Entro il 2030 almeno il 70% dell’elettricità italiana dovrà arrivare da fonti rinnovabili, e il calore naturalmente presente nel sottosuolo può garantire un apporto decisivo
Il Governo guidato da Mario Draghi ha elaborato una versione rivista del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) abbozzato dal precedente esecutivo, ottenendo in tempo record dal Parlamento l’approvazione al documento oggi atteso a Bruxelles.
Al suo interno si dedica ampia attenzione allo sviluppo delle energie rinnovabili, tra le quali però la geotermia non viene esplicitamente citata.
Il vecchio Piano allocava 68,9 miliardi di euro alla missione “rivoluzione verde e transizione ecologica” contando anche le risorse provenienti da React-Eu, mentre il nuovo arriva a 69,96 (ma 9,32 miliardi di euro provengono da risorse nazionali in deficit); tra questi, alla voce “Incrementare la quota di energia prodotta da fonti di energia rinnovabile” vengono destinati 5,90 miliardi di euro cui se ne aggiunge 1 per “sviluppare una leadership internazionale industriale e di ricerca e sviluppo” nella filiera di rinnovabili e batterie, mentre Conte su temi similari ne destinava poco meno (5,76 mld).
A poter fare la differenza per quanto riguarda in particolare la “rivoluzione verde e transizione ecologica”, è il pacchetto di riforme che il nuovo Piano dettaglia assai più del vecchio.
«La transizione – conferma il PNRR – sta avvenendo troppo lentamente, principalmente a causa delle enormi difficoltà burocratiche ed autorizzative che riguardano in generale le infrastrutture in Italia, ma che in questo contesto hanno frenato il pieno sviluppo di impianti rinnovabili o di trattamento dei rifiuti (a titolo di esempio, mentre nelle ultime aste rinnovabili in Spagna l’offerta ha superato la domanda di 3 volte, in Italia meno del 25% della capacità è stata assegnata) […] Secondo alcune stime – riporta ancora il PNRR – considerando l’attuale tasso di rilascio dei titoli autorizzativi per la costruzione ed esercizio di impianti rinnovabili, sarebbero necessari 24 anni per raggiungere i target Paese (con riferimento alla produzione di energia da fonte eolica) e ben 100 anni per il raggiungimento dei target di fotovoltaico».
Ma qui tutto naturalmente dipenderà dalla concreta declinazione e attuazione delle riforme previste: servirà tempo per misurarne gli effetti e per valutarli.
L’obiettivo di fondo, sintetizzato dal ministro Cingolani, è ambizioso: entro il 2030 almeno il 70% dell’elettricità italiana dovrà arrivare da fonti rinnovabili, mentre ad oggi siamo al 38% e le nuove installazioni procedono a rilento frenate da iter autorizzativi respingenti nonché dal moltiplicarsi di sindromi Nimby e Nimto (nimby: not in my backyard, non nel mio giardino; nimto: not in my terms of office, non nel mio mandato, ndr).
La geotermia potrebbe offrire un contributo essenziale al raggiungimento di quest’obiettivo, come sottolineato anche all’interno del dossier Iniziative per il rilancio. Italia 2020-2022, consegnato al precedente Governo dalla task force guidata dal ministro Vittorio Colao – con al suo interno personalità di primo piano in fatto di sostenibilità, come la presidente del Wwf Donatella Bianchi e il già portavoce dell’ASviS Enrico Giovannini, anche lui ora ministro –, chiedeva di «definire i criteri di incentivazione della geotermia nel nuovo decreto FER e chiarire le future modalità di riassegnazione delle concessioni geotermiche», in modo da favorire lo sviluppo sostenibile del Paese.
Nonostante queste premesse, nel PNRR la geotermia non viene esplicitamente citata e dunque non vengono offerte indicazioni di dettaglio in termini di investimenti e obiettivi da perseguire.
Né per quanto riguarda gli usi elettrici, né per quelli termici.
Nel commentare il Piano, il geologo Antonello Fiore, presidente della Società Italiana di Geologia Ambientale (SIGEA), si sofferma su quest’ultimo profilo: «Un punto deludente è l’assenza della geotermia a bassa entalpia tra le fonti di energia rinnovabile. È bene ricordare che tale fonte rinnovabile avrebbe sottratto grosse quantità di fonti fossili oggi utilizzate per il raffrescamento e il riscaldamento di edifici pubblici e privati. Ogni edificio pubblico, ogni edificio residenziale e ogni struttura che ha bisogno d’impianto di riscaldamento e raffrescamento, dovrebbero essere dotati di sistemi geotermici a bassa entalpia».
Più in generale secondo Fiore, che si sofferma in particolare sull’accento posto dal PNRR sull’agrivoltaico – di per sé un connubio tra agricoltura e rinnovabili che può portare vantaggi a entrambi i mondi – siamo dinanzi «ad un Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza che consuma suolo. Nel leggere alcune delle proposte contenute nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza non possiamo che manifestare la nostra delusione; da questo Piano ci aspettavamo più transizione ecologica di pari passo con quella tecnologica».
Al proposito, è utile ricordare un importante pregio vantato dalla geotermia ad alta entalpia: tra le fonti rinnovabili utili alla produzione di elettricità è quella che comporta il minor consumo di suolo, presentando un impatto cinque volte più basso del fotovoltaico sono questo profilo.