Se gli abitanti del mondo mantenessero le abitudini del cittadino europeo medio, l’umanità avrebbe bisogno di ben 2,6 pianeti come la Terra. Basta questo dato, contenuto nel Living Planet Report 2014 del Wwf, per comprendere quanto sia importante cambiare registro in tema di sostenibilità. Un impegno che chiama a raccolti tutti: le istituzioni, nel loro ruolo di legislatori; le aziende, chiamate a rivedere i processi di produzione e stimolare atteggiamenti di consumo più responsabili, i singoli cittadini, che possono incidere a fondo con i loro comportamenti e le loro scelte, sia a livello individuale, che come membri delle comunità familiari e locali. Si tratta di una questione che non risponde solo a un’esigenza di giustizia sociale (chi consuma più del dovuto fa affidamento sulle ricchezze naturali di altri Paesi), ma anche di sopravvivenza, in quanto si tratta di agire per evitare di bruciare le risorse ancora disponibili, togliendo così il sostentamento alle generazioni future. Anche perché la situazione è in costante peggioramento, secondo quanto rileva il Footprint Network, che calcola l’impronta ecologica dei diversi stili di vita sul pianeta. Quest’anno l’overshoot day — vale a dire il giorno in cui si esauriscono le risorse rinnovabili — è caduto il 19 agosto. Senza andare troppo indietro nel tempo, basti pensare che nel 2007 la Terra è entrata in debito il 26 ottobre. Quindi, dallo scoppio della grande crisi, nonostante la debolezza dei consumi che sta caratterizzando tutto il mondo occidentale, ci siamo giocati oltre due mesi all’anno. Con un impatto economico che oggi è poco considerato, ma presto potrebbe assumere i caratteri dell’emergenza: «Se non verranno prese in considerazione le risorse naturali, i rating del debito sovrano di alcuni Paesi potrebbero essere meno robusti di quanto pensato di realizzare», si legge nel rapporto “E-Risc: A New Angle on Sovereign Credit” pubblicato dall’United Nations environment programme’s finance initiative. Un altro studio – ma ce sono diversi altri non meno autorevoli – che pone l’accento sulle perdite di «suoli, foreste e pescato », nonché sui crescenti costi delle risorse naturali, che «sono destinate a diventare sempre più importanti per la salute economica di una nazione e possono influenzare la sua capacità di ripagare o rifinanziare il debito sovrano ». Arriva da qui un richiamo ai Governi nazionali e alle istituzioni internazionali affinché si impegnino in una legislazione che guardi non solo all’utilità presente, ma sia capace anche di proiettarsi alla conservazione dei territori per le prossime generazioni. Anche perché, come si è visto in occasione di eventi naturali estremi come quelli che hanno colpito l’Italia negli ultimi mesi, i costi del risanamento e della ricostruzione spesso superano di gran lunga quelli della prevenzione e della programmazione. Un ruolo importante in questo senso possono svolgerlo anche gli operatori economici. È dal 2000 che l’Onu ha avviato progetti per spingere le imprese di tutto il mondo a creare un quadro economico, sociale e ambientale in grado di promuovere un’economia sostenibile. È nato così, tra gli altri, il Global Compact, un network che garantisce supporto e coordinamento alle aziende che decidono di applicare un insieme di principi universali relativi a diritti umani, lavoro e ambiente. Le imprese possono agire anche per sensibilizzare i consumatori per superare il problema del sovraconsumo, che appare ancora più grave in questa fase di congiuntura negativa, che porta molte famiglie a ridurre le voci di spesa anche su capitoli fondamentali, mentre si assiste increduli ad una quantità di sprechi non sopportabile. Questo nodo chiama in causa anche il tema delle responsabilità individuali. Ciascuno di noi può decidere di sprecare meno energia o di ricorrere a mezzi di trasporto meno inquinanti, senza dover fare rinunce essenziali. Così come può ridurre sensibilmente i rifiuti quotidiani e contribuire il riciclo, con il solo ricorso a piccoli accorgimenti. Basti pensare che gli sprechi alimentari costano ogni anno oltre 2mila miliardi di euro a livello mondiale, un valore superiore di un terzo al Pil italiano, cioè a tutta la ricchezza che viene prodotta nel nostro Paese. Secondo l’ultimo rapporto della Fao, ogni anno si sprecano 1,3 miliardi di tonnellate di cibo, tra frutta, ortaggi e altri prodotti della terra che finiscono nel cassonetto, spesso prima ancora di arrivare nelle case dei consumatori o che vengono gettati da questi ultimi per l’incapacità di consumarli entro la data di scadenza. Temi, tra gli altri, che saranno al centro dei dibattiti in occasione dell’Expo 2015 di Milano, che si svolgerà dal 1° maggio al 31 ottobre del prossimo anno. Il tema scelto — “Nutrire il Pianeta, Energia per la Vita” — richiama proprio gli interrogativi sulla sostenibilità della crescita, sulla capacità di modificare gli stili di vita e di consumo, nella consapevolezza che entro il 2050, grazie al miglioramento della sanità e alla lotta alla povertà, nel pianeta vi saranno due miliardi di abitanti in più rispetto a quanto ve ne sono oggi. Come garantire a tutti l’accesso al cibo sicuro? Un interrogativo che, ancora una volta, chiama a raccolta tutti, dalle istituzioni alle organizzazioni intermedie, passando per i produttori e i distributori, fino ai consumatori finali.