Home Cosvig Dopo Cile e Utah anche in Nevada la geotermia in stile Larderello

Dopo Cile e Utah anche in Nevada la geotermia in stile Larderello

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L’hi-tech che l’Italia esporta nel mondo nasce tra un dirupo sulla collina di Larderello e un laboratorio di calcoli statistici a Pisa…

Fonte: La Repubblica – Firenze

Autore: Maurizio Bologni

… Poi vola in Cile e in Baviera, in Utah e in California. In Nevada. Qui, a Reno, il premier Matteo Renzi ha inaugurato ieri la rivoluzionaria centrale Stillwater studiata e realizzata dai “cervelli” della “energivalley” di Larderello, gli specialisti di Enel Green Power che in Italia concentrano tutta la loro sapienza geotermica in Toscana – dove si riesce a ricavare dal calore della terra il 26% del fabbisogno regionale – ma che poi trasferiscono pure all’estero. «In Nevada ci siamo stati due anni a studiare e poi realizzare l’impianto, che ora è in esercizio e quindi è affare degli americani», racconta Massimo Montemaggi, responsabile geotermia di Enel Green Power, il capo che col Nevada ha fatto la spola.
In Italia, pressoché concentrati in Toscana ma proiettati oltre confine, sono 650 gli specialisti della geotermia di Enel Green Power. «È una realtà vivace e impegnata che crea innovazione», dice Montemaggi, un team che in Nevada ha creato per la prima volta un impianto ibrido dove fotovoltaico e geotermia si sposano. C’è l’impianto solare che fa il suo lavoro. E quello geotermico che produce energia da fluidi che arrivano da mille metri di profondità e sbucano dai pozzi a 150 gradi. «Temperatura bassa, poco pregiata, si pensi che la temperatura del fluido geotermico a Larderello è di 250 gradi – dice Montemaggi – e così l’innovazione è stata mettere il fotovoltaico anche al servizio della geotermia. Nel senso che speciali pannelli solari arcuati sono utilizzati per riscaldare fino a 300 gradi il fluido geotermico e moltiplicarne la resa in termini di produzione energetica ». È il “termico solare”. Eccola la centrale Stillwater. Unica al mondo. Made in Tuscany. E non è vino Gallo Nero ne fashion di Alta Moda. Ma Hi-Tech pur esso con la maiuscola.
«Questo, come tutti i nostri progetti all’estero – spiega l’ingegner Montemaggi – è stato seguito da esperti di fisica del serbatoio, una disciplina che cerca di conoscere le potenzialità geotermiche del sottosuolo attraverso calcoli e modelli statistici, non basta la matematica tradizionale. È un mestiere difficile, perché se la forza energetica del sole e del vento possono essere misurate con una certa facilità, qui è tutta un’altra storia». Ci vogliono doti e preparazione da “cervelli rabdomanti” del calore del sottosuolo. «Dopo i fisici del serbatoio – prosegue Montemaggi – entrano in campo gli esperti di perforazioni, gli impiantisti, coloro che realizzano la centrale, che a volte si devono spingere a capire quanta energia può dare un campo energetico a 4.000 metri di profondità. I nostri specialisti sono giovani tra i 30 e 40 anni di età. Il settore geotermico di Enel Green Power è il più grande al mondo completamente integrato, ovvero che copre tutta la catena del valore: dalla ricerca al progetto, fino all’esecuzione e alla messa in esercizio dell’impianto».
Un’altra centrale unica nel suo genere sarà inaugurata nelle prossime settimane in Val di Cornia. In questo caso il matrimonio è tra un impianto di produzione da biomasse e uno geotermico, con le prime che vengono utilizzate per riscaldare il fluido della terra che esce a 200 gradi e viene portato a 350 gradi. «I risultati – dice Montemaggi – sono estremamente positivi sia da un punto di vista del rendimento energetico che di impatto socio economico: l’impianto genera una filiera corta del legno alimentato da scarti che arrivano da una raggio massimo di 70 chilometri, contribuisce e tenere pulito il bosco e dà lavoro a 30 persone». Ma Enel Green Power sta pianificando altri progetti innovativi anche all’estero. In Baviera, dove si studia un nuovo ibrido a 4.000 metri di profondità. E in Cile, dove il giacimento è ricchissimo, darà vita ad una centrale da 40MW raddoppiabile, ma si trova sotto una montagna a 4.000 metri di altitudine. «Qui i problemi sono di natura logistica e ambientale», dice Montemaggi. «Il nostro impegno è organizzare turni di lavoro compatibili con l’altitudine».