La conservazione del paesaggio agricolo richiede operazioni periodiche di sfalcio, le quali comportano, oltre alla spesa a carico del contribuente, il consumo di energia fossile per le macchine operatrici e di conseguenza le inevitabili emissioni di gas di effetto serra. Il vecchio criterio delle pubbliche amministrazioni di considerare il materiale risultante come rifiuto anziché come risorsa, comporta ulteriore aggravio per l’ambiente perché, nella migliore delle ipotesi, il compostaggio degli sfalci comporterà ulteriori emissioni di gas di effetto serra, e nel peggiore dei casi, il conferimento in discarica comporterà, oltre alle emissioni di gas serra, anche la generazione di percolati da trattare e smaltire.
La digestione anaerobica fornisce una soluzione pratica ed economica ai problemi sopra elencati, eppure al momento non viene attuata, se non in rari casi virtuosi.
Nell’ambito del progetto dimostrativo GR3-Grass to Green Gas Resource, finanziato dal programma di ricerca applicata Intelligent Energy Europe con 1.572.705,00 euro, sono stati intrapresi degli studi per verificare la fattibilità di una filiera che, secondo stime conservative, consentirebbe il risparmio di 7.800 t di petrolio all’anno, e di conseguenza la riduzione di 39.000 t equivalenti di Co2. Il consorzio è composto da cinque partner belgi, due tedeschi, uno portoghese, uno danese e due eccellenze italiane nel settore del biogas e lo sviluppo rurale: Veneto Agricoltura e l’Università di Verona.
L’utilizzo degli sfalci come biomassa da digestione anaerobica ha due limitazioni: quelle tecnologiche e quelle culturali. Fra le prime spicca laeterogeneità e stagionalità della risorsa, che si traduce in un potenziale metanigeno tendenzialmente basso, di fronte ad un volume tendenzialmente alto di materiale da movimentare e stoccare. Inoltre, non esiste una macchina agricola “universale” per realizzare le operazioni di sfalcio, perché le esigenze di chi deve manutenzionare le sponde di un fiume o di un canale non sono le stesse di chi sfalcia un campo sportivo o una piazza pubblica.
Fra le seconde limitazioni, forse le più problematiche, spiccano la “sindrome Nimby” (not in my back yard, non nel mio giardino dietro casa) ovvero la formazione di comitati cittadini contro l’installazione degli impianti di biogas . Nel caso particolare dell’Italia, l’utilizzo razionale degli sfalci d’erba si vede ulteriormente complicato dall’interpretazione un po’ paranoica del concetto europeo di “rifiuto”che ne fanno alcune amministrazioni pubbliche, con il risultato che gli sfalci d’erba in alcuni casi non possano essere gestiti attraverso la filiera degli scarti agricoli, risultando nel loro conferimento in discarica o negli inceneritori di rifiuti urbani, aggravando i costi per il cittadino e l’inquinamento dell’ambiente.
In questo senso, uno dei risultati più interessanti del progetto GR3 è la redazione di un manuale per i legislatori e amministratori pubblici, titolato "BATs and best practices for grass residue collection and valorization" (Le migliori tecnologie e pratiche disponibili per la raccolta e valorizzazione degli sfalci d’erba). Il documento può essere scaricato gratuitamente cliccando qui.
In occasione di un seminario di divulgazione sul progetto GR3 tenutosi a Padova a dicembre 2014, abbiamo intervistato Federico Correale, dirigente del dipartimento Bioenergie e cambiamento climatico di Veneto Agricoltura e coordinatore della redazione del suddetto manuale,David Bolzonella, responsabile scientifico delle prove per determinare le migliori tecnologie di digestione anaerobica degli sfalci d’erba, e Luigi Sartori del Tesaf (Università di Padova), il quale è stato il referente per gli studi relativi ai macchinari e pprocessi di meccanizzazione dello sfalcio e processo dell’arba.
Dalle presentazioni degli esperti si desume che, a data attuale, il 70%degli sfalci europei viene lasciato a marcire sul posto, mentre il 30%restante viene compostato. Le ragioni di questo spreco risiedono nella mancanza d’investimenti in un’organizzazione logistica adeguata (la manutenzione del verde viene ancora vista come costo e non come risorsa), nelle difficoltà di tipo burocratico (sfalci assimilati ai rifiuti urbani), e nella mancanza di collegamento fra gli operatori coinvolti nella filiera. Ciò si traduce in mancata produzione di energia(attualmente prodotta sottraendo parte delle colture cerealicole al loro naturale utilizzo alimentare umano e animale) e nel consumo di energia fossile (per le operazioni di sfalcio, trasporto e compostaggio).
L’utilizzo degli sfalci d’erba negli impianti di biogas rappresenta invece un’opportunità per la creazione di posti di lavoro ed un potenziale energetico “industriale” pari a 240 kWh elettrici (con un massimo teorico pari a 340 kWh elettrici) più 300 kWh termici (con un massimo teorico pari a 400 kWh termici) per ogni tonnellata di sfalci processati. La migliore programmazione delle operazioni di sfalcio e gestione della biomassa risultante si tradurrebbe in un ambiente agricolo più gradevole e fruibile per la società, nella riduzione dell’utilizzo di fertilizzanti chimici e in notevoli economie di costi per il contribuente.