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Il paradosso della Puglia, regina italiana delle rinnovabili e del carbone

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Oggi il Festival dell’Energia fa tappa a Bari

Fonte: greenreport.it

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Non esiste forse Regione più adatta della Puglia per capire le contraddizioni e speranze di cui vive oggi in Italia la transizione energetica verso un futuro – si spera – più sostenibile. La Puglia produce oggi il 210% dell’energia elettrica utile a soddisfare il proprio consumo interno: oltre a produrre il 14% di tutta l’elettricità italiana, è la prima Regione per export di energia elettrica, la prima per capacità solare installata (14%) e la prima per la capacità eolica (25%). Eppure, la Puglia è al contempo la Regione con la più alta intensità di emissioni di CO2: 32 Mton nel 2015 (21 in Lombardia), vale a dire 9 Mton per ogni cittadino pugliese. Quasi il triplo di un cittadino siciliano. Come uscirne?

Per cercare una risposta si svolge oggi nello Spazio Murat di Bari un incontro promosso dal Festival dell’Energia – con la regia del vicepresidente del Kyoto club Francesco Ferrante – intitolato Gas e decarbonizzazione. La Puglia in prima linea per sicurezza energetica e sostenibilità ambientale. Un tema caldo sul territorio, dove attorno al gasdotto Tap – un’infrastruttura in cantiere ormai da 14 anni – le critiche circostanziate si intrecciano con quelle pregiudiziali.

La nuova Strategia energetica nazionale (Sen) che il governo sta limando e attesa al varo entro fine novembre rappresenta una bussola importante per osservare la strada imboccata dal Paese sul tema: il ministro Calenda ha assicurato un addio al carbone per la produzione di energia elettrica entro il 2025, sottolineando al contempo che in questa fase di transizione «il gas rivestirà ancora un ruolo molto importante». Una rivoluzione nella quale la Puglia giocherà in ogni caso un ruolo da protagonista.

Ad oggi, sono 7 i Paesi Ue ad aver già detto addio al carbone – Cipro, Estonia, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Malta e Belgio – mentre in Italia ci sono ancora 12 centrali alimentate con il più inquinante dei combustibili fossili, importato per il 90% dall’estero (Africa, Usa, Indonesia, Colombia, Canada, Russia,Cina). Le 16.821.000 tonnellate di carbone bruciate nel 2016 hanno garantito appena il 13,5% della nostra elettricità, ma hanno vomitato in atmosfera quasi 40 milioni di tonnellate di anidride carbonica, il 40% delle emissioni dell’intero nostro sistema elettrico nazionale. Larga parte di queste missioni arriva proprio dalla Puglia, suo malgrado: oltre a risentire della produzione siderurgica dell’Ilva (che nel 2015, nonostante la massiccia riduzione dei volumi, era ancora responsabile per circa il 20% delle emissioni pugliesi di CO2), in questa Regione è infatti concentrato circa un terzo dell’intera capacità elettrica a carbone italiana. Quella a gas, al contrario, è sottodimensionata: il mix energetico da fonti tradizionali è occupato al 33% dal gas (mentre la media italiana è già al 50%), con il carbone – che emette il 70% di CO2 in più rispetto al gas – al 55%. Una situazione non più accettabile.

Grazie alle sue caratteristiche di contesto (reti di trasmissione già disponibili, aumento della domanda nel settore dei trasporti), il gas naturale è parte della soluzione, come lo è – ancor di più – il biometano: una fonte rinnovabile, CO2 neutra, programmabile e flessibile.

Lo stesso Ferrante ci spiega di essere «convinto da sempre dell’utilità del metano quale fonte fossile di transizione», ponendo però come imprescindibile un orizzonte «100% rinnovabile». Ed è proprio su questo punto che l’Italia si gioca una parte fondamentale della politica industriale di settore, nonché l’accettabilità sociale di progetti come il gasdotto Tap. Quello della progressiva decarbonizzazione deve mantenersi un obiettivo cristallino – come del resto sancito dall’Accordo di Parigi sul clima, firmato dall’Italia ed entrato ufficialmente in vigore il 4 novembre dell’anno scorso –, mentre i numeri italiani raccontano un’altra storia.

Le emissioni di gas serra sono tornate ad aumentare, e mentre nel mondo le rinnovabili continuano a correre (la sola capacità del fotovoltaico è cresciuta del 50%), nel  2016 le fonti rinnovabili in Italia hanno assicurato il 37% della produzione totale di elettricità ma continuano ad arrancare, e l’Europa intera ha il fiato corto. Mentre le rinnovabili diventeranno dunque più competitive a livello globale – anche grazie agli investimenti italiani ed europei –, il Vecchio continente rischia concretamente di saltare da un treno in corsa. E l’atterraggio non sarebbe morbido. Il gas può aiutarci a mantenere saldo il percorso di decarbonizzazione, ma senza l’ambizione di arrivare fino in fondo – e dunque al 100% di rinnovabili – tutte le tappe intermedie rischiano di apparire delegittimate.