aLa riforma della pagella energetica degli edifici ha generato problematiche tutt’altro che marginali al mercato immobiliare. Dietro il cambio di nome, da Ace (attestato di certificazione energetica) ad Ape (attestato di prestazione energetica), si nascondono una serie di insidie e interrogativi che, nell’instabilità politica, restano in attesa di risposte.
In ballo c’è il rischio di «nullità degli stessi contratti» (di vendita, donazione e le nuove locazioni), così come stabilito dal Dl 63/2013 (poi convertito nella legge 90 del 3 agosto 2013) che dal 6 giugno scorso ha reso obbligatorio allegare l’Ape a tutti gli atti di trasferimento di immobili. Nel frattempo si è scatenata la corsa all’attestato e la maggior parte dei certificati rilasciati continuano a chiamarsi Ace, e a esse redatti con le procedure del passato.
Quest’estate, una circolare del ministero dello Sviluppo Economico ha chiarito che, in attesa di nuovi decreti che stabiliranno le procedure di calcolo per l’Ape, restano in vigore gli Ace così come disposti dalle leggi regionali e dalla normativa nazionale precedente. Ma i proprietari ricordano che «nella legge la nullità dei contratti fa riferimento agli Ape e non agli Ace; e che la nuova legge nazionale è di rango superiore a quelle regionali», fa notare Corrado Sforza Fogliani, presidente di Confedilizia. Quindi il rischio è che, in sede di verifica, venga chiamato in causa un giudice a decidere sulla nullità. La paura di trovarsi nelle mani un contratto privo di valore genera confusione: «Abbiamo bloccato i contratti di affitto – afferma Sforza Fogliani – e, in attesa di qualche provvedimento che elimini il rischio, non intendiamo stipularne di nuovi. È un peccato, soprattutto in un momento in cui il mercato si stava risvegliando».
Nelle compravendite era già obbligatorio allegare l’attestato al momento del rogito e molti proprietari si erano già dotati del vecchio Ace (che resta comunque valido per 10 anni). Gli agenti immobiliari denunciano le conseguenze peggiori sul mercato degli affitti: «I proprietari ne stanno prendendo atto – afferma Isabella Tulipano di Solo Affitti – e con in media 150 euro si fanno produrre un attestato. Ma sul territorio raccogliamo problematiche diverse: Milano, grazie alla legge lombarda, era più pronta; a Roma la riforma ha creato abbastanza squilibrio». Solo Affitti chiede una circolare delle Entrate che dia indicazioni operative: «Al momento della registrazione alcuni uffici delle Entrate – aggiuge Tulipano – controllano che ci sia l’allegato; ad altri basta una clausola interna al contratto di presa visione da parte dell’inquilino. In regime Irpef sui redditi da locazione, inoltre, non è chiaro se serva la marca da bollo oppure come procedere nelle registrazioni online». Infine il passaggio da Ace ad Ape confonde ancora di più: «Stiamo continuando a fare contratti di locazione e rogiti allegando l’Ace e non l’Ape, anche se rischiamo», afferma Paolo Righi, presidente di Fiap che da mesi chiede di eliminare la nullità dei contratti.
Le rassicurazioni pubbliche del Governo, che in più occasioni si è detto disponibile a ridiscutere il provvedimento, hanno spinto notai e proprietari a concludere comunque le trattative in corso. «Abbiamo ricevuto rassicurazioni – aggiunge Righi – e tutte le interpretazioni riconoscono la validità dei vecchi Ace. Ma qualche banca sta iniziando a porsi il problema, a chiedersi se concedere una delibera di mutuo con il rischio che il contratto sia sottoposto a nullità».
Chi rischia di vedersi sfumare una trattativa, chi ha urgenza di trovare un inquilino, ovviamente va avanti lo stesso. I notai non registrano una frenata della contrattazione, a causa della riforma. «Detto questo – afferma Domenico Cambareri, consigliere nazionale del Notariato – le complicazioni in questa materia sono tantissime, da sempre legate anche alle diversità tecniche operative nelle Regioni. La riforma ha generato ulteriori complicazioni: nel corso dell’estate si sono accumulate tante interpretazioni, finalizzate al recupero della vecchia normativa e alla volontà di non rallentare il mercato». Fatto sta che si tratta pur sempre di interpretazioni: «A fronte di una pena così dura come la nullità dei contratti – aggiunge Cambareri – capisco le interpretazioni conservatrici dei proprietari che meritano di essere considerate. Se non interviene una sanatoria non si può escludere che alcuni contratti rischino di arrivare davanti al giudice».
Anche Agefis, l’associazione dei geometri fiscalisti, ritiene che l’Ace sia omologa dell’Ape e a chi deve vendere o affittare consiglia di dotarsi di un attestato secondo le vecchie norme, conformi alla direttiva 2002/91/CE, che resteranno comunque validi 10 anni se l’edificio non subisce ristrutturazioni sostanziali. «Ma la gente è incredula – continua Righi – se nel frattempo, prima della chiusura del contratto, venissero approvate le nuove procedure di calcolo per l’Ape, c’è solo da sperare che il documento resti valido. Altrimenti bisognerà farsene fare un altro e pagare nuovamente un professionista abilitato». Su questo anche i notai non se la sentono di dare certezze: «Non abbiamo la sfera di cristallo – dice Cambareri del Notariato – un Ace fatto oggi non è detto che possa rispondere ai futuri decreti, a meno che le nuove norme non facciano salvi gli attestati prodotti fino a quel momento». Nel frattempo alcuni tecnici stanno correndo ai ripari intitolando i nuovi documenti "Ape", anche se vengono redatti secondo le regole dell’Ace. «È l’arte italica dell’arraggiarsi – aggiunge Righi – ma non è possibile oggi trovarsi a dover fare un atto, sperando che poi il Governo faccia una sanatoria», conclude.