Home Cosvig Il Calore della terra: conoscere per capire e condividerne l’uso

Il Calore della terra: conoscere per capire e condividerne l’uso

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Domenico Liotta, nel corso del secondo seminario 2012 organizzato da CoSviG a Piancastagnaio per i propri soci, ha illustrato il complesso lavoro del geologo nell’individuazione dei campi geotermici.

Fonte: Geotermia News

Autore: Redazione

Ospiti del comune di Piancastagnaio, gli amministratori presenti al seminario svoltosi venerdì 22 giugno, hanno avuto l’occasione di approfondire i temi legati alla geotermia e alle altre fonti rinnovabili grazie agli interventi di Lucia Venturi di eco srl e di Domenico Liotta, professore associato di Geologia Strutturale presso l’Università di Bari.
Il seminario, introdotto dal Presidente di CoSviG, Piero Ceccarelli, si è poi chiuso con l’intervento dell’Assessore all’Ambiente, Energia, Cooperazione Internazionale dell’Amministrazione Provinciale di Siena, Gabriele Berni.
Particolarmente interessante l’intervento di Domenico Liotta su “Il calore della terra: conoscere per capire e condividerne l’uso” in cui ha spiegato quale lavoro svolge il geologo per giungere a caratterizzare una risorsa geotermica, partendo dall’inquadramento della risorsa stessa e dalle condizioni necessarie perché si possa parlare di geotermia.
Il sottosuolo -ha spiegato- presenta una grande quantità di calore, sotto forma di energia termica, che si manifesta mediante eruzioni, quasi sempre non controllabili e quindi non utilizzabili. I vulcani, i geysers, le fumarole, le sorgenti calde, sono manifestazioni tangibili e visibili del calore interno del pianeta, che è di tale grandezza da poter essere paragonato ad un enorme “motore termico”.
Liotta ha poi spiegato che un sistema geotermico può essere suddiviso in tre elementi: la sorgente di calore, il serbatoio e il fluido, che è il vettore termico, ovvero il mezzo che trasporta il calore (soprattutto acqua, liquida o in forma di vapore).
Fanno parte di un sistema geotermico anche il tratto di alimentazione esterna (non sempre presente) o interna (fluidi magmatici); il tratto di affioramento (anche questo non sempre presente).
In un sistema geotermico si ha di norma l’infiltrazione e l’approfondimento di un fluido superficiale (acqua meteorica, diretta o indiretta), fino a raggiungere o avvicinarsi a masse rocciose più o meno calde, che trasferiscono a tale fluido il loro calore.
In pratica si può immaginare un sistema geotermico «come una grande pentola a pressione in cui sotto si ha il calore, dentro l’acqua e sopra, a coperchio, rocce impermeabili».
Le condizioni per mantenere attivo un campo geotermico sono dunque la presenza di acqua –«se non piove non c’è geotermia», ha detto Liotta- e la sismicità necessaria a creare le fratturazioni dello strato impermeabile affinché  il vapore, che si forma dal contatto dell’acqua con le rocce calde, o l’acqua calda stessa possano emergere.
Ma come si fa a individuare un campo geotermico?
Le cartografie geologica e geotematica rappresentano la base essenziale di conoscenza per qualsiasi applicazione tecnologica, per cui la prima fase dello studio consiste proprio nell’indagine strutturale in cui il geologo ricostruisce la geometria dei campi geologici e delle fratture. Un lavoro che porta alla definizione della mappa e che richiede  strumenti molto semplici: carte del luogo e matite, oltre naturalmente alle conoscenze necessarie.
Le carte geotematiche definiscono la posizione e l’estensione delle aree da investigare con maggiore dettaglio e suggeriscono i metodi di esplorazione più adatti per queste aree.
Fatto questo si passa, infatti, ai sistemi successivi di esplorazione per ricercare i campi geotermici: questi sistemi di indagine si dividono in indiretti e diretti.
Il primo metodo indiretto è l’indagine geochimica che serve a stabilire se un sistema geotermico è ad acqua o a vapore dominante, per prevedere la temperatura minima del serbatoio, stimare l’omogeneità dell’apporto di acqua, determinare le caratteristiche chimiche del fluido profondo e individuare l’origine dell’acqua di ricarica.
Poi si può procedere con l’indagine geofisica che ha lo scopo di ottenere indirettamente, dalla superficie o da intervalli di profondità vicini alla superficie, i parametri fisici delle formazioni geologiche profonde.
Le indagini geofisiche si articolano in varie sezioni: geoelettrica, magneto tellurica, sismica a riflessione.
«Sono tutti metodi non invasivi» ha spiegato Domenico Liotta, necessari ma non ancora sufficienti a giungere a uno studio completo di un campo geotermico ed è bene considerare che «fatto tutto questo si sono già spesi 6 o 7 milioni di euro».
Il passo successivo per poter giungere a realizzare un «modello concettuale» è rappresentato dal bilancio idrogeologico per sapere quanta acqua c’é.
Come già aveva evidenziato Liotta ha, infatti, ribadito che non basta che nel sottosuolo ci sia calore ma perché si possa parlare di un campo geotermico, è necessario che l’acqua piovana riesca a penetrare sino a raggiungere questi strati e in seguito ad emergere in superficie: se non piove non c’è geotermia, insomma! Basti pensare che le aree delle regioni geografiche aride del pianeta -anche se ricche di energia termica nel sottosuolo- non hanno alcuna potenzialità in termini geotermici, al contrario di aree geografiche quali l’Indonesia dove grazie all’abbondante piovosità e alla presenza di grandi giacimenti di calore nel sottosuolo esiste un’elevata risorsa geotermica. 
«Da 15 anni sulle aree geotermiche toscane piove sempre meno –ha ricordato Liotta- e questo avrà, anche se non nell’immediato futuro, effetti sulla geotermia».
L’acqua piovana che s’infiltra nel sottosuolo compie un percorso che richiede decine di anni variabile in base alle proprietà geologiche; pertanto la conoscenza delle  caratteristiche di piovosità e il bilancio idrogeologico sono fondamentali per avere informazioni sul campo geotermico.