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Generazione distribuita: il sistema elettrico e la vera storia dei “nanetti impertinenti”

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L’ultimo rapporto dell’Autorità mostra che la generazione distribuita non è esattamente una sconosciuta intrusa del sistema elettrico italiano come la si dipinge, ma ne è da molto tempo una componente essenziale. Peccato che il regolatore continui a vederla più come un problema molesto che come una occasione di evoluzione

Fonte: QualEnergia.it

Autore: Alessandro Codegoni

Uno dei mantra di chi si oppone alle rinnovabili è quello che la generazione distribuita, cioè la presenza di molti impianti di dimensioni relativamente piccole, distribuiti sul territorio e spesso neanche allacciati alla rete nazionale ma a reti locali, sia una componente innaturale per un sistema elettrico che, invece, avrebbe sempre funzionato solo con grandi impianti centralizzati, più facili da gestire ed equilibrare, e che rischia di saltare a causa dell’intrufolarsi adesso di questi ‘impertinenti nanetti’.
Per chi crede sia così dovrebbe costituire una grossa sorpresa l’ultimo rapporto dell’Autorità per l’energia sullo sviluppo degli impianti di generazione distribuita, pubblicato ad agosto (allegato in basso). Il documento fotografa la situazione dei piccoli impianti elettrici (o cogenerativi) in Italia al 2012, e il risultato complessivo di questo censimento è decisamente sorprendente. La generazione distribuita (GD, in questo contesto definita come l’insieme degli impianti di generazione connessi direttamente alle reti di distribuzione) già nel 2012 contava in totale 484.912 impianti che producevano 57 TWh di elettricità l’anno: quasi un quinto dell’elettricità prodotta in Italia.
Analizzando i dati suddivisi per fonte si scoprono altri dati interessanti. Il fotovoltaico vince alla grande per numero di impianti: 478.277 per 15,7 GW di potenza. Contrariamente alla vulgata che vuole che gran parte degli incentivi vadano a «speculatori» che hanno costruito grandi impianti destinati solo alla rete, dei 17 TWh prodotti dal FV nel 2012 ben 15,3 TWh sono stati ‘consumati in loco’, e solo 2,2 immessi in rete. Per fare un confronto, la produzione degli impianti eolici in GD (2,2 GW di potenza) è stata consumata sul posto per soli 0,11 TWh, e immessa in rete per 3,3 TWh.
A fare la parte del leone per quanto riguarda la produzione distribuita, però, sono gli impianti GD termoelettrici, gran parte dei quali sono termovalorizzatori di rifiuti, centrali a biogas o cogeneratori in impianti industriali, ospedali, scuole, hotel, ecc. La produzione totale di questi 3166 impianti è stata di 24,6 TWh, e di questa 17 TWh è attribuita a fonti non rinnovabili. Dei 24,6 TWh prodotti così, però, ben 16,5 TWh (di cui 10 TWh da non rinnovabili) non sono stati usati localmente, ma immessi nella rete nazionale. A occhio sembrano più «speculatori» loro di quelli del fotovoltaico.
Interessante anche notare come i 17 TWh di produzione da GD non rinnovabile non abbiano mai indotto in passato le autorità a preoccuparsi per gli oneri di rete non pagati, il problema è stato scoperto solo con l’arrivo del boom solare, che pure la rete nazionale sembra usare molto meno del termoelettrico.
Ultimi impianti in GD sono i 2680 idroelettrici, che producono quasi 11 TWh, di cui solo 0,44 TWh consumati sul posto, mentre la geotermia non ha impianti in GD, ma forse comincerà ad averne quando, nei prossimi anni, entreranno in servizio le nuove, piccole, centrali a ciclo binario.
In totale gli impianti in GD consumano localmente il 40% della loro produzione, grazie soprattutto, come già detto, al fotovoltaico, e immettono in rete il resto.
