Sui mercati petroliferi è tornato il panico da "double dip". La possibilità di una ricaduta in recessione – rievocata da alcune grandi panche, che hanno tagliato le stime sulla crescita mondiale, e rafforzata da una raffica di dati economici negativi negli Usa – ha travolto non solo i listini azionari, ma anche quelli del greggio e di molte altre materie prime, con 1a scontata eccezione dell’ oro, al record storico oltre 1.825 dollari l’oncia.
Per il Brent la seduta è terminata con una perdita del polo a 106,99 $. Ancora più pesante il ribasso del Wti, giù del 5,9% a 82,38 $/bbl. TI tutto in una giornata che, sul fronte geopolitico, avrebbe in teoria potuto fornire un certo sostegno alle quotazioni. La Casa Bianca ha infatti irrigidito le sanzioni contro la Siria, vietando tra l’altro qualsiasi transazione inerente il petrolio. Se anche l’intera produzione siriana dovesse fermarsi, non sarebbe una grande perdita: Damasco estrae solo 385mila barili di greggio al giorno (e per gli Usa è un fornitore irrilevante). Ma se anche l’Europa dovesse introdurre sanzioni analoghe, nel Mediterraneo verrebbe a mancare un altro greggio pregiato, il Syrian Light, apprezzato sostituto delle forniture libiche.
I mercati petroliferi hanno però ben altro a cui pensare. L’andamento delle contrattazioni è molto legato alle oscillazioni, altrettanto violente, di Wall Street, a loro volta termometro del maggiore o minore pessimismo sulle sorti dell’economia.
Nel caso in cui gli Usa tornassero in recessione, la domanda di petrolio ne risentirebbe. E anche se ormai sono i Paesi emergenti a trainare la crescita dei consumi, l’economia americana assorbe ancora circa 19 mbg di greggio, quasi un quarto dell’ offerta totale e il doppio della domanda cinese. Una frenata dei consumi negli Usa peri mercati petroliferi non è un evento trascurabile. E a prescindere da un eventuale "double dip" – che non farebbe che peggiorare le cose – questa frenata c’è già.
La settimana scorsa il dipartimento per l’Energia ha modificato le sue previsioni sulla domanda Usa nel 2011: prima si attendeva una (piccola) crescita, adesso invece un declino. Il rimbalzo del 2010, comunque molto modesto (+04 mb, dopo che nei 12 mesi precedenti la domanda era crollata di 1 mb), rischia quindi di restare un fatto isolato e tra gli analisti c’è già chi sostiene che i consumi petroliferi degli Usa potrebbero aver iniziato un declino irreversibile. L’Europa, più ecologica e più efficiente negli impieghi di energia, il picco se l’è già da tempo lasciato alle spalle e quest’anno potrebbe registrare i consumi petroliferi più bassi dal 1995.
Nonostante vi siano ancora frotte di analisti convinti della forza dei fondamentali del petrolio, vi sono indizi evidenti dell’indebolimento dei consumi anche sul mercato dei noli marittimi. Benché l’Opec abbia alzato la produzione, i noli delle grandi petroliere (VIcc) sulle rotte mediorientali stanno precipitando a livelli da crisi nera: un fenomeno solo in parte legato all’eccesso di navi. Da marzo – a parte una breve tregua in giugno – gli armatori stanno operando in perdita (i noli sono cioè inferiori ai costi operativi, intorno a 10mila $). E in agosto, secondo le indicazioni del Baltic Exchange, i noli sono addirittura rimasti quasi sempre sotto zero: una situazione paradossale, che implica che gli armatori dovrebbero pagare per trasportare greggio.