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Si fa presto a dire smart, ma trovare il sostantivo giusto per questo aggettivo è meno banale.

Fonte: La Repubblica

Autore: ANTONIO CIANCIULLO

Si fa presto a dire smart, ma trovare il sostantivo giusto per questo aggettivo è meno banale. Si è partiti con l’elettrodomestico intelligente. Poi si è passati alla rete domestica. Ora si parla molto di smart cities. Siamo sicuri di aver trovato nella sfera urbana la dimensione giusta per rimodellare il sistema energetico evitando gli sprechi e riducendo le emissioni serra che minano l’equilibrio climatico?
«È giusto ottimizzare l’impiego di energia in ogni ambito, dalla casa alla città, ma per fare un salto bisogna allargare ancora lo sguardo e puntare al concetto di isola», propone Stefano Besseghini, amministratore delegato di Rse, la società pubblica finanziata con il Fondo per la Ricerca di Sistema. «Può sembrare che il concetto di isola faccia a pugni con quello dominante, la rete; in realtà i due aspetti si integrano e si rafforzano reciprocamente. In Italia abbiamo capacità avanzate sia dal punto di vista della gestione dell’elettricità che da quello della produzione, con le rinnovabili che si avvicinano al 30 per cento. Per far rendere al meglio queste potenzialità bisogna però creare le strutture adatte alla generazione distribuita: consumi il più possibile in loco, capacità di accumulo, isole energetiche che si intersecano con quelle vicine creando ambiti smart a livello regionale».
È una delle scommesse di cui si parlerà a Verona, dal 9 all’11 ottobre, in occasione di Smart Energy Expo, la prima fiera internazionale sull’efficienza energetica e sulla whitegreen economy. La scommessa per l’Italia è cogliere l’occasione rappresentata dal recepimento della direttiva europea su questi temi e svolgere un ruolo da protagonista il prossimo anno, durante il semestre di presidenza del Consiglio Ue.
«Abbiamo fatto molto nel campo delle rinnovabili, seguendo una tradizione che da sempre ci ha visto tra i leader nel settore dell’idroelettrico, ora potremo fare ancora di più in quello dell’efficienza», sottolinea Nando Pasquali, presidente e amministratore delegato di Gse (Gestore dei Servizi Energetici). «Si può spendere di meno e produrre più beni e più servizi: un obiettivo fondamentale soprattutto in tempo di crisi. A patto di trovare i meccanismi giusti anche dal punto di vista economico. Se pensiamo che la direttiva europea prevede di ammodernare e mettere in efficienza ogni anno il 3 per cento del patrimonio immobiliare pubblico da qui al 2020, cogliamo immediatamente le dimensioni della sfida. È difficile pensare che dalle casse dello Stato emergano i miliardi necessari a questa impresa: ma seguendo la logica delle Esco, cioè lasciando anticipare ai privati gli investimenti e dando loro come compenso una quota degli utili guadagnati, ecco che i conti possono tornare, con un netto vantaggio per l’ambiente e per le finanze pubbliche ».
Progettare, segmento dopo segmento, una ristrutturazione smart delle città e delle regioni significa far sfumare i confini tra produzione e gestione. Nel mondo della generazione distribuita – con le fonti rinnovabili che si moltiplicano in modo geometrico fino a coinvolgere potenzialmente le case di milioni di cittadini – non ha infatti senso immaginare il momento della generazione elettrica senza preoccuparsi dell’uso e dell’accumulo. Come ricorda Pasquali, un sistema intelligente su larga scala richiede eccellenze tecnologiche che in Italia hanno punti di forza: dalla meccanica avanzata all’elettronica, dalla domotica all’automazione.
Insomma, a distanza di dieci anni dal più importante black-out del sistema elettrico italiano, siamo di fronte a un cambiamento epocale. In parte per la flessione dei consumi, in parte per l’aumento dell’offerta, in parte per il salto di qualità del sistema, la prospettiva si è rovesciata: oggi il problema non è tanto garantire la produzione quanto allargare gli utenti e diminuire i costi. Eppure gli ostacoli sul cammino delle norme mirate a creare sistemi virtuosi restano alti.
«Sul tema dell’efficienza energetica l’Italia è partita per prima, con le leggi 9 e 10 del 1991: abbiamo avuto una grande intuizione, peccato che al momento di attuarla abbiamo rallentato troppo», commenta Antonio Disi, dell’Enea. «Ora la situazione per fortuna è cambiata anche grazie ai certificati bianchi e agli sgravi del 65 per cento sulle ristrutturazioni domestiche avanzate. Ma il concetto di efficienza per molti resta difficile da cogliere: le banche spesso tendono a privilegiare gli investimenti per la produzione, senza tener conto dei vantaggi economici legati all’innovazione». Oltre alla rivoluzione tecnologica serve una rivoluzione culturale.