2014, sia con le turbine da 20 KW sia con quelle da 60 KW, pensiamo di incrementare ulteriormente il fatturato che quest’anno, con le sole turbine di piccola taglia, è stato di 4 milioni di euro. Quattro volte superiore al giro di affari registrato nel 2012». Se i numeri di Tozzi Nord sono positivi, il mercato italiano del mini eolico resta comunque troppo frammentato. A partire dal problema mai risolto delle certificazioni. In sostanza, regna una sorta di anarchia nel settore: perché ad oggi non esiste in Italia una certificazione universale, alla stregua del Regno Unito, in grado di verificare il livello qualitativo di una turbina. E questo rappresenta di fatto un limite che disincentiva chi vuole investire in questa tecnologia. Nel contempo, rappresenta un freno per le banche a finanziare un impianto di mini eolico, anche perché chi finanzia un progetto oggi non si accontenta di un’analisi anemometrica approfondita che duri uno o due anni. Il problema è che suddette certificazioni sono molto onerose e non tutti i piccoli e medi produttori riescono a coprire le spese. Stiamo parlando di cifre che si aggirano intorno a 200mila euro che possono lievitare addirittura fino a 500mila euro ad opera conclusa. Ultimo aspetto da considerare è quello relativo all’“investitore tipo” del mini eolico. E qui sorge un altro problema: perché questa tecnologia, come tutti gli operatori del settore confermano, si rivolge in primis all’azienda agricola. Però, per legge, un’impresa di quel tipo è esente dalla tassazione ordinaria se produce energia da fotovoltaico o da fonti forestali. Ma non se la stessa energia è prodotta dal mini eolico. L’obiettivo dell’intera filiera è di cercare di far estendere questa politica di detassazione. Si stima che, con questa esenzione, si ridurrebbero di circa un anno — un anno e mezzo i tempi di rientro dell’investimento.