Il passaggio a questa fonte rinnovabile ha portato anche grandi risparmi per lo Stato e per i cittadini, pari al 2,6% del Pil ogni anno tra il 1950 e il 2016
Da Paese tra i più poveri d’Europa e dipendente all’80% dalle importazioni di carbone e petrolio l’Islanda, nel corso degli ultimi 60 anni, ha attraversato profondi cambiamenti nel proprio modello di sviluppo che hanno portato a prediligere risorse rinnovabili indigene come la geotermia e l’idroelettrico.
Una rivoluzione che è ancora in corso ma alla quale, per quanto riguarda il riscaldamento degli edifici, sono bastati 12 anni per rendere marginale il petrolio in favore della geotermia.
Si tratta di un passo fondamentale per rendere più sostenibile un Paese – ad oggi nell’Unione Europea gli edifici consumano circa il 40% dell’energia e rilasciano il 36% delle emissioni di gas serra sul totale –, che l’Islanda ha deciso di compiere affidandosi al calore naturalmente presente nel sottosuolo.
Come mostrano dal progetto UE GEOENVI (Tackling the environmental concerns for deploying geothermal energy in Europe), nato per rispondere alle preoccupazioni sugli aspetti ambientali legati all’impiego della geotermia profonda e cui partecipano 16 partner da tutta Europa – compreso CoSviG –, la svolta è arrivata con la crisi petrolifera internazionale del 1973.
Al tempo, infatti, il prezzo del petrolio salì del 70%, creando non poche difficoltà sull’isola dove il 50% della popolazione islandese si riscaldava bruciando questa fonte fossile.
Il Paese varò dunque una nuova politica volta all’esplorazione delle risorse geotermiche esistenti e alla costruzione di nuovi servizi di (tele)riscaldamento basati sul loro impiego: come risultato, l’impiego di petrolio per il riscaldamento è crollato dal 50% dal 1973 al 5% del 1985.
Un risultato, come sottolineano da GEOENVI, ottenuto grazie alla «cooperazione costruttiva tra Stato, città, Comuni e partner privati. Questo dimostra che una grande trasformazione può avvenire in un Paee in un breve periodo di tempo, sulla base della cooperazione. Una lezione che può essere utile a tutti per combattere la crisi climatica».
Offrendo al contempo importanti guadagni sotto il profilo socio-economico alla popolazione interessata.
Grazie al teleriscaldamento geotermico al posto del petrolio, gli islandesi hanno ottenuto un risparmio medio annuo pari al 2,6% del PIL tra il 1950 e il 2016: «Si tratta di un risparmio enorme per tutti i cittadini – sottolineano da GEOENVI – poiché hanno risparmiato circa 1 milione di Corone Islandesi (l’equivalente di circa 6mila euro al cambio corrente, ndr) per ogni famiglia di 4 persone».
Le risorse geotermiche, aggiungono dal progetto UE, hanno inoltre contribuito allo sviluppo di diversi settori economici: allevamento ed essiccazione del pesce, turismo, trattamenti naturali per disturbi della pelle, coltivazione di alghe, produzione di cosmetici eco-friendly, oltre che fornire energia rinnovabile per hotel, famiglie, serre e qualsiasi tipo di edificio.
Non a caso le centrali geotermiche generano attualmente il 25% della produzione di elettricità nel Paese (in Toscana siamo attorno al 30%, mentre in Italia il dato è fermo a circa il 2%) e i 9/10 della popolazione islandese riscalda gli edifici grazie al calore della terra, impiegato con profitto anche come mezzo di diversificazione economica.