Negli ultimi cinque anni il ricorso alle risorse geotermiche (a livello internazionale e per tutti gli usi) è cresciuto del 20%, con una accelerazione che dovrebbe portare la capacità elettrica installata a raddoppiare nel giro di 6-7 ani.
Ma anche così lo sfruttamento della risorsa resta ancora limitato, se paragonato al suo elevatissimo potenziale.
L’innovazione in corso
Attualmente 24 Paesi nel mondo utilizzano la risorsa geotermica per la generazione di energia elettrica e sono almeno 60 quelli che vi fanno ricorso per gli usi diretti del calore.
A fine 2010 la potenza elettrica installata ha superato i 10.700 MW, con previsioni di sviluppo molto rilevanti soprattutto in relazione allo sviluppo di nuove tecnologie e nuove applicazioni. Inoltre, rispetto alle nuove fonti rinnovabili di maggiore successo (sole e vento), la geotermia presenta l’indubbio vantaggio di essere disponibile 24 ore su 24 indipendentemente dalle fluttuazioni meteorologiche, con un impatto sul territorio molto ridotto, a parità di potenza installata.
L’innovazione nel settore geotermico sta facendo passi da gigante. Non solo per rendere più efficienti, sicure e pulite le tradizionali tipologie di impianti, ma soprattutto seguendo vie del tutto nuove. E una volta tanto si tratta di attività dove l’Italia gioca un ruolo da protagonista, grazie alle competenze e alla ricerca di Enel, che nel settore detiene una indiscussa leadership.
Di particolare importanza è lo sviluppo di nuovi tipi di impianti in grado di sfruttare i fluidi del sottosuolo a media e bassa temperatura. Si tratta infatti di risorse che, nel medio-lungo termine, potranno consentire un grande slancio della tecnologia, poiché hanno una distribuzione geografica molto più ampia dei siti tradizionali.
Dalle sue origini (1904) l’industria geotermica produce elettricità sfruttando un limitato numero di siti dove particolari anomalie termiche rendono disponibili fluidi endogeni ad alta temperatura. In pratica, ai fini della generazione elettrica, finora si potevano sfruttare solo risorse (acqua e/o vapore) con temperature di circa 180 °C o superiori, cioè tali da poter produrre direttamente il vapore idoneo al funzionamento delle turbine.
Oggi sono in fase di sviluppo impianti a ciclo binario in grado di generare elettricità anche da fluidi a bassa e media temperatura (80 – 160 °C). Tali impianti utilizzano un circuito secondario a ciclo chiuso ove circola un fluido a basso punto di ebollizione, tale da vaporizzare grazie al solo calore geotermico e poter quindi azionare le turbine. È evidente che la diffusione di questi impianti binari accrescerà notevolmente il potenziale di sviluppo della risorsa, poiché fluidi a bassa e media temperatura sono rinvenibili in un gran numero di siti praticamente in ogni Paese.
Ma, in generale, va sottolineato che la ricerca è attiva a tutto campo. Ad esempio per rendere più affidabili i metodi di valutazione delle risorse geotermiche nel sottosuolo, per aumentare l’efficienza di sfruttamento e la durata degli acquiferi, per ridurre ancor più l’impatto ambientale e sviluppare nuove tipologie di impianti e nuove applicazioni.
Circa quest’ultimo aspetto, i progetti in corso sono davvero numerosi. Solo per citarne alcuni ricordiamo gli impianti EGS (Engineered Geothermal System), che prevedono lo sfruttamento di rocce calde secche (cioè di ambienti totalmente diversi da quelli della geotermia tradizionale) rinvenibili anche a notevoli profondità. Si tratta di sistemi, ancora in fase di studio, che prevedono di pompare acqua dalla superficie nel sottosuolo, dove (tramite particolari e complessi sistemi) viene riscaldata dal calore delle rocce fino a temperature idonee per la generazione elettrica.
Per accrescere l’efficienza della risorsa sono in progettazione impianti binari che utilizzano fluidi termovettori diversi dall’acqua, tra i quali anche la CO2, che in tal modo – tra l’altro – viene in parte assorbita dalle rocce porose riducendone quindi l’immissione in atmosfera.
In Italia è in fase di progettazione il primo impianto geotermico offshore al mondo, con l’obiettivo di sfruttare i fluidi emessi (ad una temperatura di circa 300 °C) dal Marsili, il più grande vulcano d’Europa, sommerso dalle acque del Mar Tirreno.
Infine si stanno sviluppando impianti ibridi, cioè geotermici abbinati ad altre fonti (ad esempio quella solare, ma non solo) in modo da poter accrescere l’efficienza complessiva delle due tecnologie o superare problemi specifici, quali la mancata generazione notturna degli impianti solari. Un settore, anche questo, nel quale la ricerca di Enel è molto attiva.
Previsioni e raccomandazioni dell’IEA
Secondo l’Agenzia Internazionale per l’Energia (IEA) è probabile che l’importanza della geotermia a livello mondiale aumenti di oltre 10 volte entro il 2050, arrivando a soddisfare il 3,5% della domanda elettrica mondiale (contro l’attuale 0,3%) e il 3,9% della domanda di calore (0,2% attuale). Il dato è contenuto in un recente rapporto (Geothermal Heat and Power: Technology Roadmap) che l’Agenzia ha dedicato allo sviluppo di questa tecnologia inventata in Italia poco più di un secolo fa e su cui Enel detiene una consolidata leadership a livello internazionale.
Ovviamente questo possibile e auspicato sviluppo non è scontato. Oltre al progresso tecnologico in corso, infatti, è necessario il supporto di una decisa volontà politica.
Il settore prioritario di intervento deve essere quello normativo, in particolare – avverte l’IEA – per incentivare lo sfruttamento delle risorse a bassa e media temperatura tramite l’adozione delle nuove tecnologie che ora cominciano ad essere disponibili.
In secondo luogo è necessario accrescere le conoscenze sulla disponibilità delle risorse geotermiche e sulle loro possibilità di sfruttamento, attraverso la realizzazione di banche dati aggiornate.
Infine, sarà indispensabile superare le barriere burocratiche che ancora si frappongono allo sfruttamento di vecchie e nuove risorse geotermiche. Molti Paesi, infatti, non sono dotati di normative specifiche per lo sfruttamento di queste risorse e fanno ancora riferimento a leggi minerarie concepite con obiettivi diversi e inadeguati rispetto a quelli per lo sviluppo delle fonti rinnovabili.