Dal progetto europeo Geoenvi un report, coordinato dalla geologa italiana del CNR Adele Manzella, che copre l’intero ciclo di vita degli impianti
Disponibile sotto forma di calore immagazzinato nelle rocce, vapore, acqua o salamoie, la geotermia può essere utilizzata direttamente per il riscaldamento o per generare elettricità: di fatto – come spiega il servizio Comunitario di informazione in materia di ricerca e sviluppo (CORDIS) – in Europa contribuisce già al 3% della produzione primaria totale di energia rinnovabile nell’UE, che ha la quarta più grande capacità geotermica al mondo e ancora ampie potenzialità di sviluppo: occorre però che queste siano perseguite minimizzando i relativi impatti ambientali, e in quest’ottica è nato il progetto europeo Geoenvi (Tackling the environmental concerns for deploying geothermal energy in Europe) che si protrarrà fino all’aprile 2021.
Finanziato attraverso il programma UE Horizon2020, Geoenvi è un progetto condotto da 16 partner internazionali (tra cui CoSviG) che ha recentemente pubblicato una dettagliata relazione sulle misure di mitigazione ambientale per lo sviluppo di progetti geotermici.
La relazione, che vede come coordinatrice la geologa Adele Manzella – primo ricercatore all’Istituto di Geoscienze e Georisorse del CNR e presidente dell’Unione Geotermica Italiana – sulle misure di mitigazione ambientale per lo sviluppo di progetti geotermici, in un’ottica che copra l’intero ciclo di vita degli impianti: il documento analizza dunque tutte le fasi dei progetti geotermici con implicazioni ambientali, tra cui l’esplorazione, lo sviluppo, il funzionamento e la dismissione.
Tutte le forme di energia (anche rinnovabile) che impieghiamo per scopi umani comportano infatti impatti ambientali più o meno ampi, che è necessario esaminare a fondo per sapere se il loro impiego può essere sostenibile o meno: di approvvigionamenti affidabili e costanti di energia, infatti, con tutta evidenza la nostra società non può rinunciare.
Tra i principali oggetti d’esame, riassume CORDIS, rientrano ad esempio «il consumo e le emissioni nell’ambiente di energia e d’acqua, la produzione di rifiuti, i fenomeni di perturbazione della superficie come la vibrazione, il rumore, gli aspetti visivi, l’occupazione del suolo e la polvere, e le perdite dovute alle operazioni e alle installazioni di superficie. Gli impatti legati all’emissione di materiale sotterraneo in superficie comprendono rifiuti ed effusioni liquide/solide, degasaggio, radioattività ed eruzione, vale a dire flussi incontrollati di fluido di formazione da pozzi trivellati. Altri effetti trattati dalla relazione sono legati ai cambiamenti geomeccanici, come la deformazione e la sismicità della superficie del terreno, e alle modifiche sotterranee chimiche e fisiche».
Oltre a mettere in evidenza i potenziali impatti ambientali, la relazione prodotta da Geoenvi – non a caso denominata Report on mitigation measures – identifica inoltre le tecniche e le tecnologie di monitoraggio usate per limitare il verificarsi di potenziali danni, tra le quali spiccano eccellenze italiane come gli AMIS (Abbattitore di Mercurio e Idrogeno Solforato).
Per maggiori informazioni, la relazione è liberamente consultabile all’indirizzo https://www.geoenvi.eu/wp-content/uploads/2019/12/D2.2-Report-on-mitigation-measures-2.pdf.