Il cammino dell’Europa verso i lidi dell’energia sostenibile, procede a tappe forzate verso il traguardo del 2020. A maggior ragione oggi, che l’incidente di Fukushima ha imposto un ripensamento continentale dell’opzione nucleare. Ma, come sempre accade fra i Ventisette, è un cammino a due, se non tre, velocità.
Nel primo trimestre di quest’anno, gli investimenti mondiali in energie rinnovabili sono scesi a quota 31 miliardi di dollari: un sonoro 34% in meno. Con l’eccezione di Cina e Brasile, sono rallentati un po’ ovunque, Europa inclusa. «Com’era prevedibile, abbiamo assistito a una specie di sbornia, dopo la frenetica attività negli ultimi mesi del 2010, quando i finanzieri si sono affrettati a chiudere gli affari prima che le feed-in-tariffs (quel che in Italia sia chiama Conto energia, ndr) arrivassero alla scadenza in Germania, Italia e Repubblica Ceca», osserva Michael Liebriech, Ceo di Bloomberg New Energy Finance, la società del gruppo Bloomberg che analizza il mercato delle tecnologie pulite.
Nel primo trimestre di quest’anno, gli investimenti mondiali in energie rinnovabili sono scesi a quota 31 miliardi di dollari: un sonoro 34% in meno. Con l’eccezione di Cina e Brasile, sono rallentati un po’ ovunque, Europa inclusa. «Com’era prevedibile, abbiamo assistito a una specie di sbornia, dopo la frenetica attività negli ultimi mesi del 2010, quando i finanzieri si sono affrettati a chiudere gli affari prima che le feed-in-tariffs (quel che in Italia sia chiama Conto energia, ndr) arrivassero alla scadenza in Germania, Italia e Repubblica Ceca», osserva Michael Liebriech, Ceo di Bloomberg New Energy Finance, la società del gruppo Bloomberg che analizza il mercato delle tecnologie pulite.
Ma riuscirà l’Europa a ricavare entro il 2020 – l’anno inciso sulla pietra miliare, la direttiva sulle energie rinnovabili – il 20% del suo intero fabbisogno energetico (non solo quello di elettricità) da sole, vento, acqua e biomasse? Bruxelles assicura di sì.
In un rapporto presentato al Parlamento di Strasburgo, la Commissione Barroso incensa i successi della direttiva del 2009, «la cui adozione fu incoraggiata dall’inadeguato progresso (degli anni precedenti) e dalla necessità di spingere l’utilizzo delle rinnovabili in tutti gli Stati membri e non solo in alcuni». Come risultato, si prevede che gli investimenti marceranno ancora più spediti negli anni a venire.
Si stima che nel 2020 oltre la metà degli Stati supererà addirittura gli obiettivi (che già sono diversi fra loro: la Danimarca deve arrivare al 30%, l’Italia al 17%, Malta al 10). Un altro bel gruppo riuscirà comunque a centrare il target. Ma due paesi, presumibilmente, non ci riusciranno. «In Italia e in Lussemburgo – si legge nel documento – la piccola quota necessaria a raggiungere gli obiettivi sarà comunque realizzata sotto forma di importazioni dagli Stati membri che hanno un surplus».
Magari i dettami della direttiva – la legislazione più "verde" del mondo occidentale – verranno onorati con il giochetto delle medie statistiche. Ma per raggiungere l’approdo della sostenibilità (con un occhio ai cambiamenti climatici e un’altro alla sicurezza energetica) anche gli Stati più virtuosi devono tenere la barra dritta. «Gli Stati membri – ha sentenziato pochi giorni fa il commissario all’Energia Günther Oettinger – devono raddoppiare gli investimenti, da qui al 2020». Il che vuol dire che, collettivamente, dovranno mettere sul piatto 70 miliardi all’anno.
Raggiungere quel traguardo del 20% sull’intero fabbisogno energetico, vuol dire che una quota ben più consistente di elettricità dovrà essere ricavata da fonti pulite: il 37 per cento. Il che implica una necessità: costruire la cosiddetta smart grid, una più moderna rete elettrica resa "intelligente" dal software e dai microprocessori, per gestire i fisiologici sbalzi dell’eolico e del solare. Per fare questo, si stima che ci sia bisogno di altri 200 miliardi di euro. Ma con un risultato finale non indifferente: fino a 10 miliardi l’anno di risparmi in energia e un ulteriore taglio a quelle emissioni di anidride carbonica che l’Europa – paladina mondiale nella lotta ai cambiamenti climatici – vuole risparmiare all’atmosfera.
I vantaggi di questa faticoso cammino lontano dai combustibili fossili (e dai Governi più o meno democratici che li controllano) si rifletteranno anche sull’economia. Oggi le rinnovabili danno lavoro a un milione e mezzo di europei. E la Commissione stima che «se ne aggiungeranno altri 3 milioni entro il 2020», per implicito effetto della direttiva.
In questa industria nascente, dove contano gli investimenti ma anche i successi nella ricerca scientifica, lo scenario si fa sempre più competitivo: la Cina, ma anche gli Stati Uniti che la rincorrono, stanno alzando la posta. «La sfida dell’Europa – com’è scritto nel documento sulla Strategia energetica approvato lo scorso anno – è riuscire a restare a vertici di questo nuovo settore industriale e fare in modo che cresca, anche in una fase in cui i governi devono al tempo stesso contenere la spesa». Non è una sfida da poco.