Una turbina galleggiante capace di dimezzare i costi dell’eolico in mare: in Italia nascono anche tecnologie del genere, ma rischiamo di farle scappare. Il progetto in questione ad esempio è tra i 32 ammessi nel 2008 ai finanziamenti del programma ‘Industria 2015’ ma a 5 anni di distanza ancora non ha visto i soldi: per realizzarlo ci si è dovuti rivolgere a un fondo di investimenti del Medio Oriente, restio però a far partire il progetto nel nostro Paese, “troppo inaffidabile”.
E’ la storia del Condor, aerogeneratore che utilizza una tecnologia italiana di grande valore, “dimenticata” negli anni ’90, e la ripesca per nuovi usi di frontiera. A tentare l’impresa Martin Jakubowski, “architetto di tecnologie”, come si definisce, nato in Germania ma che lavora spesso nel nostro paese, fondatore della Good Energy, società di distribuzione di energia elettrica rinnovabile inglese. Jakubowski ha deciso di creare qui una filiera industriale dell’eolico galleggiante, per produrre una macchina che può essere installata nei mari più profondi, come quelli italiani, ma anche di tante altre nazioni dal Giappone alla California.
Dottor Jakubowski, come è arrivato a occuparsi di eolico offshore galleggiante?
Lavorando prima in Germania e poi in Gran Bretagna nella vendita di energia da rinnovabili, mi sono ben presto accorto che queste nuove fonti erano ancora troppo costose per poter competere da sole sul mercato. Ho quindi ragionato su come si potrebbero far calare drasticamente i costi della più economica di esse, l’energia eolica, per farla diventare competitiva con le fonti fossili e col nucleare. Un compito reso ancora più difficile dal fatto che in Europa gran parte della potenza eolica del futuro sarà installata in mare, un ambiente difficile che la rende ancora più costosa.
E come ha proceduto?
Nel 2004 fondai Blue H, una società anglo-olandese per testare un concetto di eolico galleggiante in Puglia. Abbiamo costruito un prototipo a Brindisi, varandolo nel mare di Tricase. In quell’occasione abbiamo avuto un primo assaggio dell’assurdità della burocrazia italiana: ci hanno concesso un permesso di installazione di soli 18 mesi, niente, se si vuole provare una turbina in condizioni realistiche. Così, dopo un anno e mezzo di prove, a dicembre 2008, abbiamo dovuto rimuovere il prototipo. Purtroppo il tipo di galleggiante scelto per quella turbina, un tension–leg-platform, richiedeva l’ancoraggio con cavi tesi, e mentre eravamo nella fase del loro allentamento per la rimozione, una mareggiata ha capovolto la turbina. La cosa non ci ha fatto certo piacere, ma almeno abbiamo capito che dovevamo trovare un altro tipo di galleggiante, stabile in tutte le situazioni, ma che ancora ci consentisse di montare l’impianto sulla banchina, non al largo.
Perché è così importante montare la turbina a terra?
Le enormi chiatte-gru specializzate, che montano le grandi turbine eoliche offshore: hanno una tariffa per il noleggio di minimo 100.000 euro al giorno, più i costi d’uso del mezzo, e, considerati i possibili inconvenienti, si finisce per spendere 1-2 milioni di montaggio per turbina. Questo tipo di spese sono accettabili per impianti petroliferi, enormemente redditizi, ma quando vengono usati in operazioni come l’eolico offshore, che hanno una redditività sul filo del rasoio, rischiano di portare al fallimento economico l’operazione.
Dopo l’incidente di Tricase che è successo?
Ho lasciato la Blue H per divergenze di vedute con gli altri soci. In quel periodo avevo conosciuto Silvestro Caruso, un ingegnere che aveva lavorato in Ansaldo/Finmeccanica, contribuendo alla realizzazione della Gamma 60, una turbina eolica a due sole pale, molto innovativa per quel tempo. Peccato che poi, nel 1997, Finmeccanica abbia deciso che l’eolico non aveva futuro, abbandonando il progetto. Parlando con Caruso ho capito che una turbina bipala del tipo della Gamma 60 era l’elemento che ci mancava per completare l’approccio di riduzione radicale del taglio dei costi nell’eolico offshore e così assieme a lui ho fondato la Condor Wind Energy
La Gamma 60 era una turbina montata a terra in Sardegna; che c’entra con l’offshore?
