Rispetto a un anno fa rimangono pressoché identici i target riferiti al comparto elettrico e termico, anche se il documento sottolinea la rilevanza industriale del settore per il Paese
Un anno dopo la prima bozza inviata alla Commissione europea, il Governo italiano – e in particolare i ministeri dello Sviluppo economico, dell’Ambiente e dei Trasporti – ha inviato a Bruxelles la proposta definitiva del PNIEC: il Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima, ovvero il documento con il quale vengono stabiliti gli obiettivi nazionali al 2030 sull’efficienza energetica, sulla riduzione delle emissioni di CO2 e sulle fonti rinnovabili, geotermia compresa.
Secondo il Piano, nel corso di questi dodici mesi il contributo che il calore naturalmente presente nel sottosuolo potrà dare allo sviluppo sostenibile del Paese non è però cambiato molto rispetto alle indicazioni iniziali, confermando «una crescita contenuta della potenza aggiuntiva geotermica» nel settore elettrico.
A fronte degli 813 MW di potenza geotermica installata nel 2017, il documento prospetta 920 MW nel 2025 (contro i 919 inizialmente previsti in bozza) e 950 MW nel 2030; al contempo la quota previsionale di TWh individuata per la geotermia nel settore elettrico passa da 6,2 nel 2017 a 6,9 nel 2025 e 7,1 nel 2030 (a fronte di un 7,0 a politiche vigenti).
Non si rilevano cambiamenti neanche nel ruolo individuato per la geotermia all’interno dei consumi finali coperti da fonti rinnovabili per il riscaldamento: 131 i ktep relativi al 2017, 148 quelli al 2025 e 158 al 2030 (150 a politiche vigenti).
A fronte di stime pressoché invariate, anche quelle relative all’impatto macroeconomico degli investimenti in geotermia sul territorio sono stabili.
Rispetto allo scenario a politiche correnti, infatti, il documento stima – attraverso il modello standard input/output – cosa cambierà per la geotermia nel settore elettrico: 0 investimenti annui in più, 0 valore aggiunto in più, 0 ULA (Unità di LAvoro) temporanee medie annue in più nell’orizzonte 2017-2030.
Per quanto riguarda invece gli occupati permanenti, in seguito all’evoluzione del parco impianti per la produzione di energia elettrica previsto dal Piano, la geotermia passerebbe da 689 ULA permanenti al 2017 a 783 nel 2030 (contro i 789 inizialmente previsti nella bozza del PNIEC), mentre il Piano non offre dettagli in merito al trend di investimenti e Unità di LAvoro relativamente alla geotermia nel settore termico.
In questo contesto il PNIEC sottolinea comunque la rilevanza industriale del comparto geotermico nel nostro Paese. Sotto il profilo della ricerca, dell’innovazione e della competitività il PNIEC segnala infatti fra le maggiori criticità la scarsa presenza dell’Italia «nelle tecnologie per l’uso di fonti rinnovabili, a eccezione di alcune punte di eccellenza nel solare CSP, nella geotermia e nelle bioenergie», e ritiene che «l’intero comparto dell’economia circolare, la geotermia, l’impiantistica legata a GPL e metano, la filiera del bioetanolo, la produzione di batterie e accumuli elettrochimici (non solo litio, anche ioni e sodio) e ovviamente le tecnologie per il fotovoltaico» rappresentino «le principali filiere cui puntare, anche nella prospettiva di sviluppo su mercati esteri».
Al proposito l’Italia ritiene lo Strategic energy technology plan (SET Plan) uno «strumento fondamentale» che «costituirà nei prossimi anni il punto di riferimento per gli investimenti a livello di UE, nazionale e regionale e per gli investimenti privati a favore della ricerca e dell’innovazione nel settore energetico».
Si tratta di un contesto dove la realtà toscana occupa un ruolo di primo piano, ad esempio attraverso il ruolo esercitato dal CoSviG (il Consorzio per lo Sviluppo delle Aree Geotermiche), che vede la prorpia dirigente Loredana Torsello come referente italiano per il SET Plan IWG Deep Geothermal.
«L’intenso lavoro che ha portato alla definizione degli Implementation Plan ha visto l’Italia – riporta il PNIEC – particolarmente attiva nella cooperazione con gli altri Stati membri per individuare priorità e indicazioni di fabbisogno finanziario», un lavoro che ha portato il nostro Paese, unitamente ad altri Stati membri, ad assumere una posizione di spicco in più profili, al primo posto dei quali il PNIEC cita proprio la «leadership europea nello sviluppo delle fonti rinnovabili innovative, in particolare nel settore della geotermia».
Ed è proprio sul ruolo dell’innovazione che si gioca l’unica, concreta novità riguardante la geotermia nella proposta definitiva di PNIEC inviata a Bruxelles: il FER2.
Il PNIEC conferma che il nascente provvedimento dedicato a sostenere nuovi impianti basati su tecnologie innovative «è già in fase di definizione».
Più nel dettaglio, il FER2 «completerà l’intervento delle misure di sostegno attivate già prima dell’attuazione della nuova Direttiva rinnovabili, e incentiverà con gli usuali meccanismi di aste (impianto di potenza >= 1 MW) e registri (impianti di potenza < 1 MW) fonti e tecnologie non considerate nel D.M. FER 1, tra le quali saranno collocate geotermia convenzionale ma con limiti di emissione notevolmente ridotti e a emissioni nulle mediante impianti pilota a reiniezione totale, biomasse e biogas; in valutazione la possibilità di incentivare altre fonti e tecnologie».
Per quanto riguarda le tempistiche relative al FER2, pochi giorni fa la sottosegretaria al MISE, Alessia Morani ha confermato tramite il governatore toscano Enrico Rossi che a febbraio si conta di approvare il decreto, all’interno del quale – come sottolineato dai Comuni geotermici toscani e dal movimento di cittadini GeotermiaSì – è importante prevedere vincoli ambientali che non siano puramente teorici ma che possano essere soddisfatti all’atto pratico, in modo che lo sviluppo sostenibile del comparto geotermico possa realmente tradursi in investimenti a sostegno del territorio.