Mentre in Italia si moltiplicano le polemiche sui progetti che mirano a fare nuove trivellazioni per estrarre altro gas, un’analoga risorsa continua a essere sotto utilizzata: il biometano. Eppure si tratta di una filiera che comincia a consolidarsi poggiando su numeri significativi: 850 impianti biogas in funzione a fine 2012 per un fatturato complessivo di 2,5 miliardi di euro (il 70 per cento realizzato da aziende impiantistiche italiane). Con un potenziale di produzione che è pari a 5,6 miliardi di metri cubi l’anno, più del 50 per cento della produzione nazionale di gas, ed è in grado di assicurare benefici economici e ambientali per l’intero sistema energetico. È il quadro che emerge dal rapporto Biometano: potenzialità, economics, prospettive di sviluppo, uno studio commissionato da EnergEtica e realizzato in collaborazione con Althesys. La chiave di volta per il progetto di crescita del settore è il passaggio dal biogas — che può essere ottenuto dalla frazione organica dei rifiuti, da scarti del sistema agricolo o da colture dedicate — al prodotto più raffinato, il biometano, un gas con le potenzialità necessarie a essere immesso in rete. Depurare il biogas in modo da renderlo simile al gas tradizionale è un processo che fa salire i costi di produzione ma permette di ottenere una serie di vantaggi: può sostituire una quota di combustibili fossili; è una fonte rinnovabile programmabile; può essere accumulato come il gas naturale; facilita l’integrazione con le fonti rinnovabili non programmabili e intermittenti; può essere utilizzato a distanza dai luoghi di produzione; è realizzabile a livello decentrato; permette di impiegare risorse rinnovabili nazionali provenienti dal settore agricolo e ambientale. Dunque il metano ottenuto dal biogas, sostituendo parte di quello di origine fossile, può contribuire alla riduzione delle emissioni serra. Inoltre, è una possibilità per diminuire la dipendenza energetica italiana: il nostro paese importa più di 70 miliardi di metri cubi di gas naturale l’anno (nel periodo 2007-2011 la produzione italiana media annua di gas naturale è stata di 8,7 miliardi di metri cubi, le importazioni pari a 73 miliardi di metri cubi). L’Osservatorio Agroenergia ha calcolato che il biometano al 2020 può arrivare a coprire, nello scenario di crescita accelerata, fino al 10 per cento del nostro consumo lordo di energia, o circa il 5 per cento nello scenario di crescita moderata. «Il biometano è particolarmente efficace in alcuni campi, a cominciare dal trasporto», aggiunge Piero Mattirolo, amministratore delegato di EnergEtica. «In questo caso ha un bilancio ambientale superiore a ogni altro carburante oggi disponibile. Non a caso, tutti i paesi più avanzati stanno già puntando su questa fonte energetica per la mobilità: un trend significativo, considerando che in Italia nei primi dieci mesi del 2012 le immatricolazioni dei veicoli a metano sono aumentate del 42,6 per cento». Per raggiungere l’obiettivo, la ricerca indica alcune misure di sostegno alla filiera: introduzione di target di biometano per i mezzi delle aziende di servizi ambientali; obiettivi di miscelazione di biometano per il gas per autotrazione nel quadro della direttiva 20-20-20; spostamento degli incentivi esistenti per la generazione elettrica da biogas alla cogenerazione a biometano; introduzione di target di immissione in rete di biometano. Obiettivi sostenuti anche da esperienze come quelle di Germania, Svezia, Paesi Bassi e Svizzera. In particolare i paesi che hanno scommesso con più determinazione sul biometano sono la Germania, che nel 2012 ha installato il 46 per cento degli impianti, e la Svezia (26 per cento degli impianti). Ma esiste il rischio, ventilato per tutti i biocombustibili, di sottrarre spazio alle colture alimentari? Per evitare questa possibilità di conflitto e la creazione di grandi estensioni dedicate a colture energetiche, ci si sta orientando a favorire gli impianti più piccoli e quelli alimentati con la frazione organica di rifiuti e con sottoprodotti dell’attività dell’azienda agricola, piuttosto che con biomasse coltivate. In questo modo si può ottenere una buona flessibilità di utilizzo, che migliora ulteriormente attraverso l’immissione in rete che permette di impiegare il biometano dove serve e dove può essere usato nel modo energeticamente più efficiente, ad esempio per cogenerazione ad alto rendimento. «E’ anche importante il contributo alla riduzione del fuel risk perché il paese potrebbe ridurre, anche se in maniera non risolutiva, le importazioni di gas, diminuendo la dipendenza energetica dall’estero, soprattutto dai fornitori a maggior rischio geopolitico», aggiunge Alessandro Marangoni, amministratore delegato di Althesys. «Inoltre, si potrebbero avere benefici ambientali per la riduzione sia delle emissioni di CO2 — e di altre sostanze inquinanti come l’anidride solforosa e gli ossidi di azoto — provenienti dalla produzione elettrica italiana, sia di quelle del settore trasporti. Ulteriori vantaggi si avrebbero per l’evitato smaltimento dei residui e sottoprodotti che altrimenti andrebbero trattati come rifiuti. Infine, vanno calcolate le ricadute occupazionali in fase di costruzione degli impianti e durante l’esercizio e la manutenzione».