Gli Stati Uniti hanno lanciato un nuovo progetto basato su una tecnologia innovativa (cosiddetta Egs – Enhanced geothermal systems) per ricavare energia geotermica dai "punti caldi" della crosta terrestre.
Ovvero aree generalmente composte da rocce secche riscaldate (anche a temperature elevate) dalla relativa vicinanza di sistemi magmatici.
Il progetto è compreso nel Geothermal technologies program finanziato dal Dipartimento dell’energia con uno stanziamento di 21,45 milioni di dollari (circa 17 milioni di euro).
La prima sperimentazione verrà tentata presso l’area vulcanica di Newberry, a una trentina di chilometri dalla città di Bend (Oregon).
La scelta è dovuta al fatto che il vulcano di Newberry è inattivo, ma ha una camera magmatica relativamente vicina alla superficie (meno di cinque km).
La tecnica Egs prevede di realizzare una serie di perforazioni per raggiungere i punti caldi in profondità, e qui creare un sistema più o meno vasto di fratture sotterranee in cui immettere acqua dalla superficie.
Questa, a contatto con l’alta temperatura delle rocce, si riscalda e può quindi essere prelevata e utilizzata in impianti simili a quelli alimentati dai convenzionali fluidi geotermici. Si tratta di una tecnica ancora in fase sperimentale, ma che si ritiene possa dimostrarsi promettente nel futuro.
Secondo uno studio condotto dal Massachusetts Institute of Technology nel 2007, è possibile ipotizzare una copertura del 10% della domanda elettrica Usa con impianti Egs, ma dopo il 2050.
Nel frattempo dovrà essere fatta molta strada nell’innovazione di impianto e di progetto, nonché nella disponibilità di nuovi e particolari materiali.
Ad esempio, un impegnativo progetto Egs avviato in Australia nel 2003 è stato (momentaneamente) abbandonato nell’aprile 2009 poiché tutti i tre pozzi scavati registravano rotture continue.
Il motivo sembra sia dovuto al fatto che i pur specialissimi acciai utilizzati per le tubazioni venivano resi fragili dall’idrogeno presente nel sottosuolo.