Innanzitutto la Gamma 60 era una bipala, una configurazione che massimizza l’efficienza. La configurazione a bipala fu però abbandonata per l’uso su terra perché, muovendosi più velocemente delle tripala. sono più fastidiose all’udito e alla vista. Inoltre soffrono di più le forze oscillanti che si creano durante la rotazione. Ma il disturbo ottico e acustico, nell’uso offshore, non è un problema e la Gamma 60 aveva già risolto il problema delle oscillazioni aggiungendo un giunto elastico nel mozzo, così che le pale potessero basculare di qualche grado. La presenza del giunto elastico riduce anche la forza giroscopica e permetteva alla Gamma 60 di ruotare velocemente in senso orizzontale, adattandosi così alle variazione della velocità del vento (vedi video in fondo, ndr). Le turbine tripala, invece, per fare questo usano il meccanismo del pitch control, la rotazione delle pale sul loro asse, che è una grande causa di guasti.
Come sarà la macchina cui state lavorando?
La nostra Condor da 6,1 MW includerà le soluzioni tecniche della Gamma 60 e calcoliamo che avrà il doppio della potenza per unità di peso, rispetto a una normale tripala. Anche il galleggiante contribuirà al contenimento dei costi: sarà una spar buoy, un semplice cilindro cavo zavorrato in fondo, che assicura una grande stabilità in tutte le situazioni. Per evitare di montare la turbina sulla spar buoy in alto mare, abbiamo ideato un metodo per trasportarla già assemblata fino al punto di istallazione.
Qual è la riduzione dei costi che stimate di ottenere grazie a queste soluzioni?
Tutto considerato contiamo di far scendere il costo di una Condor intorno ai 2 euro per watt, poco superiore all’eolico su terra, e molto sotto ai 3-5 euro/watt delle attuali turbine offshore. Considerando poi la sua ridotta manutenzione, la sua maggiore efficienza e il vento più intenso che si trova in mare, il costo dell’energia prodotta dovrebbe essere competitivo con i fossili, almeno nelle situazioni di maggiore ventosità.
Quindi, risolti i problemi tecnici, vi mancavano solo i soldi per andare avanti …
Certo, e questa è sempre la fase più difficile da risolvere di questi tempi, soprattutto quando si propongono soluzioni innovative, che scoraggiano molti investitori potenziali. Nel 2008, però, abbiamo avuto una buona notizia: ci concedevano 7,7 milioni per lo sviluppo del progetto, nel quadro del programma Industria 2015. Ma a cinque anni di distanza li stiamo ancora aspettando. Mi chiedo come si pensi di aiutare il sistema produttivo con questi ritardi, infatti dei 33 progetti ammessi ai finanziamenti, 26 hanno ormai rinunciato. Fare le cose in questo modo, è molto peggio che non fare nulla: così si illudono gli imprenditori più innovativi e gli si fa perdere tempo e fiducia. Per fortuna, però, siamo riusciti a convincere un fondo di investimenti del Medio Oriente a concederci i fondi sufficienti per costruire il prototipo, la fabbrica di turbine Condor e un primo piccolo parco eolico offshore. Ci avevano posto la condizione di non fare nulla in Italia, paese di cui nutrivano poca fiducia, ma siamo riusciti a fargli cambiare idea: la fabbrica la faremo a Taranto e il più piccolo dei parchi eolici in Italia, oltre a due parchi da circa 1 GW l’uno, in Germania e Inghilterra. Se tutto va bene, tra tre anni potremmo cominciare a installare le prime turbine.
Potrebbe non esserci solo la burocrazia a ostacolarvi, non temete i “Comitati del NO”?
Il bello dell’eolico galleggiante, è che non dovrebbe dar fastidio proprio a nessuno: le turbine saranno poste almeno a 20 chilometri al largo, invisibili dalla costa e senza lavori sul fondo che disturbino l’ambiente marino. Non vedo proprio contro cosa eventuali comitati potrebbero protestare. Non ci aspettiamo particolari aiuti dall’Italia, ma almeno speriamo non ci ostacolino.