Il rapporto Aeegsi, dopo questo quadro generale, passa ad analizzare la situazione considerando solo gli impianti sotto i 10 MW, sia che siano connessi alla rete nazionale che alla rete di distribuzione. Da questi impianti relativamente piccoli l’Italia nel 2012 ha ricevuto quasi 40 TWh: dunque molto meno dei 57 TWh prodotti dalla GD comprendente impianti di qualsiasi taglia connessi alla sola rete di distribuzione (vedi sopra). Ciò si deve alla generazione da fonti fossili, che evidentemente usa molti impianti sopra ai 10 MW connessi a reti locali.
In compenso in questa seconda suddivisione – che ripetiamo considera tutti gli impianti sotto ai 10 MW quale che sia il tipo di rete cui sono connessi – il fotovoltaico aumenta la sua produzione di 300 GWh rispetto al totale dei soli impianti connessi a reti locali, evidentemente perché ci sono impianti FV sotto ai 10 MW che producono solo per la rete nazionale, e che compensano la generazione di quelli più grandi connessi a reti locali.
Questa categoria ha anche visto una crescita tumultuosa rispetto al precedente rapporto del 2010: 150mila nuovi impianti, +45%, con una potenza cresciuta di 5,6 GW e una produzione di +10,5 TWh.
Infine il rapporto passa a esaminare la situazione per i microimpianti, cioè quelli inferiori al MW di potenza (quasi tutti connessi a reti locali). Nel 2012 erano 482.393, ovviamente ancora più dominati dalla tecnologia fotovoltaica. Questa svetta con 13 GW di potenza (sui 15,1 totali dei microimpianti) e 14 TWh di produzione (sui 20,3 totali), per il 93% consumata localmente.
Il termoelettrico conta 2500 impianti sotto al MW, ma che producono solo 4 TWh dei quali solo 0,34 TWh da fonti non rinnovabili, mentre spariscono quasi l’idroelettrico, con 2 TWh, e l’eolico, appena 0,17 TWh. La produzione di tutte queste ‘fonti non solari’ è stata consumata localmente per un misero 10%. I 20,3 TWh di produzione da microimpianti pesano comunque per un cospicuo 7% dell’elettricità nazionale.
Dopo aver fatto il censimento e aver constatato come la ‘valanga’ della generazione distribuita non sia più arrestabile, l’Autorità nelle sue raccomandazioni al fine di integrare meglio questi impianti nel sistema, non manca comunque, com’è nel suo stile, di insistere sulle ‘punizioni’ da infliggere agli impianti a fonti non programmabili. Si suggerisce ad esempio di dare a Terna la possibilità di escluderli quando ha bisogno di dare più spazio alla riserva termica e si insiste sulla necessità di sanzionare il mancato rispetto delle previsioni di produzione delle fonti intermittenti, anche se Tar e Consiglio di Stato gli hanno già dato torto su questo punto. Nulla si dice sulla necessità di un maggior uso degli accumuli già esistenti o sull’eventuale costruzione di nuovi impianti di storage, e solo un vago accenno alle smart grid e all’importanza di riscrivere le normative sul dispacciamento, magari includendovi anche piccoli impianti a rinnovabili, singoli o consorziati.
Concludendo, sembra che la generazione distribuita non sia esattamente una sconosciuta intrusa del sistema italiano, ma anzi ne sia da molto tempo una componente essenziale, e che fra le varie fonti che alimentano impianti di questo tipo, il fotovoltaico svetti per la sua capacità di consentire di sfruttare al meglio i vantaggi di questo tipo di generazione (per esempio, la riduzione delle dispersioni di rete), la cui elettricità viene utilizzata localmente di gran lunga nelle percentuali più alte. Peccato che, purtroppo, sembra che gli organi tecnici che dovrebbero costruire il futuro sistema elettrico, continuino a vedere la generazione distribuita da rinnovabili, più come un molesto problema che come un’occasione.