Due anni dopo l’arrivo delle nuove direttive Ue in materia, ieri il Consiglio dei ministri ha approvato (in esame preliminare) il relativo decreto legislativo di attuazione: è il seme fondante del nuovo “Codice degli appalti pubblici e dei contratti di concessione”, che adesso dovrà passare all’esame parlamentare per poi arrivare all’approvazione definitiva entro il 18 aprile.
Come di consueto, il governo non ha messo a disposizione un testo organico (mentre le slide non mancano), ma il decreto legislativo si annuncia come un sostanziale passo avanti rispetto all’attuale normativa: il governo – illustrano dal Consiglio dei ministri – recepisce in un unico decreto le direttive appalti pubblici e concessioni e riordina la disciplina vigente in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture e contratti di concessione.
Il criterio ordinatore è quello della semplificazione: dai 660 articoli e 1.500 commi del vecchio Codice con regolamento e successive norme si passa ai 217 articoli con linee d’indirizzo generale Anac proposte dal governo nel nuovo codice, che – fatto non trascurabile – rappresenta una disciplina autoapplicativa.
Per la prima volta il nuovo Codice, come richiesto dal legislatore europeo, affronta l’istituto della concessione in modo organico. Viene prevista – specificano dal Consiglio – una disciplina unitaria per le concessioni di lavori, servizi e forniture, chiarendo che le concessioni sono contratti di durata, caratterizzati dal rischio operativo in capo al concessionario in caso di mancato ritorno economico dell’investimento effettuato; tra le disposizioni volte a favorire la concorrenza, viene introdotto il documento di gara unico europeo, che consentirà un’immediata apertura della concorrenza europea. È inoltre previsto il graduale passaggio a procedure interamente gestite in maniera digitale, con conseguente riduzione degli oneri amministrativi.
Soprattutto, il nuovo Codice rappresenta il superamento della Legge obiettivo attraverso strumenti di programmazione delle infrastrutture, insediamenti prioritari e l’espresso richiamo all’applicazione delle procedure ordinarie. Un’evoluzione sulla quale si concentra Legambiente, che osserva un «segno di discontinuità rispetto al passato avviato in questi mesi dal ministro Delrio. Finalmente – commenta Edoardo Zanchini, vicepresidente nazionale di Legambiente – si potrà chiudere una brutta pagina, lunga quindici anni, segnata troppo spesso da sprechi, corruzione e illegalità. Fino ad oggi con la Legge obiettivo sono stati, infatti, buttati decine di miliardi di euro in grandi opere definite strategiche che avrebbero dovuto modernizzare e rilanciare il Paese e che, invece, hanno portato ad una serie di cantieri infiniti o di progetti rimasti sulla carta. Per questo ci auguriamo che con il nuovo codice appalti si possa dare risposta alle due grandi questioni che nel settore delle infrastrutture l’Italia continua a scontare. La prima è la creazione finalmente di una filiera trasparente che premi le imprese serie, la trasparenza e i controlli, la certezza dei tempi. La seconda è la scelta di opere realmente utili a risolvere i problemi di mobilità e inquinamento delle città italiane, e quelli di un trasporto merci incentrato sulla gomma con tutte le conseguenze in termini di emissioni, inquinanti e incidenti».
Naturalmente entusiasta è il commento del ministro dell’Ambiente, Gian Luca Galletti, secondo il quale «nel nuovo Codice degli appalti l’ambiente assume una centralità senza precedenti. La progettazione degli interventi in materia ambientale sarà disciplinata da specifiche linee guida individuate anche con il concerto del ministero dell’Ambiente: questa novità vale sia nei casi in cui l’ambiente costituisca l’oggetto diretto dell’appalto, come ad esempio le bonifiche e la messa in sicurezza, ma anche per le attività in cui il legame con l’ambiente sia indiretto, come la costruzione di edifici, strade o le forniture per gli uffici. Altra novità riguarda i cosiddetti criteri ambientali minimi, già rafforzati con le misure del Collegato Ambientale per gli appalti negli edifici pubblici, che diventano comuni a tutte le stazioni appaltanti. Il testo consente inoltre una procedura negoziata, senza previa pubblicazione del bando, per aggiudicare lavori urgenti di bonifica e messa in sicurezza di siti contaminati, ai sensi della normativa ambientale».
Da parte sua, gli unici elementi dalla rilevanza prettamente ambientale che il Consiglio dei ministri ha ritenuto di sottolineare riguardano però, per la progettazione delle opere, il «soddisfacimento dei fabbisogni della collettività, la qualità architettonica e tecnico-funzionale dell’opera, un limitato consumo del suolo, il rispetto dei vincoli idrogeologici sismici e forestali e l’efficientamento energetico». Nessun accenno su altri aspetti fondamentali, come ad esempio l’utilizzo di materiali riciclati (previsto per legge secondo la disciplina del Green public procurement, ma sovente disatteso) nelle opere di edilizia e infrastrutturali, sebbene l’estrazione di materie prime dalle cave ancora dilaghi – 2.500 quelle da inerti oggi attive, 15mila quelle abbandonate – e non esistano motivi tecnici o economici per non utilizzarli in loro sostituzione un abbondante dote di materie prime seconde.
Insomma, il nuovo Codice degli appalti pubblici rappresenta sicuramente una buona notizia, anche per l’ambiente, ma tutto dipende da come sarà concretamente diretto e applicato. Le contraddizioni di governo, che proprio ieri con il premier Renzi ha rilanciato l’assurdo progetto del ponte sullo Stretto di Messina, non lasciano dormire sonni tranquilli.