La Toscana rappresenta il luogo dove per la prima volta al mondo, nel 1913, la geotermia è stata impiegata per la produzione di energia elettrica. Da allora sono stati molti i passi in avanti compiuti sul territorio –oggi sono circa 6 miliardi i kWh annui prodotti da 34 centrali geotermiche– ma le potenzialità italiane nel loro complesso rimangono invece in gran parte inespresse: secondo i dati dell’UGI le risorse geotermiche su terraferma potenzialmente estraibili da profondità fino a 5 km equivalgono a circa 500 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio, circa il triplo di tutta l’energia primaria consumata in Italia nel 2015.
Per fare il punto su quanto finora fatto e sui potenziali sviluppi a breve Qualenergia.it –portale web promosso da Kyoto Club, Legambiente e AzzeroCO2– ha contattato nei giorni scorsi Sergio Chiacchella, Direttore Generale di CoSviG, il Consorzio per lo Sviluppo delle Aree Geotermiche che raggruppa -appunto- i Comuni delle aree geotermiche toscane.
La produzione annuale della geotermia italiana ad alta entalpia, osservano da Qualenergia.it, dal 2010 (anno della liberalizzazione per il settore) al 2016 è passata solo da 5 a 5,9 TWh: ad oggi ci sono 23 permessi di ricerca in Toscana, 14 in altre Regioni e 42 ulteriori domande per permessi di ricerca. Mirano –osservano da Qualenergia.it– a risorse di vapore meno pregiate di quelle “storiche” che dovrebbero essere valorizzate tramite impianti a ciclo binario. «Enel, che pure ha centrali a ciclo binario in Arizona -spiega Chiacchella a QualEnergia.it- sostiene che i fluidi in Toscana non sono adatti a queste tecnologie. Ma i nuovi operatori, evidentemente, la pensano diversamente. Purtroppo a frenarli è la mancanza di una normativa chiara. Sono anni che l’aspettiamo, ma per ora è uscito solo un documento di buone pratiche a cura del MISE».
Tra i fattori frenanti, enumerano da Qualenergia.it, ci sono anche i tanti comitati del “No alla geotermia”, che paventano timori per quanto riguarda le emissioni in atmosfera, sismicità indotta e problemi per le falde acquifere.
Il problema degli inquinanti atmosferici sussisteva però in realtà «con la vecchia geotermia, le cui centrali sono state però ormai tutte o rinnovate o chiuse –precisa Chiacchella– e gli attuali impianti sono dotati di tecnologie che abbattono quasi totalmente i gas inquinanti e il loro impatto sulla salute della popolazione, come dimostrato da vari studi sanitari, è inesistente». Per il resto, «la sismicità indotta è provocata dalla variazione di pressione nel sottosuolo, come accade nel fracking per gli idrocarburi –spiega ancora– Ma una corretta “coltivazione” del campo geotermico con la re-iniezione del fluido utilizzato, consente di evitare questi rischi. E i fluidi geotermici vengono captati a migliaia di metri di profondità, molto più in basso delle falde di acqua potabile». Per quanto riguarda infine l’impatto sul paesaggio interviene Edo Bernini, responsabile della direzione Ambiente ed Energia della Regione Toscana, che precisa: «L’impatto sul paesaggio è già considerato nella Valutazione di Impatto Ambientale», e viene dunque approfonditamente esaminato in via preliminare.
Discorso a parte per gli impianti sperimentali sotto i 5 MW, che re-iniettano nel sottosuolo sia il fluido che i gas non condensabili e che il MISE finanzia con appositi incentivi (10 i progetti in fase di autorizzazione presso il ministero). «Due di essi, uno nel pisano e uno in territorio amiatino –osserva ancora Chiacchella– dovrebbero essere vicini alla partenza, perché, a differenza dei progetti maggiori, in questi casi la sussistenza delle risorse geotermiche necessarie è già accertata, mentre la presenza di incentivi correlati alle difficoltà tecniche che si incontrano riduce i rischi per gli operatori».
Qualsiasi sia la tipologia d’impianto, sottolineano dal CoSviG, essenziale rimane un confronto sincero con i territori coinvolti: «La popolazione locale deve valutare se un impianto geotermico sia compatibile con le attività locali –conclude Chiacchella– ma deve essere informata correttamente, sia sui reali impatti, sia sulle risorse che portano al territorio sotto forma di royalties e per l’uso diretto del calore. Una volta che si sono valutati bene i pro e contro, però, la politica deve decidere, senza farsi bloccare in eterno da veti, provenienti, spesso, da associazioni che rappresentano poche persone».