Qualcuno lo vede come un cambio epocale, comparabile all’avvento del treno o alla diffusione massiva dell’auto. In effetti lo sviluppo della produzione di energia da fonti rinnovabili ha rivoluzionato il modello esistente, con un impatto forte sulle reti elettriche (in termini di infrastrutture e sicurezza), ma l’Italia «ha concentrato grandi sforzi su fotovoltaico ed eolico, dimenticando di avere tecnologie e manifatturiero soprattutto sull’efficienza energetica e sulle fonti termiche». È una presa d’atto quella di Federico Testa, ordinario di Economia delle imprese all’Università di Verona e presidente del Comitato scientifico di Smart Energy Expo.
Lei ha contestato il peso che consumatori e imprese hanno dovuto sostenere in bolletta per gli incentivi alle rinnovabili. Quelle scelte hanno però spinto l’Italia in prima fila, probabilmente seconda solo alla Germania.
L’Italia su rinnovabili ed efficienza energetica è partita in ritardo e questo può giustificare, almeno nel primo momento, qualche esagerazione nell’incentivazione. Poi azioni avventate (come il decreto salva-Alcoa) hanno fatto saltare ogni controllo sui numeri reali e sono andate a gravare sulla bolletta. Il punto è che gli incentivi sono andati a sostenere soprattutto fotovoltaico ed eolico, due forme rispetto alle quali la nostra filiera industriale di produzione era debole e tale è rimasta.
Eppure si leggono numeri importanti sull’impatto economico della green energy.
L’indotto ha certo avuto ricadute molto positive, ma la nostra filiera su fotovoltaico ed eolico è fatta prevalentemente di attività di montaggio e servizio. È un indotto destinato a un calo tendenziale, dato che gli incentivi non possono reggere. Non c’è invece il manifatturiero. Abbiamo investito molto, cosa positiva, ma senza produrre una filiera industriale. È un treno perso, anche perché dal manifatturiero fotovoltaico sono usciti quasi tutti: impossibile competere con la Cina sui costi di energia, lavoro e materie prime.
Quale potrebbe essere oggi una scelta di politica industriale vincente?
Avrebbe senso focalizzare l’attenzione sull’efficienza energetica e sulle tecnologie che permettono un uso intelligente dell’energia. Quando si parla di pompe di calore o solare termico, ad esempio, l’Italia è tra i leader per tecnologie e capacità produttiva.
Cosa è possibile cambiare in corsa?
Credo che non sia possibile mettere in discussione scelte già fatte. Piuttosto si potrebbe chiedere a chi produce in maniera discontinua e non programmabile (eolico e fotovoltaico, ndr) di farsi carico dei costi di fornitura continua di energia, dunque dello stoccaggio. Questi al momento ricadono sulla collettività. Se però il sistema andrà a ricevere quantità crescenti di energia non programmabile, non può che chiedere a chi produce di programmarsi. Con questi risparmi si può far crescere il mondo dell’efficienza energetica.
Cioè risparmiare molto?
Assolutamente. Secondo una ricerca Confindustria, oltre il 60% dei motori industriali (veri energivori) non è ad alta efficienza, quindi va a pieno regime o è spento. Se fossero regolabili potrebbero abbassare i carichi in funzione delle esigenze e contribuire meglio a creare un sistema che dovrebbe evolvere verso reti intelligenti, capaci di modulare l’offerta sulla domanda.
Quali altre esigenze nel nostro "futuro energetico"?
Sta cambiando il paradigma degli ultimi decenni. Dovremo avere più efficienza, più rinnovabili, una produzione decentrata sul territorio che possa agevolare l’utilizzo delle reti di trasmissione che dovranno essere più "smart". E poi continuare a lavorare sull’abbassamento dei costi delle materie prime tradizionali, in primo luogo il gas: quindi diversificazione dei fornitori attraverso infrastrutture (gasdotti e rigassificatori) che ci consentano di andare sui mercati internazionali a spuntare i prezzi migliori.