Secondo quanto scrive il sito ingegneri.info, la produzione di energia da fonti rinnovabili al netto di idraulica e geotermia è concentrata per il 66% nel Mezzogiorno rispetto al 34% del Centro-Nord. Tra le regioni meridionali la Puglia spicca con il 18,6% della produzione nazionale, e la fa da padrona soprattutto nel solare (21,7%), eolico (23,1%) e bioenergie (13,8%), seguita dalla Campania con l’8,8%.
Molti i limiti del sistema energetico nazionale, tra cui spicca il tasso di dipendenza energetica dell’Italia, ossia il rapporto tra saldo import/export di energia e il consumo lordo, pari all’81%, contro una media dell’Ue a 27 del 53,8%, con la Gran Bretagna al 36% e la Francia al 48,9%. Il nostro mix energetico è inoltre molto più sbilanciato verso le fonti più costose: il 54% dell’elettricità nazionale proviene dal gas naturale, contro una media Ue del 22%, e il 10% dal petrolio, contro una media Ue del 3%.
La geotermia risulta “incredibilmente sottovalutata” nella Strategia energetica nazionale, utilizzata attualmente in Italia solo in Toscana con 33 impianti. Le aree italiane con la maggiore ricchezza geotermica si trovano proprio nel Mezzogiorno, lungo il Tirreno meridionale, in Campania, Sicilia, in un’enorme area off shore che va dalle coste campane alle Isole Eolie e, in misura minore, in Sardegna e in Puglia.
In generale, puntare sul Sud per la crescita delle rinnovabili non è cruciale solo per lo sviluppo economico del Mezzogiorno, ma può rappresentare l’occasione per mettere a sistema l’interesse dell’area con l’intero Paese. In particolare, il Sud si presenta centrale come snodo di interscambio energetico nel Mediterraneo, in vista anche dell’espansione della domanda energetica dei Paesi della sponda Sud, con cui è necessario intraprendere la strada della cooperazione e integrazione energetica.