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Geyser, l’acqua calda che scoperta

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Immaginate una pentola a pressione che cuoce a fuoco continuo. Sul coperchio c’è la classica valvola di sicurezza che fa uscire il vapore quando la temperatura schizza in alto. Ebbene, sotto l’Italia esiste un’enorme pentola a pressione che bolle da millenni e che viene riscaldata dal magma.

Fonte: Avvenire.it

Autore: Giacomo Gambassi

E, come nel tegame sperimentato dal francese Denis Papin nel Seicento, ha anche le sue valvole di sfogo: fenditure sulla crosta terrestre che si trasformano in soffioni, fumacchi o sorgenti termali.
Né più né meno che fontane di vapore simili ai geyser che hanno reso celebre l’Islanda. E dire che l’Islanda ce l’abbiamo in casa grazie a quel "calore della terra" che per un dono della Provvidenza è custodito nel sottosuolo e che ha dato il nome a una scienza, la geotermia, rimasta in sordina nonostante la caccia energetica quotidiana. In fondo basta muoversi lungo il Paese per scoprire (o meglio, riscoprire) l’acqua calda che già gli Etruschi impiegavano per la ricchezza di acido borico con cui smaltavano i vasi e che i romani consideravano un toccasana per i malanni al fegato, l’artrite o la sterilità femminile.
Certo, bisognerà attendere l’inizio del Novecento perché il vapore sotterraneo diventi una fonte d’energia. E proprio in Italia, nella cittadina toscana di Larderello, il vapore pulito accenderà le prime cinque lampadine del mondo e farà dello Stivale il capostipite di un nuovo modo di lasciarsi aiutare da questa risorsa naturale. A distanza di un secolo, il calore italiano sprigionato dalla terra permette di produrre energia elettrica, far funzionare riscaldamenti in migliaia di abitazioni, alimentare serre, caseifici o allevamenti. E di recente si è sposato con il turismo.
Lo dimostrano gli itinerari verdi da percorrere a piedi o a cavallo fra colonne d’acqua e laghi bollenti nelle province di Grosseto, Pisa e Siena, le esperienze di cucina geotermica nei Campi Flegrei dove i cibi vengono cotti nella solfatara di Pozzuoli o ancora il formaggio e il basilico sempre di marchio geotermico che arrivano dalle aziende in cui il vapore guida l’intero ciclo produttivo. Indubbiamente la più popolare epifania del vapore naturale resta quella delle terme: da Viterbo a Salsomaggiore, da Recoaro a Sardara, fonti di acqua schizzano dal terreno e raccontano il fascino del pianeta invisibile.
Del resto l’intera Penisola può contare su questa locomotiva interna. Dalla costa tirrenica alla Pianura padana, passando per le grandi isole del Paese, l’Italia possiede sistemi ad alta e media temperatura che interessano mille Comuni e coprono il 25% del territorio nazionale. Un potenziale che ha consentito al Paese di essere la quinta nazione al mondo per la produzione di energia elettrica geotermica con cinque milioni e mezzo di chilowattora annui (dopo Stati Uniti, Filippine, Indonesia e Messico) e la dodicesima per gli usi in case e industrie.
«L’Italia – spiega il presidente dell’Unione geotermica italiana, Giancarlo Passaleva – è caratterizzata da un’importante anomalia termica. Questo flusso di calore dal terreno, molto superiore alla media, che corrisponde a una risalita di masse magmatiche a minori profondità, interessa l’area del medio-basso Tirreno, quindi le zone occidentali della Toscana centromeridionale, del Lazio e della Campania settentrionale, oltre ad alcune aree di Sardegna e Sicilia. Si tratta di formazioni acquifere entro profondità di tre o quattromila metri che hanno oltre 300 gradi di temperatura ed elevate pressioni». Autentici serbatoi che possono diventare un carburante "verde" capace di far ruotare le turbine di una centrale elettrica. Certo non sempre è sufficiente aprire il rubinetto della terra.
«Quando la salinità è molto elevata – riferisce Passaleva – si è in presenza di vere e proprie salamoie calde non utilizzabili direttamente. Così pure quando la quantità di gas supera certi limiti, non è più conveniente l’impiego. Per questi motivi, i campi geotermici della Toscana sono risultati meglio utilizzabili di quelli di Lazio e Campania». Comunque nel Napoletano è partito il progetto Cfddp (Campi Flegrei Deep Drilling Project) coordinato dall’istituto nazionale di Geofisica e vulcanologia, che ha fra gli obiettivi quello di ottenere informazioni su un’area col più esplosivo vulcanismo al mondo e di elaborare lo sfruttamento delle risorse geotermiche. Come a dire, non solo cibi rosolati fra le fumarole come la Bocca grande, in cui le emissioni si raggiungono i centosessanta gradi. E il paragone con l’Islanda regge.
Oggi sono 181 le amministrazioni locali italiane che, secondo il rapporto 2010 di Legambiente sui "Comuni rinnovabili", si affidano al vapore scoperto sotto di loro. E ben 136 hanno impianti per trasformare il calore della terra in elettricità. Nel 2006 erano appena 5. Al vertice si trovano i Comuni della Toscana dove i soffioni sono a portata di mano, ma nella graduatoria compaiono anche Treviso, Rivarossa in provincia di Torino e San Pellegrino Terme nel Bergamasco.
Poi c’è l’utilizzo nelle famiglie o nelle imprese. «Gli usi diretti del calore geotermico di media e bassa temperatura – sottolinea Passaleva – sono stimati per il 2010 in mille megawatt di potenza installata. Diversi sono gli impieghi: il 37% dell’energia va per il riscaldamento domestico e il teleriscaldamento urbano (comprese le pompe di calore), il 33 per la balneologia termale, il 16 per l’itticoltura e il 13% per la serricoltura». Nella classifica degli usi diretti (sempre secondo Legambiente), il primo posto è occupato da Ferrara, città-pilota per il teleriscaldamento che, come nella capitale islandese Reykjavík, è stato creato dopo aver scoperto un deposito spontaneo d’acqua calda, seguita da Bagno di Romagna. Fra le località citate anche Mantova, Castelfranco Emilia e Corsico, nel Milanese, dove il negozio Ikea si è affidato al calore del suolo. È l’Italia riscaldata dai geyser. Come accade in un agriturismo di Vetralla, nel Viterbese, dove una pompa preleva l’acqua da una falda calda per alimentare i radiatori delle camere e la piscina.
O in un’azienda agricola della Maremma che per il trattamento di cinquantamila quintali di latte si affida all’energia geotermica della vicina centrale di Enel Green Power con cui realizza ogni anno quarantamila forme di pecorino. Prodotti eco-sostenibili anche perché nel ciclo geotermico l’acqua può essere iniettata nel sottosuolo per ricaricare i serbatoi in maniera più rapida di come non faccia la natura. E le prospettive di sviluppo tra il 2010 e il 2020 sono di tutto rispetto. «Per l’energia geotermoelettrica – prevede Passaleva – si passerà da 850 a 1100 megawatt di potenza installata; e sul versante degli usi diretti del calore, tra cui principalmente la climatizzazione di edifici, si salirà da mille a tremila megawatt termici, con un risparmio di oltre 2 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio e una diminuzione di anidride carbonica emessa pari a 7 milioni di tonnellate l’anno».